LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –
Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –
Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21805-2017 proposto da:
K.L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato JURGEN KOLLENSPERGER;
– ricorrente –
contro
CASSA RAIFFEISEN OLTRADIGE SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIOCIARIA 16, presso lo studio dell’avvocato MONICA DE PASCALI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PETER PAUL MARSEILER;
– controricorrente –
e contro
R.P., K.L.C., M.E., K.L.V., K.L.R., KO.LU.CH., K.L.K.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 85/2017 della CORTE D’APPELLO di TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, depositata il 24/06/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per la procedibilità del ricorso;
uditi gli avvocati Gianluca Calderara per delega dell’avvocato Luigi Manzi e Monica De Pascali.
ESPOSIZIONE DEL FATTO 1. La Corte d’appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano con sentenza n. 85/2017 in data 24 giugno 2017 ha dichiarato inammissibile l’opposizione di terzo ordinaria proposta, dalla Cassa Raiffeisen Oltradige Società Cooperativa nei confronti di K.L.M. in R., avverso la sentenza del medesimo Tribunale n. 952 del 2014, passata in giudicato, ma ha accolto però l’opposizione di terzo revocatoria, cui aveva fatto riferimento la Cassa.
2. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione K.M. sulla base di quattro motivi, di cui tre afferenti al merito della controversia – e, in particolare, ai presupposti di applicabilità dell’opposizione di terzo revocatoria – e il quarto relativo alla contestazione della conferma della condanna dei convenuti in solido alla rifusione delle spese del grado, pronunciata dalla Corte d’appello.
3. La Cassa Raiffeisen Oltradige Società Cooperativa resiste con controricorso, mentre gli ulteriori intimati non svolgono attività difensiva, in questa sede.
Ciò in conformità con l’orientamento espresso dall’ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30765 della Sesta Sezione (nella composizione stabilita dal par. 4.2. delle tabelle della Corte di Cassazione e, quindi, con particolare valenza nomofilattica), seguita da numerose successive decisioni conformi.
5. Alla luce del dibattito camerale si è rilevato che con la successiva Cass. SU 24 settembre 2018, n. 22438 è stata esclusa l’improcedibilità dell’impugnazione in caso di tempestivo deposito di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC senza attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, se il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale dell’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2.
7. Il ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente alle Sezioni Unite e discusso all’odierna udienza, previa acquisizione della relazione dell’Ufficio del Massimario.
9. In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. La ricorrente, nella propria memoria, ha sostenuto la procedibilità del ricorso, mentre la Cassa controricorrente ha chiesto, in particolare, la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per mancato tempestivo deposito della copia autentica della sentenza impugnata (con attestazione di conformità all’originale del Cancelliere e/o del difensore e attestazione di sottoscrizione autografa).
RAGIONI DELLA DECISIONE
I – Sintesi delle censure.
1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. provinciale n. 17 del 2001, art. 24, e conseguente inammissibilità dell’opposizione revocatoria per carenza di interesse ai sensi dell’art. 100 c.p.c..
1.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 402, comma 2, e dell’art. 405 c.p.c., per omessa indicazione della scoperta del dolo o della collusione, nonchè della relativa prova.
1.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 402, comma 2, e dell’art. 405 c.p.c., nonchè della L. Provinciale n. 17 del 2001, art. 32.
1.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte territoriale confermato la condanna dei convenuti in solido alla rifusione delle spese del grado, nonostante la disposta riforma del provvedimento di primo grado.
II – Le tre Questioni proposte.
3. Nella descritta situazione, in applicazione dell’interpretazione resa nell’ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30765 della Sesta Sezione (nella composizione stabilita dal par. 4.2. delle tabelle della Corte di Cassazione e, quindi, con particolare valenza nomofilattica) cui si sono uniformate numerose successive decisioni, dovrebbe essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso, senza che, per evitare tale epilogo, possano avere rilevanza l’avvenuta tempestiva notifica del ricorso (entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata) e la c.d. “prova positiva di resistenza”, la quale ritiene raggiunto lo scopo di consentire al giudice dell’impugnazione di verificarne la tempestività sin dal deposito del ricorso (Cass. 10 luglio 2013, n. 17066).
Ciò in quanto – si afferma nell’ordinanza di rimessione – la prova positiva di resistenza, con riguardo alla tempestività della notifica del ricorso può consentire di superare la questione della procedibilità del ricorso con riferimento alla relazione di notificazione, ma non rispetto alla sentenza, della quale è presente nel fascicolo soltanto la copia, in formato analogico, notificata in via telematica senza attestazione di conformità, mentre non è presente la copia autentica.
4. Pertanto, nell’ordinanza di rimessione, si sottolinea che il problema centrale da risolvere resta comunque quello di stabilire se, in assenza nel fascicolo di copia autentica della sentenza impugnata, che risulti essere stata notificata a mezzo PEC e tempestivamente depositata agli atti appunto priva dell’attestazione di conformità, senza il disconoscimento da parte del controricorrente della conformità della suddetta copia all’originale telematico, il ricorso debba essere dichiarato improcedibile, in conformità con il suddetto orientamento espresso da Cass. n. 30765 del 2017o se, invece, debba pervenirsi ad una diversa soluzione sulla base della successiva Cass. SU 24 settembre 2018, n. 22438, ove sono stati indicati i presupposti per la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per cassazione notificato come documento informatico nativo digitale e depositato in copia non autenticata, affermandosi importanti principi innovativi al riguardo.
In altri termini, nell’ordinanza di rimessione si ritiene opportuno stabilire se i suddetti principi innovativi affermati dalle Sezioni Unite per il ricorso nativo digitale possano, o meno, trovare applicazione anche nel caso di specie, onde pervenire ad una soluzione del suddetto problema – che rileva nel presente giudizio – che sia idonea ad evitare il manifestarsi di incertezze interpretative su un elemento così significativo come la procedibilità del ricorso per cassazione.
5. A tale ultimo riguardo vengono formulate tre questioni – l’una principale e le altre due connesse.
6. In via principale viene posta la seguente questione:
“se in mancanza del deposito della copia autentica della sentenza, da parte del ricorrente o dello stesso controricorrente, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il deposito in cancelleria nel suddetto termine di copia analogica della sentenza notificata telematicamente, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, comporti l’improcedibilità del ricorso anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificato o intervenga l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio”.
Tale questione, nell’ordinanza di rimessione, viene qualificata come “di massima di particolare importanza”, avuto riguardo alla necessità di stabilire i rapporti tra gli indicati differenti orientamenti affermatisi, rispettivamente, con riferimento alle due seguenti fattispecie: a) deposito di copia analogica della decisione impugnata con la relata di notificazione avvenuta in forma telematica, senza attestazione di conformità (sulla scorta di Cass. n. 30765 del 2017 cit.); b) procedibilità del ricorso per cassazione notificato come documento informatico nativo digitale sulla base dell’innovativo intervento rappresentato da Cass. SU n. 22438 del 2018. Fattispecie diverse ma tra le quali sono presenti evidenti punti di contatto.
7. Sulla base delle indicate considerazioni e sempre al precipuo fine di evitare il manifestarsi di incertezze interpretative, si formulano, in collegamento con quella principale, le seguenti ulteriori due questioni:
a) “se il deposito in cancelleria nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso di copia analogica della relazione di notifica telematica della sentenza, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9,commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, comporti l’improcedibilità del ricorso anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità della copia informale della relazione di notificazione o intervenga l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio”;
b) “se ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito della copia autentica della decisione notificata telematicamente nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, sia sufficiente per il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), ed attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, o sia necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta direttamente dal fascicolo informatico”.
7.1. La prima delle suddette questioni ulteriori viene formulata al fine di avere conferma dell’esattezza della tesi – sostenuta anche nell’ordinanza di rimessione – secondo cui i principi enunciati nella sentenza SU n. 22438 del 2018 possano essere agevolmente applicati pure alla copia analogica non asseverata della relazione di notificazione della sentenza avvenuta con modalità telematiche, trattandosi anche in questo caso di un fatto processuale da accertare e nella disponibilità dell’autore della notificazione, titolare del potere di non disconoscere la conformità della copia depositata all’originale.
7.2. L’ultimo quesito appare, invece, prospettato logicamente per l’ipotesi in cui alla questione principale – relativa all’estensibilità del principio di diritto enunciato da Cass. SU n. 22438 del 2018 alla fattispecie della sentenza notificata con modalità telematiche, priva dell’attestazione di conformità all’originale – venga data risposta negativa.
Nel terzo quesito si sottolinea che una simile risposta – basata sull’inapplicabilità dell’asseverazione “ora per allora” alla copia della sentenza notificata telematicamente, data la rilevanza di quest’ultima nel processo quale documento munito di determinati requisiti e non quale fatto da accertare, secondo la configurazione proposta nell’ordinanza di rimessione – potrebbe portare a “riaprire” la questione risolta da Cass. n. 30765 del 2017 cit. nel senso della sufficienza dell’asseverazione della copia del provvedimento notificato, così rivalutando l’orientamento di cui a Cass. 9 novembre 2017, n. 26520, espressamente superato da Cass. n. 30765 del 2017 cit., circa la necessità di provvedere anche al deposito di copia estratta dal fascicolo informatico debitamente autenticata (c.d. “doppia attestazione”).
III – L’iter argomentativo dell’ordinanza di rimessione.
8. Nell’articolata motivazione dell’ordinanza di rimessione, l’elemento maggiormente problematico al fine di dare una risposta affermativa alla prima e principale questione formulata viene indicato nella premessa logico-giuridica secondo cui, anche la motivazione di Cass. SU n. 22438 del 2018 cit., porterebbe a configurare il deposito della copia autentica della sentenza come un requisito di procedibilità avente natura e funzione diverse rispetto al deposito del ricorso notificato in via telematica. Ciò, in quanto:
a) nella sentenza n. 22438 cit. l’attribuzione alla copia analogica del ricorso per cassazione nativo digitale notificato a mezzo PEC privo di attestazione di conformità della stessa efficacia dell’originale è stata disposta sulla base del mancato espresso disconoscimento del controricorrente, in applicazione del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 2, (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD). E tale norma, riguardante la disciplina della prova, prevede che, attraverso l’idoneità del documento, si possa provare un “fatto processuale” – cioè l’avvenuta effettuazione della notifica e la sua data – il cui accertamento condiziona la procedibilità del ricorso, come risulterebbe confermato anche dall’asseverazione “ora per allora” fino alla trattazione della causa, nelle ipotesi di espresso disconoscimento ovvero di mancato deposito di controricorso da parte dell’intimato (di cui alla sentenza SU n. 22438 del 2018 cit.);
b) nel suddetto caso – nel quale l’improcedibilità è posta a presidio dell’esigenza di tempestivo esercizio del diritto di impugnazione e dell’assenza del vincolo della cosa giudicata formale (come affermato da Cass. SU 16 aprile 2009, n. 9005) – la copia non espressamente disconosciuta ovvero successivamente asseverata “ora per allora” assumerebbe efficacia probatoria del suddetto “fatto processuale” e quindi la condizione di procedibilità verrebbe a ricadere nell’ambito di applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, per il quale rilevano anche i comportamenti o gli atti successivi alla scadenza del termine stabilito per il deposito dell’atto (Cass. SU 5 agosto 2016, n. 16598);
c) ma l’applicazione del suddetto principio presuppone “l’inerenza della condizione di procedibilità all’accertamento di un fatto processuale”;
d) tale condizione – secondo il Collegio rimettente – è ravvisabile anche rispetto al deposito della relata di notificazione della sentenza impugnata, quale requisito che attiene parimenti all’esigenza di verificare la tempestività dell’impugnazione e per il quale la norma processuale (art. 369 c.p.c., comma 2), non richiede il deposito in copia autentica. Pertanto, anche per la relata di notifica, il tempestivo deposito in copia semplice sarebbe idoneo a consentire l’operatività del meccanismo del non disconoscimento ovvero della successiva asseverazione “ora per allora” elaborato nella sentenza SU n. 22438 del 2018 cit.;
e) diversamente, il principio di raggiungimento dello scopo non potrebbe trovare applicazione con riferimento al requisito di procedibilità costituito dal tempestivo deposito di copia autentica della decisione impugnata perchè si tratta di un requisito che non inerisce all’accertamento di un “fatto processuale” da provare dall’interessato, come l’attività di notificazione;
f) infatti, la sentenza non è un fatto del processo che deve essere accertato, ma è “l’oggetto del ricorso per cassazione e del quale la legge, proprio per la sua natura di oggetto dell’impugnazione, impone la presenza nel processo nella forma di un documento, la cui funzione documentale deve essere realizzata in termini di certezza giuridica”;
g) in altri termini, nel caso della sentenza la condizione di procedibilità attiene non ad un “fatto processuale” suscettibile di accertamento, ma ad un “documento” da depositare come munito del requisito di copia autentica ed entro il termine perentoriamente stabilito dalla legge (come confermato anche da Cass. SU 2 maggio 2017, n. 10648);
h) il conseguente onere processuale attiene quindi “non alla dimostrazione di quale sia il provvedimento che sia stato notificato e che deve essere impugnato (come indurrebbe a ritenere la sufficienza della copia autentica della copia notificata), ma alla presenza nel processo del provvedimento nella sua entità obiettiva grazie al requisito documentale della copia autentica”;
i) la differenza fra “fatto processuale” (da accertare) e “documento” (in copia autentica) troverebbe la propria ratio nella circostanza che il (mancato) disconoscimento – che presuppone la disponibilità del relativo effetto da parte dell’interessato – è configurabile solo con riferimento alla notificazione perchè solo per essa la conformità dell’atto all’originale è rimessa al destinatario, cui viene riconosciuto il potere di disconoscere o non disconoscere;
I) con riferimento alla sentenza una simile disponibilità non è invece configurabile, perchè la verifica di autenticità in questa ipotesi non può essere rimessa alla parte mediante il mancato disconoscimento, visto che diversamente dalla relazione di notificazione qui non ricorre la caratteristica della destinazione dell’atto alla parte, la quale giustifica l’effetto riconducibile al mancato disconoscimento.
9. Prima di analizzare le interessanti argomentazioni dell’ordinanza di rimessione si ritiene opportuno ricordare, sinteticamente, i principi affermati rispettivamente da Cass. 22 dicembre 2017, n. 30765 e da Cass. SU 24 settembre 2018, n. 22438.
IV – Sintesi dei principi affermati da Cass. 22 dicembre 2017, n. 30765.
10. Nel caso esaminato da Cass. n. 30765 del 2017 si poneva la questione delle modalità di deposito di copia autentica della decisione impugnata, con la relata di notificazione, per essere la stessa stata eseguita in via telematica, pur non essendo stati depositati in copia autentica nè la sentenza nè la relazione di notifica e non essendovi alcuna attestazione di conformità.
11.1. La Corte, nel ricordare (attraverso il richiamo di Cass. SU 16 aprile 2009, n. 9005) i principi fondamentali della materia affermati “in ambiente di ricorso analogico e di norme processuali calibrate su tale forma di atto” (secondo l’espressione usata da Cass. SU n. 22438 cit.) ha sottolineato che:
a) l’art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità;
b) l’improcedibilità può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purchè entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione;
c) invece, l’improcedibilità non può invece essere evitata qualora il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto “consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale;
d) la sanzione della improcedibilità non è applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perchè prodotto dalla controparte o perchè presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte (Cass. SU 2 maggio 2017, n. 10648);
e) l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perchè in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10 luglio 2013, n. 17066).
La Corte ha quindi precisato che tradizionalmente l’improcedibilità, a differenza di quanto previsto in altre situazioni procedurali, trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo.
11.2. Con riguardo ai problemi specifici posti dall’applicazione dell’art. 369 c.p.c. quando nel processo di merito la notifica della sentenza di appello sia avvenuta con modalità telematiche, la Corte ha, in primo luogo, confermato il prevalente indirizzo secondo cui, stante l’impossibilità di procedere al deposito telematico nel giudizio in cassazione, è necessario che il difensore provveda ad autenticare la copia del messaggio PEC ricevuto e del provvedimento allegato avvalendosi del potere di autentica di cui alla L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, applicabile “in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche”, a norma del comma 1-ter del medesimo art. 9.
D’altro canto, è stato prospettato il valore sanante dell’eventuale deposito della documentazione relativa alla notifica, con l’attestazione di conformità, prodotta dal controricorrente.
E’ stata, invece, esclusa l’inapplicabilità della sanzione dell’improcedibilità per effetto della non contestazione della controparte, in base al tradizionale indirizzo secondo cui “la materia non è nella disponibilità delle parti e l’omissione del deposito deve essere rilevata d’ufficio, come costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte”, non trovando applicazione l’art. 2719 c.c. (visto che “tale regola si applica quando si tratta di attribuire ad un documento efficacia probatoria, da valere tra le parti, mentre non vale quando si devono operare verifiche, quali la tempestività di un atto di impugnazione rispetto ad un termine perentorio e quindi correlativamente la formazione del giudicato, che hanno implicazioni pubblicistiche e non sono nella disponibilità delle parti”) nè il comma 2 dell’art. 23 del CAD, in tema di copia analogica di documento informatico.
11.3. E’ stato quindi enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1ter, e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della Corte di cassazione, mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico”.
11.4. A tale ultimo riguardo, la Corte, reputando sufficiente l’attestazione di conformità del messaggio PEC e del provvedimento allegato che è stato notificato, ha espressamente disatteso l’indirizzo espresso da Cass. n. 26520 del 2017 (rimasto peraltro isolato, ma richiamato nel terzo quesito posto con la presente ordinanza di rimessione), inteso a configurare un “duplice onere di certificazione” a carico del difensore, costituito oltre che dal deposito della copia autenticata di messaggio di trasmissione, relazione di notifica e provvedimento impugnato – pervenuti dalla controparte vittoriosa in appello – anche dall’ulteriore onere di estrazione diretta di una copia analogica della sentenza impugnata ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, comma 9-bis, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.
5 – Sintesi dei principi affermati da Cass. SU 24 settembre 2018, n. 22438.
12. Nella sentenza n. 22438 del 2018 le Sezioni Unite hanno rimeditato, sia pure parzialmente, il principio enunciato nell’ordinanza del 22 dicembre 2017, n. 30918 della Sesta Sezione civile (nella speciale composizione di cui al par. 41.2. delle tabelle della Corte di cassazione) – secondo cui va dichiarato improcedibile il ricorso predisposto in originale telematico, notificato a mezzo PEC e depositato in cancelleria in copia analogica priva di attestazione di conformità, L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, a nulla rilevando la mancata contestazione della controparte ovvero il deposito di copia del ricorso ritualmente autenticata oltre il termine perentorio di cui all’art. 369 c.p.c. – per accedere ad un’interpretazione maggiormente improntata a salvaguardare il “diritto fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), che guarda come obiettivo al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio “mezzo”, il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea, art. 6 CEDU)”.
12.1. In primo luogo è stato evidenziato che l’esigenza anzidetta è già stata coltivata dalla Corte sia nell’indicata ordinanza n. 30918 del 2017 sia nella successiva sentenza SU 27 aprile 2018, n. 10266 (ad essa conforme) attraverso l’affermazione dell’ammissibilità della formazione digitale del ricorso e del suo deposito in copia analogica autenticata, sulla base di un’interpretazione evolutiva, in consonanza con il valore dell’effettività della tutela giurisdizionale e con il principio di “non discriminazione” (quanto agli effetti giuridici) del documento digitale, espresso dall’art. 46 del regolamento UE n. 910 del 2014 (eIDAS), pur in un contesto quale quello del giudizio di cassazione, in cui l’impianto e lo svolgersi della relativa disciplina processuale è, ancora oggi, ancorato ad una dimensione analogica (ossia cartacea) degli atti e dove, pertanto, non trovano applicazione le regole sul PCT.
12.2. Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover compiere un ulteriore intervento nomofilattico, in senso ancor più avanzato, nel solco della strada tracciata da Cass. SU 2 maggio 2017, n. 10648 – che ha escluso la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio – in applicazione del principio di “strumentalità delle forme” degli atti del processo, siccome prescritte dalla legge non per la realizzazione di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma in quanto strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma dell’atto intende conseguire (in tal senso: Cass. 12 maggio 2016, n. 9772).
E’ stato, infatti, rilevato che l’applicazione di tale principio consente di effettuare un ragionevole bilanciamento dei molteplici principi e valori in gioco che sono immanenti al “giusto processo” e non possono certamente essere recessivi rispetto alle forme e modalità con le quali viene configurato il processo da parte del legislatore nell’esercizio dell’ampia discrezionalità che gli compete in materia (tra le tante: Corte Cost., sentenze n. 216 del 2013 e n. 243 del 2014).
Si è sottolineato che ovviamente questo vale anche per il processo telematico, tanto più che tale processo è stato concepito come lo strumento più duttile e funzionale per favorire la semplificazione e l’efficienza del sistema giudiziario nel suo complesso.
12.3. In quest’ottica è stata, innanzi tutto, esclusa la sanzione dell’improcedibilità del ricorso notificato a mezzo PEC come originale telematico e depositato in copia analogica priva di attestazione di conformità o con attestazione priva di sottoscrizione autografa (unitamente alle copie dei messaggi PEC, della relata di notifica e della procura) nell’ipotesi in cui il controricorrente, pur se costituitosi tardivamente, abbia depositato copia analogica debitamente autenticata dell’atto ricevuto (come nel caso che era direttamente all’esame della Corte).
Si è precisato che nella suddetta ipotesi – caratterizzata dall’adempimento della controparte che abbia consentito l’attivazione della sequenza procedimentale senza ritardi apprezzabili (“l’esame del fascicolo non può aver luogo se non si è atteso il tempo utile per il deposito del controricorso”: così la citata Cass. SU n. 10648 del 2017) e dall’esibizione del documento “dalla stessa parte interessata a far constare la violazione processuale” (Cass. SU n. 10648 cit. 2017) – la persistente applicazione della sanzione di improcedibilità condurrebbe ad un vulnus dei richiamati parametri normativi (art. 6 CEDU, ma anche art. 47 della Carta UE e art. 111 Cost.) su cui si fonda il “giusto processo” (tra le altre, Cass. SU 11 luglio 2011, n. 15144).
13. – Per le medesime esigenze, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover escludere la sanzione dell’improcedibilità anche per l’ipotesi in cui nella suindicata fattispecie si verifichi il mancato disconoscimento, da parte del controricorrente destinatario della notificazione, della conformità della suddetta copia analogica all’originale telematico, in applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2.
13.1. A tale riguardo si è rilevato che dall’art. 2, comma 6, del CAD (inserito dal D.Lgs. n. 179 del 2016) si trae conferma del fatto che le disposizioni ivi previste si applicano “al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente stabilito dalle disposizioni in materia di processo telematico” ed anche la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato il primario rilievo da attribuire ai principi generali del D.Lgs. n. 82 del 2005 e alla normativa connessa per la disciplina degli atti del processo civile redatti in forma di documento informatico (Cass. 10 novembre 2015, n. 22871).
D’altra parte – è stato precisato – la ratio decidendi dell’orientamento tradizionale, richiamato da Cass. n. 30918 del 2017cit., per negare rilievo alla mancata contestazione della controparte è rappresentata dall’esigenza di escludere dubbi sulla conformità della copia semplice depositata agli atti rispetto all’originale, con la specificazione che a tale esigenza risponde l’accertamento in capo alla Corte e indisponibile per le parti dell’esistenza, o meno, di un ricorso redatto nelle forme previste dall’art. 365 c.p.c. e ciò, dunque, “a prescindere dalla mancata espressa contestazione della controparte che, non essendo mai stata in possesso dell’atto originale, non è in grado di valutare la conformità all’originale della fotocopia”.
Ciò vuol dire che è stato escluso che la certezza della conformità della copia all’originale – che consente “alla Corte la preliminare verifica, senza possibilità di contestazioni, sulla regolarità della costituzione del contraddittorio, nonchè sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione” (Cass. SU n. 323 del 1976) – possa essere data dalla mancata contestazione di controparte, nella premessa che si tratta di verifica ad essa sottratta (indisponibile), perchè riservata (stante la rilevanza pubblicistica degli interessi) alla Corte di cassazione e che comunque la controparte sarebbe impossibilitata ad operare detta valutazione di conformità non essendo in possesso dell’originale del ricorso.
13.2. Le Sezioni Unite hanno rilevato come tali solidi principi formatisi in ambiente di ricorso analogico – non si attaglino al caso esaminato, visto che il destinatario della notifica telematica del ricorso per cassazione predisposto in forma di documento informatico e sottoscritto con firma digitale è in grado di effettuare direttamente la suindicata verifica di conformità.
La Corte ha soggiunto che nel giudizio di cassazione, non essendo ancora operante il sistema del PCT (ad eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16, convertito dalla L. n. 221 del 2012), è necessario estrarre copie analogiche degli atti digitali ed attestarne la conformità, in virtù del potere appositamente conferito al difensore dalla L. n. 53 del 1994, art. 6 e art. 9, commi 1-bis e 1-ter, non essendo possibile dare prova della notificazione in modalità telematica (come invece previsto dal comma 5 dell’art. 19-bis).
13.3. E’ stato comunque sottolineato che – diversamente da quanto affermato da Cass. 28 giugno 2018, n. 17020 – non si può ammettere la notificazione di un ricorso in originale informatico privo di firma digitale perchè questo comporterebbe che verrebbe, addirittura, a mancare un originale sottoscritto e a tanto non potrebbe sopperire l’attestazione di conformità della copia analogica del ricorso depositata in luogo dell’originale digitale, visto che tale attestazione postula che l’originale digitale sia stato, a sua volta, ritualmente sottoscritto.
Di qui la conclusione che il vizio di sottoscrizione digitale dell’atto nativo digitale notificato – che è l’originale – assume rilevanza e potrebbe determinare anche la nullità dell’atto, se non fosse possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo.
13.4. Dalle suddette premesse le Sezioni Unite hanno desunto che:
a) l’originale del ricorso nativo digitale – in quanto atto processuale – è unico;
b) alla luce di quanto dispone la legge processuale, per relativa validità è necessario che sia sottoscritto con firma (ovviamente) digitale, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo;
c) l’atto così formato è, quindi, l’atto che l’avvocato provvede a notificare, a mezzo PEC all’indirizzo PEC, risultante da pubblici registri, della controparte;
d) la parte destinataria della notificazione viene così in possesso proprio dell’originale del ricorso notificato, sottoscritto con firma digitale;
e) ciò significa che il destinatario viene così posto nella condizione di operare una verifica di conformità all’originale (in suo possesso) della copia analogica del ricorso che è stata già depositata in Cancelleria.
13.5. Tutto questo senza determinare “ritardi apprezzabili” (Cass. SU n. 10648 del 2017) nell’attivazione della sequenza procedimentale anche grazie al coinvolgimento della “stessa parte interessata a far constare la violazione processuale”, il cui comportamento concludente, viene così ad esprimere “una saldatura concettuale, in termini di affidamento, nella verifica della condizione di procedibilità, con la condotta asseverativa imposta al notificante” (come auspicato anche da Cass. 20 agosto 2018, n. 20818 e da Cass. SU 11 settembre 2018, n. 22085, che hanno esaminato due fattispecie in cui gli intimati erano rimasti tali). E, allo stesso tempo, viene ad offrire una collaborazione alla Corte di cassazione per un’attività che, nell’attuale fase, non è in grado di effettuare.
13.6. Le Sezioni Unite hanno quindi sottolineato che, nel suddetto contesto, attraverso l’art. 2, comma 6, del CAD, deve essere attribuita “peculiare valorizzazione” all’art. 23, comma 2, dello stesso CAD.
Ma tale ultima disposizione va intesa – nell’attuale momento di transizione per il giudizio di cassazione non ancora inserito nel sistema del PCT – come “norma di chiusura”, sul duplice presupposto: a) della impossibilità per la Corte di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale; b) della possibilità della parte destinataria dell’atto processuale nativo digitale, debitamente sottoscritto con firma digitale, di poterne operare, o meno, il disconoscimento rispetto alla copia analogica che non sia stata autenticata dal difensore autore dell’atto notificato, in quanto in possesso proprio del suo originale.
Le Sezioni Unite hanno espressamente rilevato che nel descritto contesto – nel quale la regola di verifica della procedibilità del ricorso nativo digitale notificato via PEC non risponde al paradigma originario della disciplina del codice di rito e deve, quindi, misurarsi con la radicalità della sanzione, dell’improcedibilità recata dall’art. 369 c.p.c. secondo i principi di ragionevolezza e proporzionalità che governano la configurazione di impedimenti all’accesso alla tutela giurisdizionale nella sua effettività e, d’altra parte, la Corte di cassazione non può operare le conseguenti verifiche – va superata la configurazione tradizionale sia del suddetto art. 23, comma 2, sia dell’art. 2719 c.c., quali norme ritenute applicabili solo al fine di attribuire ad un documento efficacia di prova, da valere tra le parti, senza potervi ricorrere al di fuori dell’ambito probatorio e quando si devono operare verifiche, come quelle relative alla procedibilità del ricorso, che hanno implicazioni pubblicistiche e non sono nella disponibilità delle parti (vedi: Cass. n. 30918 del 2017 e n. 30765 del 2017).
13.7. Infatti, solo attraverso la suddetta differente configurazione, l’art. 23, comma 2, cit. può trovare applicazione anche per la prova della indefettibile tempestività della notificazione, con riguardo al mancato disconoscimento ad opera del controricorrente dei messaggi di PEC e della relata di notifica depositati in copia analogica non autenticata dalla parte ricorrente, così come, mutatis mutandis, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in più occasioni, in riferimento alla produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia dell’atto processuale spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., in applicazione dell’art. 2719 c.c. (Cass. 27 luglio 2012, n. 13439; Cass. 8 settembre 2017, n. 21003).
13.8. Le Sezioni Unite hanno aggiunto, infine, che il recupero della condizione di procedibilità della sola copia analogica del ricorso (notificato come documento informatico nativo digitale) tramite l’asseverazione “ora per allora” (secondo l’espressione utilizzata nella presente ordinanza interlocutoria) può intervenire sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio, purchè almeno la copia semplice sia stata tempestivamente depositata.
Inoltre, le Sezioni Unite hanno aggiunto che è stata così configurata “una fattispecie a formazione progressiva”,, che si esaurisce in un lasso temporale reputato proporzionato e ragionevole, senza “ritardi apprezzabili” nell’attivazione della sequenza procedimentale (vedi: Cass. SU n. 10648 del 2017 alla quale si può fare ricorso anche in altri casi, ove se ne presenti l’eventualità.
13.9. E si è precisato che la suddetta eventualità può verificarsi nei seguenti casi:
a) deposito tardivo del controricorso da parte del destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale senza disconoscimento della conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata): in questo caso può trovare applicazione lo stesso principio che regola il caso del controricorrente tempestivamente costituitosi e che non abbia operato il disconoscimento ai sensi dell’art. 23, comma 2, del CAD;
b) se il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale sia rimasto solo intimato. In questo caso il ricorrente potrà depositare, in base all’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del comma 2 dello stesso art. 372), l’asseverazione di conformità all’originale (L. n. 53 del 1994, ex art. 9) della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata) sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380-bis e 380 ter c.p.c.); in difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile;
c) se il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all’originale della copia analogica informe del ricorso (tempestivamente depositata), sarà onere del ricorrente, nei termini anzidetti (sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio), depositare l’asseverazione di legge di conformità della copia analogica all’originale notificato; in difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile;
d) se vi siano più destinatari della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale e non tutti depositino controricorso, in assenza di disconoscimento ex art. 23, comma 2, CAD, il ricorrente – posto che detto comportamento concludente ex lege impegna solo la parte che lo pone in essere – sarà onerato di depositare (ove abbia già tempestivamente depositato la copia analogica informe del ricorso), nei termini sopra precisati (sino all’udienza pubblica o all’adunanza di camera di consiglio), l’asseverazione di cui alla L. n. 53 del 1994, art. 9; in difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile.
In sintesi, le Sezioni Unite hanno stabilito che, ove il destinatario della notifica del ricorso rimanga solo intimato (ovvero, nell’ipotesi di più destinatari, allorchè anche uno solo rimanga intimato), il ricorrente potrà depositare l’attestazione di conformità sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio, così come il medesimo ricorrente sarà tenuto a fare anche nell’ipotesi di disconoscimento della conformità da parte del controricorrente. Di conseguenza, in tali ipotesi, per evitare l’improcedibilità il ricorrente dovrà attivarsi e depositare l’attestazione di conformità entro i predetti termini.
13.10. In esito all’esposto percorso motivazionale, nel cui ambito sono stati valorizzati anche i precedenti arresti in tema di deposito del ricorso in copia semplice (Cass. SU 2 febbraio 1976, n. 323 e Cass. 26 giugno 2008, n. 17534), è stato attribuito specifico rilievo al presupposto, indefettibile, della iniziale tempestività (nei venti giorni stabiliti dall’art. 369 c.p.c.) del deposito del ricorso, seppure in copia semplice purchè l’originale sia ritualmente sottoscritto (fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo), visto che solo tale tempestività può consentire che il procedimento inteso ad acquisire certezza circa la conformità della copia all’originale possa intervenire anche oltre il termine anzidetto.
In definitiva, le Sezioni Unite hanno inteso adottare un’interpretazione ispirata ad esigenze di effettività della tutela, attribuendo rilievo al comportamento delle parti – quantunque successivo alla scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c. – onde escludere la sanzione dell’improcedibilità o comunque limitarne l’ambito applicativo, per le suindicate finalità.
VI – Analisi delle argomentazioni dell’ordinanza di rimessione.
14. Ai fini del presente giudizio, deve anche essere evidenziato che preliminarmente le Sezioni Unite, nella sentenza n. 22438 del 2018 cit., hanno precisato di non essere state investite della questione della improcedibilità dell’impugnazione in difetto di attestazione di conformità della copia analogica della sentenza notificata con modalità telematiche, di cui all’ordinanza n. 30765 del 22 dicembre 2017 della Sesta Sezione, sottolineando la diversità di tale fattispecie rispetto a quella esaminata “sebbene possano ravvisarsi punti di contatto”.
Questo è l’unico riferimento, contenuto nella sentenza SU n. 22438 del 2018 cit., alla suddetta ordinanza e alla problematica in essa affrontata.
15. Quanto poi alla configurazione proposta nell’ordinanza di rimessione, va osservato che, nella sentenza n. 22438 cit., a proposito della formazione digitale del ricorso e del suo deposito in copia analogica non autenticata, si afferma che si tratta di “atto ed attività processuali che, di certo, non trovano immediata corrispondenza nel paradigma segnato dal combinato disposto dell’art. 365 c.p.c. e art. 369 c.p.c., comma 1, ossia di norme la cui originaria formulazione non è stata mai interessata da modifiche legislative dall’epoca, ormai risalente, della promulgazione del codice di rito”.
Le Sezioni Unite hanno anche sottolineato la rilevanza – come atto processuale – dell’originale del ricorso nativo digitale sottoscritto con firma (ovviamente) digitale, che l’avvocato provvede a notificare, a mezzo PEC, all’indirizzo PEC, risultante da pubblici registri, della controparte, la quale entrando così in possesso dell’originale del ricorso notificato sarà posta nella condizione di operare una verifica di conformità all’originale (in suo possesso) della copia analogica del ricorso che è stata già depositata in Cancelleria.
Inoltre, come si è detto, all’art. 23, comma 2, del CAD, le Sezioni Unite, sulla base dell’art. 2, comma 6, del CAD, hanno attribuito il ruolo di norma-cardine, idonea ad operare anche per verifiche, come quelle relative alla procedibilità del ricorso, che hanno implicazioni pubblicistiche e tradizionalmente non sono nella disponibilità delle parti, con una significativa evoluzione rispetto al precedente indirizzo secondo cui l’art. 23 cit., al pari di quella dell’art. 2719 c.c., si ritenevano applicabili solo al fine di attribuire ad un documento efficacia probatoria, da valere tra le parti (vedi: Cass. n. 30918 del 2017 e n. 30765 del 2017), indirizzo cui sembra riferirsi l’attuale ordinanza di rimessione, laddove in essa si sostiene che il suddetto art. 23, comma 2, CAD. è una norma riguardante la disciplina della prova che, come tale sarebbe stata intesa dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 22438 del 2018 cit.
16. Ne deriva che non appaiono esservi elementi per desumere che, dalla motivazione della sentenza SU n. 22438 del 2018, si possa evincere l’assunto fondamentale, su cui poggiano le complesse argomentazioni dell’ordinanza di rimessione, rappresentato dalla ritenuta differenza – per natura e funzione – del requisito di procedibilità costituito dal deposito di copia autentica della sentenza rispetto al deposito del ricorso notificato in via telematica.
17. D’altra parte, neppure la lettura dell’art. 369 c.p.c., come tradizionalmente interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, porta a condividere tale assunto visto che da essa si desumono, fra gli altri, i seguenti principi di carattere generale:
a) tradizionalmente, per costante indirizzo di questa Corte, la finalità della prescrizione dell’onere del deposito (di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2) insieme con il ricorso per cassazione e a pena di improcedibilità dello stesso (ed entro il termine di cui al comma 1 dello medesimo art. 369), della copia autentica della decisione impugnata con la relazione di notificazione (ove questa sia avvenuta), è quella di consentire la verifica della tempestività dell’atto di impugnazione e della fondatezza dei suoi motivi a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, essendo il diritto di impugnazione esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve se vi sia stata la notificazione della sentenza (fra le tante: Cass. 6 agosto 2015, n. 16548; Cass. 20 novembre 2002, n. 16385; Cass. 28 ottobre 2000, n. 14240);
b) la copia della decisione impugnata – richiesta con l’attestazione di autenticità “a disciplina e salvaguardia della fedeltà documentale” (Cass. 16 dicembre 2002) – è da comprendere fra gli “allegati” al ricorso e può essere depositata anche separatamente ex art. 372 c.p.c. (che consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso e può applicarsi estensivamente anche ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso stesso), purchè nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso stesso (fra le tante: Cass. 30 marzo 2004, n. 6350);
c) deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass. SU n. 10648 del 2017 cit.);
d) infatti, il tenore letterale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, che prescrive a pena di improcedibilità il deposito unitamente al ricorso della “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta” non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione (Cass. SU n. 10648 del 2017 cit.);
e) in continuità con il principio affermato da Cass. SU n. 10648 del 2017 cit. non va applicata la sanzione della improcedibilità nell’ipotesi in cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la copia notificata della sentenza impugnata presente negli atti prodotti dal controricorrente (Cass. SU 16 novembre 2017, n. 27199).
Dai suddetti principi si desume che anche “in ambiente di ricorso analogico e di norme processuali calibrate su tale forma di atto” (secondo la felice espressione usata da Cass. SU n. 22438 cit.) ai fini della procedibilità il ricorso, la decisione impugnata e la relata di notifica (nell’ipotesi di sentenza notificata) sono presi in considerazione sia come atti processuali (ovviamente di valenza diversa) sia con riguardo all’attività rappresentata dal relativo deposito, nella necessaria ricerca di un punto di equilibrio, che consenta di bilanciare la esigenza funzionale di porre regole di accesso alle impugnazioni con quella a un equo processo, da celebrare in tempi ragionevoli, come prescritto, dalla nostra Costituzione e dalla CEDU.
18. Deve essere, inoltre, sottolineato che se la decisione censurata è l’oggetto della impugnazione, il ricorso è l’atto indefettibile – che dà impulso al giudizio di cassazione tanto che è il giorno in cui viene depositato il ricorso ad essere registrato, mentre la sentenza può essere depositata anche dopo (purchè nel termine di venti giorni dall’ultima notifica) o addirittura non essere depositata da parte del ricorrente se si tratta di sentenza notificata prodotta dal controricorrente, come si è detto.
19. Comunque, per tutti questi atti contano principalmente due elementi la conformità all’originale e la tempestività del deposito.
Quanto alla conformità all’originale è chiaro che solo per la decisione, che non è un atto di parte, si pone l’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale (Cass. SU 16 aprile 2009, n. 9005), salva restando la punibilità penale e/o disciplinare (a carico dell’avvocato) di eventuali falsità materiali o ideologiche.
Ma anche del ricorso – come degli atti processuali di parte, in genere – viene salvaguardata la fedeltà documentale, tanto che non solo sono inammissibili successive censure ulteriori e/o diverse da quelle formulate nel ricorso, ma per i casi le più gravi violazioni sul punto sono previste sanzioni disciplinari (per gli avvocati: vedi spec. art. 50 codice deontologico forense) e/o penali.
20. Peraltro, l’ingresso nel giudizio del ricorso e degli atti allegati è condizionato dalla tempestività del relativo deposito, requisito che risponde all’esigenza di razionale gestione del processo di cassazione ma che, nell’ottica dei principi costituzionali, deve essere inteso in modo tale da non collegare la sanzione dell’improcedibilità, che comporta il divieto di accesso al giudice, ad inutili formalismi, contrastanti con le esigenze di efficienza e semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia.
21. I medesimi principi sono applicabili – mutatis mutandis – per la valutazione della procedibilità, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., degli atti processuali (a partire dal ricorso per cassazione) nativi digitali, notificati a mezzo posta elettronica certificata, benchè si tratti di una fattispecie che – quanto alle caratteristiche degli atti e alle attività processuali conseguenti – di certo, non trova immediata corrispondenza nel paradigma segnato dal combinato disposto dell’art. 365 c.p.c. e art. 369 c.p.c., comma 1, (vedi: Cass. SU n. 22438 del 2018 cit.).
Va anche considerato che la suddetta fattispecie è assoggettata ad una peculiare disciplina perchè il processo telematico non è stato (ancora) esteso dal legislatore al giudizio di cassazione che è tuttora un processo analogico, con la sola eccezione delle comunicazioni e notificazioni da parte delle Cancellerie delle Sezioni civili secondo quanto previsto dal D.M. Giustizia 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 10, convertito dalla L. n. 221 del 2012 (vedi, per tutte: Cass. n. 30765 del 2017 e Cass. SU n. 22438 del 2018).
Questo impedisce alla Corte di verificare, direttamente e autonomamente, la conformità all’originale nativo digitale della copia analogica del ricorso depositata; di qui la necessità di estrarre copie analogiche (cioè cartacee) degli atti digitali e di adottare una procedura ad hoc.
Ma questo – transitorio – impedimento, inserito nel sistema giudiziario nel suo complesso, non può che portare a ritenere che anche per la Corte di cassazione l’applicazione, per ora parziale, del PCT deve comunque corrispondere alla finalità per la quale il PCT è stato concepito, cioè quella di essere lo strumento più duttile e funzionale per favorire la semplificazione e l’efficienza del sistema giudiziario, sempre nel rispetto dei principi costituzionali, UE e CEDU.
22. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 22438 del 2018 muovendo da tali premesse – hanno espressamente affermato di voler proseguire sulla strada tracciata da Cass. n. 30918 del 2017 e Cass. SU n. 10266 del 2018 con la finalità di dare una ancora più intensa applicazione ai principi del giusto processo e, in particolare, dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), “in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione Europea)” nonchè all’art. 6 CEDU, secondo l’indirizzo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in base al quale il diritto di accesso ad un tribunale (e alla Corte di cassazione), pur prestandosi a limitazioni implicitamente ammesse in particolare per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità di un ricorso, viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente (vedi, per tutte: Corte EDU, 16 giugno 2015, Mazzoni c. Italia e 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia).
In altri termini le Sezioni Unite hanno voluto evitare qualunque vulnus agli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost., i quali concorrono ad attribuire il massimo rilievo all’effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento del principale scopo del processo, tendente ad una decisione di merito (Cass. SU 11 luglio 2011, n. 15144).
23. Di conseguenza – e, quindi, nell’intento di privilegiare il principio di “strumentalità delle forme” processuali e i vuoti formalismi – le Sezioni Unite hanno sottolineato la specificità dei principi dettati dal CAD, anche per quanto riguarda la disciplina degli atti del processo civile redatti in ambiente digitale/telematico.
E, in particolare, hanno precisato come le argomentazioni poste a sostegno della tradizionale giurisprudenza di legittimità in materia di procedibilità del ricorso si siano formate “in ambiente di ricorso analogico” sicchè non sono del tutto compatibili “in ambiente di ricorso nativo digitale”.
Nella sentenza n. 22438 cit. è stato, in particolare, evidenziato l’anzidetta incompatibilità è in particolare evidenziata dal fatto che, diversamente da quel che accade in ambiente analogico, nel caso di specie il destinatario della notifica telematica del ricorso per cassazione predisposto in forma di documento informatico e sottoscritto con firma digitale è in grado di effettuare direttamente tale verifica di conformità perchè viene in possesso dell’originale dell’atto.
Di qui la conclusione che non dare rilievo a questa situazione che oltretutto si pone in una fase di “transizione” per il giudizio di cassazione – si tradurrebbe in un “vuoto formalismo” privo di ragionevolezza e che, anzi, rischierebbe di allungare i tempi processuali se non addirittura di rendere impossibile il raggiungimento di una decisione sul merito delle censure.
Per le suddette ragioni attraverso il mancato disconoscimento del controricorrente, ai sensi dell’art. 23, comma 2, del CAD ovvero l’asseverazione “ora per allora”, le Sezioni Unite hanno consentito il recupero della condizione di procedibilità anche oltre il termine di venti giorni, ma nei tempi di “non apprezzabile ritardo” pure individuati nella medesima sentenza secondo il “meccanismo a formazione progressiva” ivi indicato (vale a dire fino all’udienza ovvero alla camera di consiglio).
VII – Applicabilità alla presente fattispecie dei principi affermati da Cass. SU n. 22438 del 2018 24. Ne risulta che la ragione principale posta a fondamento della sentenza n. 22438 cit. è quella di garantire una migliore realizzazione dei principi del giusto processo evitando inutili formalismi anche con riguardo alla valutazione della procedibilità del ricorso, nella presente fase caratterizzata da una applicazione solo parziale delle regole del PCT al giudizio di cassazione.
Sulla base di questa premessa è stato ritenuto che non dare rilievo al comportamento del controricorrente destinatario del ricorso al fine di attestare la tempestività del deposito e la conformità dell’atto all’originale avrebbe portato ad una irragionevole violazione dei suddetti principi, derivante dal modo in cui essi vanno intesi “in ambiente di ricorso nativo digitale”, nell’attuale periodo intermedio nel quale non essendo il giudizio di legittimità ancora inserito nel sistema del PCT, la Corte si trova nell’impossibilità di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale mentre tale verifica è possibile con un semplice adempimento alla parte destinataria dell’atto processuale nativo digitale, debitamente sottoscritto con firma digitale.
E va sottolineato che se – per dare rilievo al mancato disconoscimento, da parte del controricorrente destinatario della notificazione, della conformità di detta copia all’originale telematico si è fatta applicazione dell’art. 23, comma 2, del CAD, lo si è fatto intendendo tale disposizione – al pari dell’art. 2719 c.c. – nel modo innovativo descritto, sulla premessa che – in applicazione del principio di “strumentalità delle forme” degli atti del processo – le regole di accesso al giudizio applicabili al ricorso e gli atti processuali nativi digitali non coincidono con quelle tradizionalmente applicate in ambiente di ricorso analogico.
25. Dall’anzidetta constatazione le Sezioni Unite hanno desunto che, per quel che concerne la procedibilità del ricorso, è necessario un adattamento delle regole applicabili onde evitare che l’applicazione della sanzione dell’improcebilità, sulla base dei principi tradizionali nati “in ambiente di ricorso analogico”, risulti irragionevole o sproporzionata nel diverso “ambiente digitale”.
E’ stata così trovata una soluzione idonea a favorire la semplificazione e l’efficienza del sistema giudiziario, nel rispetto dei principi costituzionali, UE e CEDU superando, da un lato, inutili formalismi, ma allo stesso tempo tenendo in considerazione l’esigenza funzionale di porre regole di accesso al giudizio di cassazione.
26. I suindicati principi appaiono applicabili – nella presente fase caratterizzata da una applicazione solo parziale delle regole del PCT al giudizio di cassazione – anche all’ipotesi del deposito di copia della decisione impugnata notificata a mezzo PEC, non autenticata ma non disconosciuta dal controricorrente (cui si riferisce la presente ordinanza di rimessione).
Invero per questa ipotesi possono valere, a più forte ragione, le medesime argomentazioni utilizzate dalla sentenza SU n. 22438 del 2018 cit. per superare l’orientamento tradizionale – formulato con riguardo al ricorso analogico e alle norme processuali calibrate per questo tipo di atto – secondo cui è stata esclusa rilevanza alla “non contestazione” del controricorrente in materia di procedibilità del ricorso, per il fatto che questi non era in possesso dell’originale del ricorso.
27. Anche per la verifica di conformità all’originale della decisione impugnata la rilevanza della “non contestazione” del controricorrente è stata tradizionalmente esclusa sul principale assunto secondo cui la materia non è nella disponibilità delle parti e comunque in materia non potessero trovare applicazione nè l’art. 2719 c.c. nè il comma 2 dell’art. 23 del CAD (in tema di copia analogica di documento informatico), che si è sempre ritenuto che siano riferibili ad ipotesi in cui si tratta di attribuire ad un documento efficacia probatoria, da valere tra le parti, ma non valgono “quando si devono operare verifiche, quali la tempestività di un atto di impugnazione rispetto ad un termine perentorio e quindi correlativamente la formazione del giudicato, che hanno implicazioni pubblicistiche e non sono nella disponibilità delle parti” (come ricordato da Cass. n. 30765 del 2017 cit., vedi sopra 11.2).
Ebbene, così come è stato rilevato da Cass. SU n. 22438 cit. per la procedibilità del ricorso, tali solidi principi – formatisi in ambiente di ricorso analogico – non si attagliano al caso qui esaminato, visto che in modo analogo a quanto accade per il ricorso nativo digitale notificato via PEC, anche nel caso della sentenza non autenticata notificata per via telematica e poi depositata (in termini) il coinvolgimento del controricorrente – anche sotto forma di “non contestazione” – della conformità della copia notificata all’originale appare del tutto rispondente ai principi del giusto processo perseguiti dalla sentenza n. 22428 del 2018 cit., perchè è proprio il controricorrente ad effettuare la notifica.
Nè possono nutrirsi dubbi sulla diretta applicabilità del potere di attestazione, ai sensi della L. n. 54 del 1993, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, visto che tali disposizioni sono state originariamente intese come dirette al mittente della notificazione e la possibilità di estenderne l’ambito applicativo anche al destinatario della notifica è stata affermata successivamente, valorizzando l’incipit del comma Iter dell’art. 9 cit., secondo cui il potere di attestazione sussiste “in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche”.
Pertanto, l’inserimento nel circuito processuale della collaborazione del depositante dell’atto e del controricorrente, ai fini delle verifiche di conformità obiettivamente precluse alla Corte nel presente momento storico, anche nel caso in esame trova piena giustificazione.
28. A ciò può aggiungersi che poichè uno degli interessi prevalenti perseguiti dal legislatore in materia di deposito del ricorso e dei suoi allegati – insieme con la tempestività della relativa procedura – è la salvaguardia della fedeltà documentale e che questo obiettivo ha un ruolo centrale anche con riguardo alla procedura telematica, non può esservi dubbio sul fatto che, essendo la sentenza un atto pubblico, la verifica di conformità – diretta al rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, insieme con la tempestività che, in questo caso, viene ad essere affidata alla collaborazione del depositante dell’atto e del controricorrente è da un lato facilitata rispetto al caso del ricorso ma è, d’altra parte, presidiata da incisive sanzioni anche penali.
VIII – Applicabilità dei medesimi principi ad altre fattispecie “in ambiente digitale”.
29. La ritenuta applicabilità dei principi innovativi affermati da Cass. SU n. 22438 del 2018 cit. alla presente fattispecie consente di evitare l’epilogo dell’improcedibilità, che invece sarebbe inevitabile in applicazione dei principi tradizionalmente espressi dalla giurisprudenza (in particolare: Cass. SU n. 9005 del 2009, ma anche Cass. n. 17066 del 2013 e Cass. SU n. 10648 del 2017), a prescindere dalla prova di resistenza (positiva) quanto alla tempestività dell’impugnazione, visto che manca la copia autentica della sentenza, depositata unicamente in copia semplice, come stampa dell’allegato al messaggio PEC.
30. Peraltro, dalla stessa motivazione della sentenza n. 22438 del 2018 cit. si evince chiaramente che le Sezioni Unite hanno inteso i principi ivi affermati come idonei ad avere plurime applicazioni, in quanto fino a quando il PCT non avrà completa applicazione nel giudizio di cassazione il meccanismo del mancato disconoscimento o dell’asseverazione “ora per allora” può consentire alle parti di verificare l’autenticità degli atti e di supplire in modo semplice ed efficace – grazie all’uso dello “ambiente digitale” – offrendo così collaborazione alla Corte al riguardo.
Pertanto, dando seguito a tale indirizzo, si ritiene che la “fattispecie a formazione progressiva” qui delineata – adattandola a quella configurata dalla citata sentenza – sia suscettibile di essere applicata, per analogia, anche a situazioni nelle quali la decisione impugnata sia stata depositata ma non notificata, sempre che ci si trovi in ambiente digitale.
Infatti, ai fini del deposito della decisione in copia autentica, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore può giovarsi del potere di autentica a lui espressamente conferito dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis, cit., purchè sia rispettata la condizione ivi prevista, vale a dire che egli attesti trattarsi di atto contenuto nel fascicolo informatico di ufficio, perchè originariamente digitale ovvero perchè digitalizzato dal cancelliere.
31. A proposito del potere di autenticazione degli avvocati difensori, Cass. 8 novembre 2017, n. 26479 ha affermato che l’ambito del potere di autentica conferito ai difensori ed agli altri soggetti ivi indicati si estende a tutti gli atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico, sia perchè originariamente depositati in formato digitale sia perchè depositati in formato cartaceo e successivamente digitalizzati dal cancelliere, ai sensi del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 15, comma 4, senza che l’applicabilità della norma sia da limitare ai soli procedimenti iscritti successivamente al 30 giugno 2014.
32. Ne consegue che i principi affermati da Cass. n. 22438 del 2018 cit. si devono ritenere applicabili anche al procedimento di autenticazione di copia della sentenza, ricorrendone i presupposti e, in particolare, il medesimo meccanismo di collaborazione delle parti, prefigurato dalle Sezioni Unite per giungere all’autenticazione del documento.
Infatti, anche in questo caso, ove la decisione impugnata sia stata predisposta e sottoscritta digitalmente, la Corte di cassazione non potrebbe che prenderne cognizione attraverso il deposito di copia analogica, stante l’impossibilità del deposito telematico, senza che possa predicarsi la necessità che l’attestazione provenga dal cancelliere, poichè l’ordinamento ha espressamente conferito anche al difensore il potere di asseverazione, in aggiunta a quello del cancelliere.
Inoltre, non si ravvisano ragioni che inducano a precludere, pure nella suddetta ipotesi, il recupero della condizione di procedibilità nei tempi di “non apprezzabile ritardo” pure individuati dalle Sezioni Unite secondo il meccanismo a formazione progressiva, vale a dire fino all’udienza ovvero alla camera di consiglio.
33. In altri termini, quando ci si trovi in “ambiente digitale”, anche con riguardo alla decisione impugnata non notificata, appaiono applicabili i medesimi principi innovatori onde restringere l’ambito applicativo della sanzione dell’improcedibilità del ricorso. Pure in questo caso se il difensore deposita una copia semplice, priva di attestazione di conformità ovvero con attestazione non sottoscritta, l’improcedibilità può evitata ove il controricorrente non ne contesti la conformità ovvero il ricorrente provveda ad effettuare l’asseverazione “ora per allora”.
34. Tra le situazioni cui i suddetti principi sono applicabili sono da comprendere le seguenti:
a) sentenza impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente, necessariamente inserita nel fascicolo informatico. In questo caso, caratterizzato dal deposito di copia semplice della sentenza, la sanatoria potrà conseguire dalla mancata contestazione ai sensi dell’art. 23, comma 2, CAD ovvero dalla successiva asseverazione, per le medesime ragioni poste a fondamento del meccanismo creato per il ricorso digitale e qui esteso alla sentenza notificata via PEC.
Va precisato che la stampa di una sentenza firmata digitalmente normalmente non consente la verifica circa l’effettiva sottoscrizione dell’atto; sicchè anche in questo caso – come nel caso del ricorso predisposto in formato digitale e depositato in copia stampata, analizzato da Cass. SU n. 22438 del 2018 – l’attività di collaborazione delle parti diventa decisiva, visto che alla Corte è precluso l’esame dell’atto originale e la conoscenza è mediata necessariamente dall’attività delle parti, a meno di ricorrere alla certificazione di cancelleria, cui però ormai supplisce il potere di attestazione appositamente conferito al difensore e che non può quindi essere imposta;
b) sentenza impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico. Pure in questo caso possono valere i medesimi principi, secondo cui l’equiparazione della copia all’originale consegue comunque dalla non contestazione ovvero dalla asseverazione;
c) deposito di provvedimento comunicato dalla Cancelleria a mezzo PEC. In questo caso, occorre distinguere fra l’accertamento della data di comunicazione ai fini della verifica di tempestività dell’atto e il deposito del provvedimento in forma autentica.
Quanto al primo aspetto, poichè nella specie non trattasi di iniziativa della parte, la circostanza può essere verificata ed acquisita di ufficio (vedi: Cass. SU 15 maggio 2018, n. 11850).
Al deposito del provvedimento in forma autentica è applicabile il descritto meccanismo dalla non contestazione ovvero dalla asseverazione, dianzi descritto.
IX – Le soluzioni delle Questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione.
35.- Alla luce delle suesposte osservazioni l’esame delle questioni proposte con l’ordinanza di rimessione porta alle seguenti soluzioni:
1) la questione di massima di particolare importanza prospettata in via principale deve essere risolta nel senso che, in ambiente digitale, va esclusa la sanzione della improcedibilità del ricorso nel caso di tempestivo deposito di copia semplice della decisione impugnata e notificata a mezzo PEC, in assenza di disconoscimento da parte del controricorrente ovvero in presenza di asseverazione del ricorrente “ora per allora”, in applicazione dei principi affermati da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 22438 del 2018;
2) la prima questione aggiuntiva deve essere risolta nel senso dell’applicabilità dei suindicati principi, a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica decisione impugnata;
3) il secondo quesito aggiuntivo è da definire nel senso della incompatibilità logico-giuridica – peraltro, rilevata anche nell’ordinanza di rimessione – della riviviscenza dell’esigenza della c.d. “doppia attestazione”, affermata da Cass. n. 26520 del 2017 ed espressamente disattesa da Cass. n. 30765 del 2017 cit., con la soluzione sub 1). Infatti, il meccanismo del mancato disconoscimento ovvero dell’asseverazione “ora per allora” comporta come conseguenza la sopravvenuta autenticazione della copia semplice depositata: a) nel primo caso per l’equiparazione all’originale prevista dall’art. 23, comma 2, del CAD; b) nel secondo caso, in virtù del potere di autentica esercitato dal difensore. Pertanto, nell’ipotesi di deposito di copia della sentenza notificata telematicamente priva di attestazione ma depositata tempestivamente, se il controricorrente non ne contesti la conformità ovvero il ricorrente provveda all’asseverazione sino all’udienza ovvero alla camera di consiglio, si realizza la condizione dell’autenticazione richiesta della norma (sia pure secondo la “fattispecie a formazione progressiva” prefigurata dalle Sezioni Unite) senza che siano necessari ulteriori incombenti (come la c.d. “doppia attestazione”). Se, invece, il destinatario della notifica del ricorso resta intimato e il ricorrente non provvede al deposito dell’asseverazione, ne deriverà comunque l’improcedibilità, pure in applicazione dei principi espressi da Cass. SU n. 22438 del 2018 cit.
X – Conclusioni.
36. Per le suindicate ragioni il presente ricorso va dichiarato procedibile. L’esame dei motivi del ricorso va rimesso alla Terza Sezione Civile, che provvederà anche alla determinazione delle spese processuali.
37. In conclusione vanno enunciati i seguenti principi di diritto:
1) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata;
2) i medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa;
3) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformità del difensore D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, ex art. 16-bis, comma 9-bis, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio;
4) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio;
5) la comunicazione a mezzo PEC a cura della cancelleria del testo integrale della decisione (e non del solo avviso del relativo deposito), consente di verificare d’ufficio la tempestività dell’impugnazione, mentre per quanto riguarda l’autenticità del provvedimento si possono applicare i suindicati principi, sempre che ci si trovi in “ambiente digitale”.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il ricorso procedibile; rinvia alla Terza Sezione Civile per l’esame dei motivi del ricorso nonchè per le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2019