Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.8027 del 21/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29522/2017 proposto da:

D.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA SPARAGNA;

– ricorrente –

contro

RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4358/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/10/2017 R.G.N. 1466/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2019 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA SPARAGNA;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ENZO MORRICO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale della stessa sede, ha con sentenza n. 4358 del 4.10.2017 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., in data 30.3.2015, a D.M., operaio specializzato addetto alla manutenzione delle infrastrutture ferroviarie, per fatti oggetto della sentenza penale di condanna del Tribunale di Cassino n. 1283 del 2014.

2. La Corte respingeva il reclamo proposto dal lavoratore confermando la declaratoria di legittimità del licenziamento e rilevando che il comportamento adottato dal D. il 15.12.2013 (apertura delle bombole del gas nella sua abitazione, chiamata delle forze dell’ordine, minaccia di far esplodere la palazzina, aggressione degli agenti di polizia intervenuti), valutato alla luce delle mansioni (addetto alla sicurezza delle infrastrutture) disimpegnate, integrava – per la sua gravità, anche di ogni singola condotta – gli estremi di una giusta causa di licenziamento ed incrinava definitivamente il vincolo fiduciario.

3. Per la cassazione di tale sentenza il D. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 116 c.p.c., e art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il D. ha sempre contestato i fatti del 15.12.2013 allo stesso addebitati, essendo trascorsa una mezz’ora tra la chiamata telefonica e l’intervento degli agenti di Polizia, non essendo stato accertato con strumentazione ad hoc se l’ambiente era saturo di gas, essendo intervenuti i Vigili del fuoco a distanza di tempo, e, in generale, essendo state smentite dai condomini tutte le circostanze riferite dagli agenti.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) avendo, la Corte distrettuale, posto a base del proprio giudizio prove inesistenti, in quanto le circostanze oggetto di contestazione disciplinare sono state contestate dal D. e il datore di lavoro non ha richiesto di provarle.

3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 111 Cost., nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte distrettuale, reso una motivazione apparente, non avendo precisato in cosa sarebbe consistita la lesione del vincolo fiduciario e in base a quali prove si fondava la prognosi di una reiterazione del comportamento.

4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 2119 c.c., nonchè del diritto vivente (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto definitivamente accertati i fatti emergenti dall’istruttoria svolta in sede penale, non essendo emerso alcun notevole inadempimento nè essendo stato precisata la modalità della lesione del vincolo fiduciario.

5. I motivi, che per stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili e per la parte residuale infondati.

In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. 23940 del 2017) ed interpretato, mediante il canone del “minimo costituzionale”, dalle Sezioni Unite di questa Corte. Invero, come precisato dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014) è, in tal caso, denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. E tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ebbene, non è ravvisabile, nella sentenza impugnata, alcuna lacuna o contraddizione motivazionale, avendo, il Tribunale e la Corte distrettuale, proceduto ad analizzare la condotta tenuta dal D. alla luce degli esiti del giudizio penale “e, in particolare, alla luce delle testimonianze rese in quella sede e della motivazione della sentenza di condanna (che ha assolto il D. dal reato di cui all’art. 575 c.p., ma lo ha condannato per resistenza e lesioni ai pubblici ufficiali intervenuti)): il fatto che anche uno solo degli episodi sia stato valutato sufficientemente grave non rende atomistica nè vizia in alcun modo una valutazione che è stata, altresì, compiuta a livello complessivo”.

6. In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr. Cass. 13.2.2012 n. 2013 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. 21.6.2011 n. 13574; Cass. 7.4.2011 n. 7948; Cass. 2.3.2011 n. 5095; Cass. 18.2.2011 n. 4060).

Nella fattispecie, come già rilevato, la Corte distrettuale ha rilevato che “i comportamenti descritti e dimostrati dall’istruttoria in sede penale (e peraltro mai negati dal D.) sono “di particolare gravità sotto il profilo del vincolo fiduciario” anche in considerazione delle mansioni svolte dal D. nell’ambito della sicurezza delle infrastrutture. Tale affermazione è difficilmente contestabile e certo il vincolo fiduciario non può dirsi meno leso dalla circostanza che “generalmente” l’incolpato lavora in squadra (essendo di comune esperienza che la perdita di controllo da parte di uno dei componenti di una squadra può mettere a repentaglio sia i colleghi che l’utenza); non si vede infatti come l’interesse aziendale possa essere efficacemente perseguito da una squadra di colleghi i cui componenti, prima ancora di occuparsi della sicurezza delle infrastrutture ferroviarie, devono impiegare le loro energie nel contenere il rischio che un membro della loro stessa squadra possa nuovamente indulgere in comportamenti così distruttivi e antisociali quali quello che ha visto protagonista il D. nella sera del *****. Lo stato di ebbrezza alcolica, poi, lungi dal costituire una attenuante, a sua volta si manifesta sintomo di una fragilità che contribuisce alla nefasta prognosi di correttezza del futuro adempimento, sempre in considerazione delle mansioni specifiche di operatore specializzato della sicurezza.

7. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

10. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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