Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.8068 del 21/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5361-2018 proposto da:

A.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE VATICANO 84, presso lo studio dell’avvocato MAZZONE TOMMASINA, rappresentata e difesa da se stessa;

– ricorrente –

contro

E.G., G.R., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato DI PIETRO GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1808/2017 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata il 27/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/12/2018 dal Consigliere Relatore Dott. RUBINO LINA.

RILEVATO

Che:

1. L’avv. A.M.C., in proprio, ha proposto due motivi di ricorso per cassazione contro E.G. e G.R. avverso la sentenza n. 1808 del 2017, depositata dal Tribunale di Messina il 27.6.2017, con la quale il tribunale confermava l’esito negativo per l’attuale ricorrente del giudizio di primo grado.

La A. proponeva opposizione al precetto notificatole dagli E. e G., deducendo che non le fosse stata data comunicazione dell’ordinanza che rigettava la sua istanza di sospensione dell’esecuzione, e che pertanto non fosse stata messa in grado di partecipare alla successiva udienza e di svolgere le sue difese depositando note conclusionali, e contestava l’esistenza e l’ammontare del credito. Il giudice d’appello rilevava: che la A. non avesse neppure precisato quali argomentazioni avrebbe potuto spendere, che erano rimaste precluse dalla omessa comunicazione; che la comunicazione risultava comunque effettuata; che in sede di opposizione a precetto non possono svolgersi contestazioni inerenti alla formazione del titolo e all’ammontare del credito come risultante dal titolo, che vanno svolte nel corso del procedimento nel quale il titolo esecutivo si è formato.

2. G. ed E. resistono con controricorso.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità dello stesso per tardività.

4. Il decreto di fissazione dell’adunanza camerale e la proposta sono stati comunicati al ricorrente.

5. Non vi sono memorie.

CONSIDERATO

Che:

Non sussiste la tardività prospettata nella proposta del relatore, in quanto è ben vero che trattasi di opposizione esecutiva, e che in riferimento al termine per impugnare le opposizioni esecutive non si applica la sospensione del termini feriali, tuttavia nel caso di specie trattasi di un giudizio iniziato in primo grado nel 2008, quindi il termine per impugnare era annuale. Pertanto il ricorso per cassazione, notificato oltre i sei mesi ma entro l’anno, è tempestivo.

Occorre quindi passare all’esame dei motivi proposti.

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per insussistenza di un titolo valido, violazione del principio del contraddittorio e omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia.

Premesso che il ricorso a stento raggiunge la soglia dell’ammissibilità quanto alla completezza e alla comprensibilità dei fatti di causa che devono essere pur sommariamente esposti, in quanto è appena comprensibile quale fosse l’oggetto della opposizione a precetto, con il primo motivo la ricorrente denuncia di non aver ricevuto la comunicazione di cancelleria della ordinanza che rigettava la sua istanza di sospensione dell’esecuzione e fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni, e che di conseguenza non abbia potuto partecipare all’udienza di precisazione delle conclusioni nè predisporre per la stessa note difensive.

La sentenza di appello afferma:

che da verifiche effettuate risulta che l’avv. A. abbia effettivamente ricevuto la comunicazione, anche se il biglietto di cancelleria non era stato inserito nel fascicolo d’ufficio;

che comunque la ricorrente non aveva precisato idoneamente quale pregiudizio avrebbe subito dalla omessa comunicazione, e quale sia stata la difesa che non era stata messa in grado di spiegare.

Il motivo deve essere rigettato, in quanto non coglie la ratio decidendi: il giudice d’appello ha accertato in fatto che la comunicazione fosse effettivamente avvenuta, e che quindi non ci fosse stata nessuna violazione del contraddittorio.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce nuovamente la nullità della sentenza, la violazione del principio del contraddittorio e l’omesso esame delle domande, nonchè l’omessa motivazione e la violazione dell’art. 345 c.p.c.. Il motivo è di scarsa comprensibilità, ai limiti della inammissibilità, in quanto fa riferimento ad un documento non ben individuato, e del quale non è riprodotto il testo – del quale il tribunale avrebbe ammesso la produzione in appello in violazione dell’art. 345 c.p.c.. Soffre quindi di un difetto di autosufficienza quanto al tenore del documento che assume sia stato erroneamente ritenuto ammissibile. Se si fa riferimento alla istanza presentata dai signori G. ed E. all’ufficio notifiche, a seguito della quale, come si dà atto in sentenza, si è potuto ricostruire il percorso delle comunicazione della cui mancanza si duole la ricorrente, evidentemente il tribunale lo ha implicitamente ritenuto indispensabile per poter svolgere la propria dovuta verifica d’ufficio sulla avvenuta esecuzione o meno della comunicazione.

Si aggiunga che non è censurata poi la fondamentale ratio decidendi con la quale il tribunale ha ritenuto comunque inammissibili nel merito le censure proposte dalla A. già in primo grado, e riproposte in appello, aventi ad oggetto l’esistenza del credito, in quanto si trattava di titolo di formazione giudiziale (ordinanze cautelari), a fronte del quale le contestazioni relative all’esistenza e all’ammontare del credito avrebbero dovuto farsi valere nel giudizio di formazione del titolo stesso, potendo farsi valere in sede di opposizione all’esecuzione solo i fatti estintivi e modificativi della pretesa successivi alla formazione del titolo stesso.

Il ricorso è quindi manifestamente infondato.

Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1-bis e 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Pone a carico della ricorrente le spese di giudizio sostenute dai controricorrenti e le liquida in complessivi Euro 1.400,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019

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