Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.122 del 08/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23972-2016 proposto da:

S.J.N. INSURANCE COMPANY OF EUROPE LTD RAPPRESENTANZA GENERALE ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore N.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. MERCALLI 80, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ROMEO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

U.A. SPA già F.S. SPA in persona del procuratore speciale Dott. G.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e difende;

S.J.N. INSURANCE COMPANY OF EUROPE LTD RAPPRESENTANZA GENERALE ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore N.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. MERCALLI 80, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ROMEO, che la rappresenta e difende;

CASA GENERALIZIA ORDINE OSPEDALIERO ***** titolare dell’Ospedale *****, in persona del Dott. L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 5, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ARISTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DI MAURO;

SOCIETA’ C.A. COOP ARL in proprio e quale avente causa di V.A. SPA, nonchè quale avente causa della Soc. D.U.O.A. SPA, in persona del procuratore della Società Dott. B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende;

T.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

BERTOLONI 26-B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO BRUGNOLETTI, che la rappresenta e difende;

Z.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE SQUARCIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO RANIERI;

A. SPA in persona dei procuratori Dott. C.A. e Dott.ssa S.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO SPADAFORA;

G.A. SPA in persona del Procuratore Speciale Dott. R.P., elettivamente domiciliata in ROMA, V.DELLA CROCE 44, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO GRANDINETTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

M.M., M.R., D.C.T., B.A.T.B., B.B.M., B.C., UNIVERSITA’ STUDI ROMA TOR VERGATA, D.U.O.A. SPA;

– intimati –

Nonchè da:

M.M. in proprio e n. q. di genitore esercente la potestà

sui figli minori M.D. e ME.DA., D.C.T., M.R., B.B.M., B.A.T.B., B.C. in proprio e nella qualità di curatrice di B.A.B., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE T. LABIENO 118, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GIAMPAOLO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

contro

F.S. SPA D.U.O.A. SPA SOCIETA’

C.A. COOP ARL, UNIVERSITA’ STUDI ROMA TOR VERGATA, A.

SPA, T.L., G.A. SPA, Z.E., *****, S.J.N. INSURANCE COMPANY OF EUROPE LTD RAPPRESENTANZA GENERALE ITALIA;

– intimati –

sul ricorso 24168-2016 proposto da:

***** titolare dell’Ospedale *****, in persona del Dott. L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 5, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ARIETA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DI MAURO;

– ricorrente –

contro

U.A. SPA già F.S. SPA in persona del procuratore speciale Dott. G.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e difende;

U.A. SPA già F.S. SPA in persona del procuratore speciale Dott. G.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e difende;

SOCIETA’ C.A. COOP ARL in proprio e quale avente causa di V.A. SPA, nonchè quale avente causa della Soc. D.U.O.A. SPA, in persona del procuratore della Società Dott. B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende;

G.A. SPA in persona del Procuratore Speciale Dott. R.P., elettivamente domiciliata in ROMA, V.DELLA CROCE 44, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO GRANDINETTI, che la rappresenta e difende;

Z.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE SQUARCIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO RANIERI;

T.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

BERTOLONI 26-B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO BRUGNOLETTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

M.M., M.R., D.C.T., B.C., B.T.B.A., B.B.M., S.J. INSURANCE COMPANY OF EUROPE LIMITED, SOCIETA’ C.D.A. SPA D.U.O.A. SPA GIA’ D.A.E.R.

SPA, Z.E., G.A. SPA GIA’ N.T. SPA, T.L., A. SPA, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA, U.A. SPA;

– intimati –

Nonchè da:

M.M. in proprio e n. q. di genitore esercente la potestà

sui figli minori M.D. e ME.DA., D.C.T., M.R., B.B.M., B.A.T.B., B.C. in proprio e nella qualità di curatrice di B.A.B., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE T. LABIENO 118, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GIAMPAOLO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

e contro

*****, S.J. INSURANCE COMPANY OF EUROPE LIMITED, G.A. GIA’ N.T., T.L., A. SPA GIA’

R. SPA, UNIVERSITA DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA, SOCIETA’

C.D.A. COOP ARL, D.U.O.A. SPA, F.S. SPA;

– intimati –

Nonchè da:

SOCIETA’ C.A. COOP ARL in proprio e quale avente causa di V.A. SPA, nonchè quale avente causa della Soc. D.U.O.A. SPA, in persona del procuratore della Società Dott. B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

contro

M.M., *****, S.J.N. INSURANCE COMPANY OF.

EUROPE LTD, M.R., D.C.T., B.C., B.B.A.T., B.B.M., Z.E., G.A. SPA GIA’ N.T. SPA, T.L., A. SPA, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA, U.A.

SPA GIA’ F.S. SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4067/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/06/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CARDINO ALBERTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale di Casa Generalizia dell’Ordine Ospedaliero di *****, titolare dell’Ospedale *****; rigetto del ricorso principale di S.J.N. Insurance Company of Europe Limited; rigetto dei due ricorsi incidentali di M.M., M.R., D.C.T., B.C., B.A.T.B. e B.M.B.;

assorbimento del ricorso incidentale condizionato di Società

C.d.A. Coop a r.l.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso Casa Generalizia, rigetto del ricorso S., rigetto di entrambi i ricorsi M., assorbimento degli altri incidentali;

udito l’Avvocato SCIPIONI MASSIMILIANO per delega;

udito l’Avvocato ARISTA GIOVANNI;

udito l’Avvocato ACQUAVIVA CARLO per delega;

udito l’Avvocato FARINELLI PATRIZIA per delega;

udito l’Avvocato COLETTI PIERFILIPPO;

udito l’Avvocato DE COSMO AMANDA per delega;

udito l’Avvocato RANIERI MASSIMO;

udito l’Avvocato GIAMPAOLO FILIPPO.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 15497/2012, sulla scorta della espletata c.t.u. rigettava la domanda di condanna al risarcimento danni per malpractice medica proposta da M.M., in proprio e quale genitore dei minori ME.DA. e D., M.R., D.C.T., B.C., in proprio e n. q. di curatore di B.A.B., B.A.T.B. e B.B.M., nei confronti di Casa Generalizia dell’Ordine Ospedaliero di ***** (da ora in poi *****), ritenuta responsabile per il ritardo con il quale i medici dalla stessa dipendenti, Z.E. e T.L., avevano eseguito il trattamento terapeutico consistente nel taglio cesareo e rimozione chirurgica della placenta – sulla paziente B.A.B., gestante in seconda gravidanza, ricoverata presso il nosocomio, in data ***** con diagnosi di “sospetta preeclampsia” evoluta in Helip Syndrome ed esitata in una emorragia cerebrale acuta, e che, dopo la nascita del feto, aveva determinato nella donna postumi consistiti in “grave deficit neurologico” assimilabile a demenza completa fronto-parietale.

La Corte d’appello di Roma, investita dall’appello principale proposto dai danneggiati, ritenuta viziata la c.t.u. svolta in primo grado, disponeva una nuova consulenza collegiale, all’esito della quale riteneva raggiunta la prova della difformità della prestazione terapeutica rispetto alle regole dell’arte medica – per avere atteso inutilmente i medici alcune ore nel tentativo di stabilizzazione dei valori della pressione arteriosa, sebbene la evoluzione della patologia imponesse un immediato intervento chirurgico di taglio cesareo – e condannava, pertanto, la ***** al risarcimento dei danni subiti dai soli familiari prossimi od in rapporto di convivenza con la danneggiata primaria, rigettandola nei confronti degli altri parenti M.R. e D.C.T., genitori dell’ex convivente more uxorio.

Dichiarava, invece, inammissibile la estensione “automatica” della domanda di condanna da parte dei familiari della danneggiata nei confronti dei medici, essendo stati essi chiamati in causa soltanto dall’impresa assicuratrice S.J. Insurance Company of Europe Ltd e limitatamente alla controversia afferente il rapporto contrattuale assicurativo, al fine di accertare che la garanzia della responsabilità civile operava per i dipendenti dell’Ospedale solo a “secondo rischio”, e per l’effetto dichiarava assorbiti sia l’appello proposto dalla predetta società S.J. nei confronti di Z.E. e di T.L., sia gli appelli incidentali con i quali questi ultimi avevano reiterate le domande di manleva nei confronti, rispettivamente, il primo, di G.A. s.p.a., e la seconda, di F.A. s.p.a. (poi U.S.A. s.p.a.) di A.A. s.p.a. e dell’Università degli Studi Tor Vergata.

Quanto agli appelli incidentali, vertenti sulla questione della inoperatività delle polizze assicurative, inoperatività eccepita da Società C.d.A. coop a r.l. (n. q. avente causa V.A. s.p.a.) D.U.O.A. s.p.a. (d’ora in poi C.- D.) in relazione alla polizza n. ***** gestita in coassicurazione, ed eccepita da S.J. Insurance Company of Europe Ltd (da ora in poi S.J.) in relazione alla polizza *****, ed eccepita ancora da Società C.d.A. coop a r.l. (da ora C.) in relazione alla polizza n. *****, società assicurative tutte chiamate in causa dalla *****, la Corte territoriale:

riteneva infondato l’appello di ***** concernente la polizza *****, in quanto riteneva di dover confermare la interpretazione, fornita in altri precedenti della stessa Corte d’appello, della clausola “claims made pregressa” condizionata alla mancanza di copertura di altro assicuratore, inserita nella polizza ma inapplicabile all’ente ospedaliero al quale la polizza era stata estesa soltanto con successivo atto di appendice, stipulato il 7.2.2003, con decorrenza di efficacia dall’8.2.2003 riteneva infondato l’appello di S.J., dovendo interpretarsi le clausole di cui agli artt. 2 e 3 delle Condizioni speciali nel senso che la polizza prevedeva sia la garanzia per la responsabilità civile della *****, sia una distinta garanzia per la responsabilità civile del personale medico e paramedico, relativa a prestazioni erogate in regime libero-professionale, quest’ultima soltanto essendo prevista a “secondo rischio”, con la conseguenza che S.J. era obbligata a tenere indenne la ***** degli oneri patrimoniali che su la stessa gravavano in conseguenza dell’accertata responsabilità civile – riteneva, invece, fondato l’appello proposto da C.- D., in relazione alla polizza n. *****, stipulata con decorrenza 1.1.2004, in quanto la stessa subordinava l’applicazione della clausola “claims made retroattiva” alla condizione che per il sinistro denunciato non fosse stato accertato alcun obbligo di indennizzo gravante su S.J. in relazione alla polizza “*****”: tale condizione negativa non si era verificata – essendo stata condannata S.J. ad adempiere ai propri obblighi contrattuali – e dunque la garanzia prestata da C. non operava nel caso di specie.

La sentenza di appello, notificata in data 19.7.2016, è stata impugnata da S.J. con ricorso per cassazione, notificato in data 17.10.2016, affidato a tredici motivi.

Hanno resistito con controricorso:

– M.M., in proprio e n. q. di genitore esercente la potestà sui minori ME.DA. e D.; M.R. e D.C.T., B.C., in proprio e n. q. di curatore della sorella B.A.B., B.A.T.B. e B.B.M., i quali tutti hanno proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, al quale hanno resistito con controricorsi S.J. e Z.E..

– ***** dell’Ordine Ospedaliero di *****; U.A. s.p.a. (già denominata Fondiaria Ass.ni s.p.a.), A. s.p.a., Società C.d.A. coop. a r.l., G.A. s.p.a..

La medesima sentenza di appello è stata impugnata con successivo ricorso proposto da ***** dell’Ordine Ospedaliero di ***** e notificato in data 18.10.2106, affidato a nove motivi, al quale hanno resistito con distinti controricorsi: i danneggiati – che hanno proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo sul capo relativo alle spese di lite, ed in ordine al quale ha controdedotto con controricorso Z.E.-; Società C.d.A. coop. a r.l. – che ha proposto anche ricorso incidentale “condizionato” affidato ad un motivo, cui ha controdedotto con controricorso U.S.A. s.p.a.-; T.L., L’Università degli Studi Tor Vergata; G.A. s.p.a.; U.S.A. s.p.a..

I procedimenti iscritti rispettivamente al RG n. 23972/2016 ed al RG n. 24168/2016, sono stati chiamati alla odierna udienza.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte per entrambe le cause; cui si è riportato nella discussione orale.

Hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c. S.J.N. Insurance Company of Europe Ltd; ***** dell’Ordine Ospedaliero di *****; A.A. s.p.a.; U.S.A. s.p.a.; Z.E.; Società C.d.A. coop a r.l.; G.A. s.p.a..

Si è costituito, alla udienza pubblica, in entrambe le cause, con autonoma procura ad litem, M.D., avendo raggiunto la maggiore età nelle more del giudizio, facendo proprie le difese già svolte dal genitore.

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente va disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c. la riunione della causa iscritta al RG n. 24168/2016 alla causa anteriore iscritta al RG n. 23972/2016, avendo ad oggetto entrambe le cause impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza della Corte d’appello di Roma in data 24.6.2016 n. 4967: la notifica del ricorso principale proposto da S.J. è stata eseguita in data 17.10.2016, precedendo di un giorno quella dell’autonomo ricorso proposto da *****, effettuata in data 18.10.2016.

Osserva il Collegio che, se il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1690 del 18/02/1991; id. Sez. 2, Sentenza n. 3004 del 17/02/2004; id. Sez. 2, Ordinanza n. 26622 del 06/12/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 16221 del 16/07/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 2516 del 09/02/2016) la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 26723 del 13/12/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 16221 del 16/07/2014).

Qualora poi i ricorsi avverso la medesima sentenza abbiano dato luogo, come nel caso di specie, a distinte iscrizioni a ruolo con duplicazione delle cause, l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti d’impugnazione principale e determina la costituzione del procedimento nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, tutte le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti: con la conseguenza che il ricorso per cassazione, validamente ed autonomamente proposto, dopo che altro ricorso sia stato già notificato ad iniziativa della controparte, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale, semprechè siano stati rispettati i relativi termini sopra indicati (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 26723 del 13/12/2011), verifica che, nella specie, è stata eseguita con esito positivo.

p. 2. L’esame dei motivi dei due ricorsi – ricorso principale di S.J. e ricorso incidentale di ***** – verrà condotto in modo unitario, dando priorità ai motivi concernenti le questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito e quindi passandosi all’esame delle questioni inerenti il rapporto avente ad oggetto la prestazione terapeutica e lasciando in ultimo l’esame delle questioni concernenti la liquidazione del danno. Successivamente verranno esaminati gli ulteriori ricorsi incidentali proposti da M.M. e gli altri familiari della danneggiata (in entrambe le cause RG 23972/2016 ed RG 24168/2016), e da C. relativamente alla polizza ***** (nella causa RG 24168/2016).

p. 3. La ricorrente principale S.J. ha dedotto, con il primo motivo, la violazione dell’art. 374 c.c., n. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte d’appello non aveva esaminato la questione della legittimazione processuale di B.C., quale tutore della sorella B.A.B. legalmente incapace, sussistendo un insanabile vizio di nullità della domanda proposta in nome della danneggiata primaria, in difetto di prova della autorizzazione del Giudice tutelare ex art. 374 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è infondato.

Premesso che la legittimazione processuale del tutore dell’incapace legale, attenendo alla valida costituzione in giudizio della parte ed alla regolare instaurazione del rapporto processuale è rilevabile di ufficio (con il limite dell’eventuale giudicato interno formatosi sulla questione), come peraltro è dato evincere dal potere di regolarizzazione del difetto dei poteri di rappresentanza processuale, riservato al Giudice ex art. 182 c.p.c. (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 11344 del 21/07/2003 e Sez. U, Sentenza n. 9217 del 19/04/2010 – con riferimento a tutore dell’interdetto privo di autorizzazione del Giudice tutelare -; id. Sez. 1, Sentenza n. 22099 del 26/09/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 26359 del 16/12/2014 – in relazione a curatore fallimentare, privo di legittimazione processuale per carenza di autorizzazione del Giudice delegato -; id. Sez. U, Sentenza n. 24179 del 16/11/2009, id. Sez. 3, Sentenza n. 16274 del 31/07/2015 ed anche id. Sez. U, Sentenza n. 4248 del 04/03/2016, in motivazione – con riferimento al difetto di legittimazione processuale in capo a soggetto che agiva in nome e per conto altrui privo di procura speciale ad negotia -), osserva il Collegio che la Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente principale, ha affrontato tale questione avendo ritenuto infondata la relativa eccezione proposta da *****, in quanto risultava documentalmente agli atti “l’estratto dall’archivio di rappresentanza legale relativo alla signora B.C.” (sentenza appello, in motiv. p. 15.2).

Non risulta, peraltro, assolto, dalla ricorrente principale, il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non essendo stato svolto alcun argomento critico in diritto inteso a contestare la validità ed efficacia dell’esercizio dei poteri conferiti al tutore di B.A. – cittadina svedese e residente in Svezia – dal Giudice svedese, il quale aveva demandato al tutore “la difesa dei diritti di B.A., l’amministrazione della sue proprietà e la cura della sua persona” (come, peraltro, allegato dai danneggiati nel controricorso, pag. 21 e come risulta dal predetto documento acquisito agli atti del giudizio di merito), nè è stato sviluppato alcun argomento critico volto a fondare la necessità di un nuovo vaglio preventivo del Giudice tutelare italiano ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, n. 5, dichiaratosi al proposito privo di giurisdizione (cfr. provvedimento 18.11.2016 depositato dai danneggiati – pag. 21 controricorso).

p. 4. Con il secondo motivo la ricorrente principale S.J. deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 319 e 320 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo rilevato la Corte territoriale che M.M., genitore esercente la potestà sui minori ME.DA. e D., aveva agito in giudizio senza la autorizzazione del Giudice tutelare prescritta ai sensi dell’art. 320 c.c., comma 3, e dunque risultava privo della relativa legittimazione processuale.

Il motivo è infondato.

Dalla stessa esposizione delle vicende processuali contenuta nel ricorso, emerge che la eccezione di difetto di legittimazione di M.M. n. q. di rappresentante legale dei figli minori è stata dedotta da S.J., per la prima volta, con il ricorso per cassazione. Ne segue che al potere del Giudice ex art. 182 c.p.c. di rilevare “ex officio” il difetto di legittimazione e di provvedere alla regolarizzazione della rappresentanza processuale, corrisponde in tal caso anche il potere della parte interessata di sanare spontaneamente il vizio originario, disponendo “ora per allora” – con conseguente ratifica degli atti processuali già compiuti – il necessario adempimento previsto dalla legge (nella specie rilascio e deposito dell’autorizzazione del Giudice tutelare), del quale dovrà essere fornita adeguata dimostrazione anche attraverso la produzione documentale consentita, nel giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non ostandovi la disposizione della norma dell’art. 182 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis – anteriore alla riforma introdotta dalla L. n. 69 del 2009, secondo cui la sanatoria “ex tunc” rimaneva impedita dal compimento di una decadenza, atteso che anche nel regime previgente l’effetto preclusivo era ricondotto alle sole decadenze di diritto sostanziale (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 9217 del 19/04/2010; id. Sez. U, Sentenza n. 4248 del 04/03/2016).

Tale adempimento risulta per l’appunto assolto da M.M. con il deposito, unitamente al controricorso, del provvedimento di autorizzazione del Giudice tutelare (doc 5 all. controricorso).

Osserva il Collegio che, nel caso di specie, neppure occorreva, peraltro, detta autorizzazione, atteso che la stessa si rende necessaria soltanto per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione dispositivi del patrimonio dei minori, mentre nella specie la domanda è volta alla reintegrazione del patrimonio e dunque si palesa “ex se” vantaggiosa per i rappresentati (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 59 del 11/01/1989; id. Sez. 1, Sentenza n. 5526 del 14/03/2005).

p. 5. Debbono essere unitamente esaminati i motivi dei due ricorsi incidentale e principale (primo, secondo e terzo: *****; terzo e quarto: S.J.) rivolti alla impugnazione della sentenza di appello che ha ritenuto inattendibile, per difetto di imparzialità, la prima c.t.u. svolta in primo grado. La ***** deduce, con il primo motivo del ricorso incidentale, la nullità della sentenza per vizio processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, consistito nell’avere accolto, in violazione dell’art. 192 c.p.c., il secondo motivo di gravame principale proposto dai danneggiati con il quale veniva eccepita la nullità della c.t.u., svolta in primo grado, per difetto del carattere di obiettività ed imparzialità. Analoga censura è mossa da S.J. con il terzo motivo del ricorso principale, nel quale si precisa che i danneggiati avevano sollevato la questione della carenza di imparzialità della c.t.u. soltanto con la comparsa conclusionale: tale eccezione non avrebbe potuto, pertanto, essere esaminata dalla Corte territoriale atteso il termine perentorio di “tre giorni prima della udienza di comparizione” fissata per il giuramento del CTU, previsto dall’art. 192 c.p.c., comma 2, per la proposizione della istanza di ricusazione dell’ausiliario.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale ***** e con il quarto motivo la ricorrente principale S.J., impugnano la medesima statuizione della sentenza di appello, deducendo inoltre, la violazione degli artt. 51,63 e 192 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e censurando la erronea valutazione compiuta dalla Corte d’appello in ordine al “conflitto di interessi” ravvisato tra la specialista in ostetricia e ginecologia di cui si era avvalso il CTU ed il CTP che assisteva la parte T.L., atteso che non poteva integrare alcuna delle ipotesi previste dall’art. 51 c.p.c. la mera collaborazione universitaria tra i due professionisti evidenziata in diverse pubblicazioni scientifiche.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale la ***** denuncia la “violazione del diritto vivente che impone al Giudice di esprimere il dissenso rispetto alla c.t.u. non condivisa”, sostenendo – sul presupposto della validità della c.t.u. annullata – che la Corte d’appello aveva completamente ignorato il contenuto della prima c.t.u. svolta in primo grado, ed aveva quindi violato – in presenza di plurime consulenze di ufficio tra esse totalmente contrastanti – di esprimere le ragioni per cui accordava prevalenza alle risultanze dell’una piuttosto che dell’altra.

I motivi primo – ***** – e terzo – S.J. – sono inammissibili, per difetto di specificità; il motivo secondo – ***** – è infondato; i motivi terzo – ***** – e quarto – S.J., sono inammissibili, per difetto di interesse.

Il Giudice di appello – accogliendo il secondo e terzo motivo di gravame principale proposto dai danneggiati – ha “ritenuto inattendibile”, per difetto di imparzialità, la consulenza specialistica ostetrica-ginecologica di cui si era avvalso il CTU – specialista in medicina legale -, in quanto lo stretto e ricorrente rapporto di “collaborazione scientifica” intrattenuto presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza tra la specialista in ostetricia e ginecologia, Dott.ssa Ma., ed il consulente di parte, prof. Ca. (che assisteva la parte convenuta T.L.), palesava “un evidente conflitto di interessi” (cfr. sentenza appello in motiv. pag. 28-29). In conseguenza il Giudice di appello si è determinato a rinnovare la consulenza tecnica incaricando un professionista, ordinario di ginecologia ed ostetricia, non iscritto all’albo del Tribunale di Roma e che si è avvalso di altri specialisti in nEurologia e medicina legale.

Premesso che il secondo motivo del ricorso incidentale di ***** è infondato, in quanto il regime della astensione e della ricusazione del CTU si applica anche ai soggetti – di regola forniti di competenze specialistiche – di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56, comma 3, dei quali quest’ultimo è autorizzato dal Giudice ad avvalersi (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 9968 del 16/05/2016), osserva il Collegio che l’art. 192 c.p.c., comma 2, fissa un termine perentorio alle parti per dedurre eventuali circostanze, delle quali devono fornire anche prova, intese ad evidenziare le ragioni di ricusazione dell’ausiliario nominato dal Giudice, in modo così da prevenire una indagine svolta con criteri e metodi non imparziali. Il termine è fissato per risolvere, definitivamente ed in via preventiva, ogni questione sulle qualità che deve rivestire il CTU, onde evitare successivi comportamenti dilatori delle parti, fondati su strategie processuali determinate “secundum eventum litis”, evidentemente in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2. In relazione alla indicata “ratio legis” questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha escluso possibilità di deroga del termine in questione che, se inosservato, preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità – con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, ed alcun vizio di nullità della sentenza può essere fatto valere in sede di impugnazione sul presupposto di situazioni riferibili al CTU che non siano state tempestivamente denunciate con la istanza di ricusazione – finanche nel caso in cui la parte abbia avuto sopravvenuta conoscenza di eventuali circostanze che avrebbero potuto legittimare una istanza di ricusazione soltanto nel corso o dopo l’espletamento delle indagini tecniche: in tale ultima ipotesi potendo la parte soltanto sollecitare il potere discrezionale riservato al Giudice di sostituzione o di disporre un rinnovo della c.t.u., evidenziando le lacune o gli errori – in ipotesi riconducibili al difetto di imparzialità – che inficiano la consulenza svolta, soluzione, questa, necessitata nel caso in cui la incompatibilità sia riferita al “prestatore d’opera” di cui il CTU abbia dichiarato di avvalersi indicando il nominativo direttamente alla udienza fissata per il giuramento e la formulazione dei quesiti, ovvero comunicandolo successivamente alle parti, prima dell’inizio delle operazioni peritali (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 3657 del 08/04/1998; id. Sez. L, Sentenza n. 3364 del 08/03/2001; id. Sez. 2, Sentenza n. 8184 del 06/06/2002; id. Sez. L, Sentenza n. 12004 del 25/05/2009; id. Sez. L, Sentenza n. 12822 del 06/06/2014; id. Sez. 2, Sentenza n. 9968 del 16/05/2016; id. Sez. 2 -, Ordinanza n. 23257 del 05/10/2017; id. Sez. 2 -, Ordinanza n. 28103 del 05/11/2018).

Orbene la Corte d’appello non ha tenuto conto del termine perentorio ex art. 192 c.p.c., comma 2, essendo venuta ad esaminare retrospettivamente negando rilevanza istruttoria alla c.t.u. espletata in primo grado – i rilievi formulati dal difensore dei danneggiati, solo successivamente al deposito della relazione peritale, e concernenti la violazione dell’obbligo di astensione della specialista in ginecologia ed ostetricia, e la conseguente invalidità dell’elaborato peritale interamente fondato sulle considerazioni svolte dalla specialista.

Tale errore, tuttavia, non inficia la validità della decisione impugnata, sotto un duplice profilo: le censure svolte dalle ricorrenti incidentale e principale non assolvono compiutamente al requisito di specificità del motivo richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4; la Corte d’appello, ha ritenuto “inattendibile” la c.t.u. espletata in primo grado, formalmente in quanto ha ritenuto di ravvisare un conflitto di interessi tra il medico specialista di cui si era avvalso il CTU ed altro CTP nominato da una delle parti in causa, ma sostanzialmente in quanto ha considerato anche le argomentazioni svolte dal primo consulente, non ritenendo di condividerle nel merito.

Se, dunque, la censura volta a contestare la esistenza di un “evidente conflitto di interesse” tale da porre il medico specialista in posizione di incompatibilità, per difetto di imparzialità, nello svolgimento dell’incarico demandatole dal CTU (motivo secondo, ***** e motivo quarto S.J.), deve ritenersi priva di interesse ad impugnare ex art. 100 c.p.c., a fronte della negativa valutazione di merito compiuta dalla Corte d’appello (cfr. sentenza appello, in motivazione paragr. 9.1), laddove ha inteso criticare la motivazione del Tribunale, in quanto meramente adesiva alle risultanze peritali, sebbene la c.t.u. presentasse “contraddizioni evidenti” avendo omesso di valutare “il ritardo con cui, di fronte ad un quadro clinico oramai chiaramente delineato, venne eseguito il taglio cesareo”, d’altro lato la deduzione della violazione del termine ex art. 192 c.p.c., comma 2, non conduce ex se al vizio di nullità della sentenza, atteso il principio di diritto – costantemente ribadito da questa Corte – secondo cui, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione, potendo quindi trovare applicazione la sanzione di nullità solo nel caso in cui l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una effettiva lesione del diritto di difesa che abbia avuto anche riflessi sulla decisione di merito (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4340 del 23/02/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 3024 del 07/02/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 6330 del 19/03/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 26831 del 18/12/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014). I principi informatori del processo civile, ed in particolare i principi del “giusto processo” e della “ragionevole durata” dello stesso (art. 111 Cost.) impongono, infatti, di evitare per quanto possibile lo svolgimento di attività processuale inutile, circoscrivendo gli effetti della invalidità caducante dell’intera attività fino ad allora svolta, ai soli vizi processuali che risultino “effettivamente” insanabili, in quanto suscettibili di determinare una effettiva compromissione del risultato cui deve tendere il giudizio, volto a rendere alle parti una decisione “giusta” (ossia a fornire una regola del rapporto di diritto sostanziale controverso che risponda al canone di giustizia prefissato dall’ordinamento giuridico), con la conseguenza che in tema di vizi processuali non può essere accolto l’assioma riassunto nella sequenza “inosservanza della norma processuale – “automatica” invalidazione dell’atto e di tutta l’attività successiva”, difettando in tale semplicistico schema l’elemento determinante del pregiudizio in concreto arrecato al diritto di difesa della controparte, il quale soltanto può giustificare la sanzione della nullità processuale, con la caducazione di tutti gli atti consequenziali compiuti fino alla decisione di prime cure, e la necessaria rinnovazione della fase istruttoria in grado di appello.

Nella specie, entrambi i ricorrenti, hanno affermato che la Corte d’appello, pur non dichiarando espressamente invalida la c.t.u. svolta in primo grado (avendo escluso condotte “dolose” volte ad inficiare la consulenza di ufficio), tuttavia ha ritenuto che la relazione del medico specialista, le cui conclusioni erano state fatte proprie dal CTU, non fosse caratterizzata dalla necessaria

“indipendenza di giudizio ritenendo inattendibile la consulenza espletata nel primo grado….”, e dunque privando il “thema controversum” dei risultati delle indagini tecniche svolte in primo grado e del confronto dialettico tra gli elementi circostanziali valorizzati dalla prima c.t.u. con gli altri elementi sui quali si era invece fondata la seconda c.t.u., disposta in grado di appello, che aveva condotto a risultati diametralmente opposti, e che erano stati ritenuti pienamente condivisi dal Giudice di secondo grado.

Orbene tale allegazione non soltanto è priva di riscontro, atteso che la Corte d’appello, come in precedenza evidenziato, ha comunque apprezzato nel merito la consulenza svolta in primo grado, ma difetta di specificità in quanto i motivi dei due ricorsi avrebbero dovuto evidenziare, non soltanto, che nel giudizio erano state svolte consulenze che avevano portato a risultati contrastanti, ma anche che la seconda consulenza di ufficio, svolta in grado di appello: a) aveva trascurato alcuni elementi di indagine essenziali (risultati di esami clinici o strumentali, diagnosi, notizie anamnestiche), che invece aveva rilevato il primo CTU; b) non aveva tenuto conto di fatti storici determinanti (intervalli di tempo trascorsi nella esecuzione della terapia; manifestazioni sintomatiche della paziente, ecc.) rilevati, invece, dal primo CTU; c) non aveva risposto a taluni quesiti formulati dai CC.TT.PP. fondati sugli argomenti svolti nella prima consulenza, volti ad evidenziare specifiche lacune od errori interpretativi delle risultanze cliniche.

In assenza di tale indispensabili elementi valutativi dell’effettivo pregiudizio subito al diritto di difesa, i motivi terzo del ricorso principale e primo del ricorso incidentale debbono essere dichiarati inammissibili.

p. 6. Occorre quindi esaminare il complesso dei motivi dei due ricorsi incidentale (*****: motivi quarto, quinto, sesto) e principale ( S.J.: motivi quinto, sesto, settimo ed ottavo) concernenti la impugnazione della sentenza di appello in ordine all’accertamento del nesso di causalità materiale tra ritardo nella prestazione terapeutica (taglio cesareo) ed evento di danno consistito nel deficit neurologico intervenuto a distanza di tempo dalla esecuzione del taglio cesareo.

La ricorrente incidentale ***** (quarto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223 e 2043 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; sesto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223 e 2043 c.c.; artt. 40 e 41 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e la ricorrente principale S.J. (quinto motivo: violazione degli artt. 2056,1223 e 1227 c.c. e art. 41 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nullità della motivazione solo apparente; settimo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2056,1223 e 1225 c.c.; dell’art. 41 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; ottavo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2056,1223 e 1227 c.c. ed art. 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) impugnano la sentenza di appello, deducendo che la Corte territoriale avrebbe fatto errata applicazione del criterio causale (più probabile che non) che la giurisprudenza di legittimità adotta in tema di condotta colposa omissiva, in quanto non sarebbe stato svolto alcun accertamento in ordine al risultato ipoteticamente positivo che sarebbe conseguito ad un anticipato taglio cesareo.

Le censure sono fondate.

Premesso che nella prima c.t.u. era emerso – circostanza incontestata – che il problema maggiore era il timing del parto cesareo, in quanto tale intervento che “è l’unica terapia causale definitiva per la madre” (che versa in condizioni di sospetta preeclampsia), potrebbe determinare – se troppo precoce – lo scompenso e l’ipossia acuta fetali, dovendo scindersi la tempistica secondo che si tratti di “PE non complicata” o invece di “PE severa con complicanze” (la cui descrizione è riportata nella sentenza di appello, in motiv. p. 1.2, pag. 9), solo in questo secondo caso “l’espletamento del parto è necessario…..per il miglioramento dell’outcome materno ovvero la prevenzione di complicanze maggiori, del rapido deterioramento delle condizioni, della insufficienza multiorgano e, soprattutto, dell’exitus” (ibidem, pag. 11), e premesso che la diagnosi eseguita in ingresso al Pronto soccorso era di “sospetta preeclampsia in terzigravida alla 33 settimana”, l’elemento cronologico determinante – che vede in netto contrasto le due relazioni tecniche – è dato dal momento in cui è stata acquisita la conoscenza – fornita dai referti degli esami ematochimici, clinici e strumentali che erano stati disposti – che la paziente era affetta da “preeclampsia grave” complicata da “HELLP Syndrome con sospetto di coagulazione intra vasale disseminata (CID)” che imponeva di eseguire, immediatamente e senza alcuna incertezza, il parto con taglio cesareo, atteso che, nella prima consulenza, si afferma che i referti pervennero “verosimilmente….tra le ore 1,45 e le 2.00”, mentre, nella seconda c.t.u., si afferma che gli esami erano disponibili in laboratorio fin dalle ore 23.51, mentre i referti venivano conosciuti alle ore 24.00 (cfr. ibidem p. 1.2, pag. 13 e p. 9.3, pag. 30).

Orbene sulla rilevanza causale del tempo trascorso tra la acquisizione della conoscenza dello stato della paziente e l’intervento chirurgico, la sentenza di appello si limita ad aderire integralmente alla c.t.u. svolta in secondo grado nella quale si attribuisce rilevanza causale al ritardo, quale fatto determinativo del deficit neurologico, omettendosi tuttavia qualsiasi valutazione della incidenza causale delle pregresse gravi condizioni di salute della B., rilevate peraltro dal medesimo CTU.

Il secondo CTU, da un lato, infatti, sembra attribuire carattere decisivo alla mancata tempestiva effettuazione di esami delle urine al momento del ricovero (ai fini della verifica della quantificazione della “proteinuria”), essendo tali esami suggeriti dalle condizioni presentate in ingresso dalla paziente sintomi (dolori epigastrici, cefalea persistente) che, unitamente alle crisi ipertensive (PE severa), venendo in tal modo ad ipotizzare che già a quel tempo l’esame avrebbe portato ad evidenza la condizione di PE severa e consigliato di praticare immediatamente l’intervento. Dall’altro, invece, sembra avere ricollegato soltanto al “corteo sintomatologico” delle maggiori complicanze (HELLP Syndrome, CID, severa encefalopatia ipertensiva, emorragia cerebrale) emerso dai referti degli esami – pervenuti solo alle ore 24.00 -, la possibilità di una corretta individuazione della patologia con la conseguenza che nell’intervallo temporale tra le ore 24.00 e le ore 01.45-2.00 sarebbe da individuare il ritardo causalmente rilevante nella “risoluzione” – tramite la rimozione chirurgica della placenta – della “preeclampsia associata ad insufficienza feto-placentare”, ritardo che avrebbe quindi determinato l’ulteriore aggravamento della patologia da cui è derivato il deficit neurologico (ibidem, pag. 31).

La Corte d’appello, ha considerato “marginale” la mancata effettuazione dell’esame di proteinuria in entrata, ritenendo “corretta” la diagnosi di “sospetta preeclampsia” (sebbene in contraddizione con l’attribuzione del codice triage verde) e quindi, attribuendo rilievo decisivo alla seconda affermazione del CTU, ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova tra la mancata esecuzione del parto in urgenza e l’insorgenza del danno neurologico, assumendo che il CTU in base alle conoscenze specialistiche aveva accertato che la evoluzione della grave patologia sarebbe stata impedita dal trattamento chirurgico se fosse stato eseguito già alle ore 23.00.

Tuttavia, osserva il Collegio che:

a) quanto alla ritenuta “marginalità” della questione concernente la mancata effettuazione dell’esame di proteinuria (sentenza appello, in motiv. p. 10.3.3.), la statuizione del Giudice di appello si pone in evidente contraddizione con quanto successivamente argomentato – in risposta ai quesiti del CTP Dott. Gi. – laddove la stessa Corte territoriale richiama la dottrina scientifica per escludere che possa diagnosticarsi la preeclampsia in assenza dei risultati degli esami relativi alla proteinuria (ibidem, in motiv. p. 10.3.6): peraltro – e qui la sentenza impugnata incorre nel vizio denunciato con l’ottavo motivo di ricorso di S.J. – la Corte d’appello non esplicita se, al momento dell’ingresso in Ospedale, fosse accertabile, attraverso la proteinuira che la B. versava in situazione di mera “preeclampsia” o invece di “preeclampsia severa” con evidenza delle complicanze HELLP e CID;

b) quanto alla efficienza causale esclusiva del ritardo (di circa due ore) nella produzione del danno neurologico, la statuizione della Corte d’appello si risolve in una mera petizione di principio, in quanto viene a sostenere che il ritardo nella esecuzione dell’intervento di taglio cesareo è causa di complicanze pregiudizievoli per la salute della paziente affetta da “preeclampsia severa” con complicanze, ma non spiega se, nello specifico caso concreto, quando la paziente venne ricoverata, presentasse condizioni di gravità tali da compromettere qualsiasi risultato utile anche in caso di immediata esecuzione dell’intervento chirurgico (o di esecuzione anticipata di due ore), ed ancora non spiega se il “corteo sintomatologico” indicativo della necessità dell’immediato intervento chirurgico si fosse già manifestato in modo irreversibile o meno al momento del ricovero.

Al riguardo occorre, infatti, considerare che, nell’accertamento della causalità materiale, il principio di prevalenza probabilistica (ovvero del “più probabile che non”) deve essere applicato, come affermano anche le ricorrenti incidentale e principale (quarto motivo ***** e quinto motivo S.J.), con apprezzamento non isolato, bensì complessivo ed organico di tutti i singoli elementi indiziari o presuntivi a disposizione (cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 5487 del 26/02/2019; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 16581 del 20/06/2019), atteso che il criterio di preponderanza probabilistica implica la esclusione di circostanze alternative incompatibili (o quanto meno tali da inficiare in misura rilevante la probabilità logica della relazione causa-effetto) con quella che si intende riconoscere come fattore casale esclusivo dell’evento dannoso (cfr. Corte cass. Sez. L -, Sentenza n. 47 del 03/01/2017; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 23197 del 27/09/2018). E nella specie non viene in alcun modo risolto il dubbio della esistenza di una “causa naturale esclusiva incompatibile” od invece “concorrente con il ritardato intervento chirurgico”, non fornendo la seconda CTU e la pedissequa motivazione della Corte territoriale alcuna risolutiva indicazione al riguardo.

In particolare, dalla seconda consulenza svolta in grado di appello (cfr. ricorso *****: pag. 27 – 29; ricorso S.J.: pag. 30) si evince:

– che al tempo del ricovero “non erano presenti i criteri diagnostici basilari come ipertensione arteriosa ” a 140/90 nè proteiurina significativa ” a 0,3 gr/24 ore”;

– che “al momento del ricovero al PS….la perizianda lamentava dolore a barra e aveva già sviluppato una preeclampsia con una severa ipertensione (h. 23.00) da far risalire a varie settimane, con una HELLP Syndrome, una Coagulazione in tra vasale disseminata, una encefalopatia ipertensiva, con sindrome ischemica uremica con oliguria, condizioni che di per sè possono favorire l’insorgenza dell’ematoma intraparenchimale cerebrale”;

– che “lo stillicidio ematico a livello cerebrale è iniziato molto verosimilmente già alle ore 23.00 del *****, al momento della comparsa di una grave crisi ipertensiva….che i sanitari riuscirono a controllare parzialmente e solo nel giro di circa un’ora”;

– che “un tempestivo taglio cesareo avrebbe…..impedito o ridotto di intensità il manifestarsi sulla madre dei devastanti effetti dell’ingravescenza della malattia (sindrome HELLP, CID cui era associata la preeclampsia severa)…”.

Orbene, se il quadro nosologico era ampiamente già compromesso ed i danni nEurologici verificatisi successivamente al parto, dovevano ascriversi in via esclusiva alla inevitabile evoluzione della patologia che aveva il suo fattore genetico nella lesione, già iniziata, con il sanguinamento (stillicidio) cerebrale prima della esecuzione del trattamento chirurgico (taglio cesareo), e se l’inizio dello stillicidio (comparsa delle complicanze emorragiche) era da considerare il preludio della emorragia cerebrale (post partum), verificatasi a distanza di circa 24 ore ed individuata quale causa del danno cerebrale, la Corte d’appello avrebbe dovuto fornire adeguata giustificazione della ragione per cui l’anticipazione di circa due ore della esecuzione dell’intervento chirurgico (ove cioè non si fosse verificato il ritardo tra le ore 24.00 e le ore 02,30 circa) avrebbe – più probabilmente che non – impedito la degenerazione dello stillicidio nella emorragia cerebrale, verificatasi a distanza di ore dopo il parto cesareo, overossia avrebbe dovuto spiegare in che modo che “l’esecuzione di un tempestivo taglio cesareo entro breve tempo” (rispetto alla riconoscibilità dei presupposti clinici dell’intervento) avrebbe “più probabilmente che non” interrotto la serie causale naturale ed impedito che il complesso della patologia “PE severa con complicanze” che presentava la paziente degenerasse, con “aumento di volume dell’ematoma frontale con successivo parziale svuotamento del sangue nel ventricolo laterale sinistro”, nella grave emorragia cerebrale con gravi danni sistemici e localistici (cfr. ***** ricorso pag. 29).

E non è dubbio che alla possibile anticipata riconoscibilità della effettiva compresenza degli elementi indicativi di una PE severa con complicanze (sindrome HELLP e CID), sembra correlarsi anche una differente valutazione della efficienza eziologica dell’intervento chirurgico: se la situazione era, infatti, accertabile già al momento dell’ingresso in Ospedale della B., eseguendo l’esame di proteinuria, risulta evidente che il giudizio controfattuale di casualità materiale operato sulla condotta omissiva dovrebbe tenere conto del maggior ritardo nella esecuzione dell’intervento. Essendo appena il caso di aggiungere che, nel caso in cui il ritardo nella esecuzione del cesareo fosse da qualificarsi come “causa concorrente” con il fattore patogeno primario alla determinazione dell'”eventus-damni” (emorragia cerebrale), in quanto quest’ultimo si sarebbe comunque prodotto, se pure in misura “ridotta”, ossia procurando esiti invalidanti permanenti di grado inferiore a quelli in concreto riscontrati, ipotesi che parrebbe formulata in via ipotetico-alternativa dalla c.t.u. svolta in grado di appello (cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 31), allora appare evidente come, ferma la derivazione causale dell’evento lesivo – anche – dalla ritardata esecuzione dell’intervento, sia difettata del tutto, nella sentenza impugnata, la indagine relativa alla esatta individuazione della quota di “danno-conseguenza” attribuibile, in base al criterio della causalità giuridica ex art. 1223 c.c., alla condotta umana (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011).

Tale lacuna nella applicazione della regola eziologica, che determina la cassazione della sentenza impugnata in parte qua, dovrà essere risolta nel giudizio di rinvio, essendo chiamato il Giudice di merito a chiarire se le pregresse condizioni di salute della paziente B., al momento del ricovero e quando anche accertate compiutamente in base all’esame della proteinuria, risultassero a tal punto compromesse da rendere eziologicamente irrilevante il ritardo di circa due ore nella esecuzione del taglio cesareo (ritardo che in tal caso rimarrebbe privato di efficacia eziologica interferente esclusiva nella causazione del successivo danno neurologico), ovvero, al contrario, se l’anticipazione dell’intervento chirurgico di circa due ore rispetto a quello praticato alle ore 02,30 circa, avrebbe consentito di recuperare e bloccare la evoluzione degenerativa (assumendo quindi il ritardo carattere di causa determinante esclusiva del danno neurologico), tenuto conto altresì che lo “stillicidio ematico”, che aveva determinato l’ematoma frontale, sarebbe proseguito anche dopo la esecuzione dell’intervento, e la manifestazione emorragica intracerebrale è apparsa conclamata a distanza di quasi ventiquattro ore dall’intervento. A tal fine il Giudice del rinvio dovrà attenersi al consolidato principio di diritto secondo cui il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonchè dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”; ciò comporta una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, nella loro irripetibile unicità, con la conseguenza che la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione della specificità del caso concreto, senza potersi fare meccanico e semplicistico ricorso alla regola del “50% plus unum” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 10741 del 11/05/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011).

Infondato è invece il rilievo formulato da ***** (quinto motivo), rubricato come violazione di “canoni ermeneutici” ex artt. 1362 e 1363 c.c., mentre in parte assorbita ed in parte inammissibile è la censura di violazione degli artt. 24 e 101 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 svolta da S.J. (sesto motivo).

Quanto al motivo della ***** va osservato che il secondo CTU e, con esso la Corte territoriale, non hanno affatto disatteso le indicazioni risultanti dalla cartella clinica (parzialmente trascritta nel ricorso della *****, pag. 23), ma hanno piuttosto desunto – in assenza di qualsiasi indicazione cronologica in cartella dell’orario in cui i referti erano stati trasmessi – che gli stessi fossero stati tardivamente acquisiti dai medici curanti, in quanto, pur risultando disponibili presso il laboratorio alle ore 23.15, avevano indotto i medici a decidere per l’immediato taglio cesareo soltanto alle ore 2.00.

Quanto alla censura di S.J. relativa alla nullità processuale “per violazione del principio del contraddittorio”, osserva il Collegio che la ricorrente principale si lamenta: a) della pedissequa adesione della Corte territoriale alla relazione peritale del CTU nominato in grado di appello; b) della mancata risposta alle osservazione dei CC.TT.PP.. Orbene il primo rilievo rimane assorbito nell’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso concernenti il nesso di causalità materiale. Il secondo rilievo critico è, invece, formulato in modo del tutto generico, e determina pertanto la inammissibilità della censura (per difetto del requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), atteso che il ricorrente per cassazione, il quale lamenta che la consulenza tecnica non abbia tenuto conto delle osservazioni da lui formulate, ha l’onere di precisare gli errori in cui il Giudice del merito sarebbe incorso nel recepire le conclusioni di detta consulenza, non essendo sufficiente il generico richiamo contenuto nel ricorso a quanto si è dedotto nella consulenza di parte (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1495 del 26/02/1983), e più specificamente, se afferma che il Giudice di merito nella sentenza non ha considerato tutti i rilievi critici mossi dal CTP, è onerato ancor prima dall’indicare quando e quali critiche puntuali e dettagliate erano state ritualmente formulate dal consulente di parte, e tuttavia non erano state considerate dal CTU o dal Giudice di merito (nel caso di specie risulta che le osservazioni dei CC.TT.PP. hanno costituito oggetto di espressa disamina nel paragrafo p. 10 della motivazione della sentenza di appello: spettava quindi alla ricorrente S.J. evidenziare quali ulteriori rilievi critici formulati dal proprio CTP non erano stati presi in considerazione).

In conseguenza i motivi quarto e sesto del ricorso incidentale – ***** – e quinto, settimo ed ottavo del ricorso principale – S.J. – sono fondati, determinando in conseguenza la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa al Giudice di merito, mentre il quinto motivo del ricorso incidentale – ***** – ed il sesto motivo del ricorso principale – S.J. – vanno dichiarati, rispettivamente, infondato, ed in parte assorbito ed in parte inammissibile.

p. 7. Con il nono motivo (violazione artt. 2056,1223 e 1225 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la ricorrente principale S.J. viene a censurare la sentenza di appello sostenendo che la emorragia cerebrale è evento raro con la conseguenza che avrebbe dovuto ritenersi complicanza imprevedibile, esonerando la responsabilità dei medici dell’Ospedale.

Il motivo è inammissibile, in quanto, da un lato traspone indebitamente il criterio di prevedibilità del danno-conseguenza sul piano del nesso di causalità materiale che attiene alla relazione tra condotta ed evento lesivo ed è invece regolato dal criterio del “più probabile che non”; dall’altro appare del tutto privo di supporto in ordine all’assunto della ipotizzata limitazione delle conseguenze pregiudizievoli, ascrivibili all’obbligazione risarcitoria ex contractu, nei limiti di quelle prevedibili al momento della stipula del contratto.

Deve infatti essere ribadito il principio secondo cui, nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. non è sufficiente dimostrare che l'”evento-dannoso” per il paziente costituisca una “complicanza”, rilevabile pur raramente nella statistica sanitaria, dovendo ritenersi tale generica nozione priva di rilievo sul piano giuridico della imputazione di responsabilità, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 13328 del 30/06/2015; vedi, Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 24074 del 13/10/2017): ipotesi quest’ultima del tutto indimostrata dalla ricorrente principale.

La cassazione della sentenza impugnata per vizio applicativo dei criteri che regolano il giudizio sul nesso di causalità materiale, pur determinando la caducazione anche delle statuizioni connesse, non esime tuttavia questa Corte dall’esame dei successivi motivi di ricorso principale ed incidentale che debbono, sia pure “in prospettiva” dell’esito del giudizio di rinvio, essere vagliati, in considerazione del principio della ragionevole durata del processo, fornendo le necessarie linee guida qualora il Giudice del merito in esito al giudizio di rinvio pervenga all’accertamento della relazione eziologica tra il ritardo nella esecuzione dell’intervento chirurgico e l’evento di danno.

p. 8. La ricorrente incidentale ***** (settimo motivo: violazione art. 1223 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e la ricorrente principale S.J. (decimo motivo: violazione artt. 2056,2059,1223,1225 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), impugnano entrambe la sentenza di appello nella parte in cui ha liquidato il danno da perdita del rapporto parentale in capo a M.M., sebbene fosse stato accertato che lo stesso era soltanto “ex” convivente “more uxorio” e che, al momento dell’evento lesivo, non vi era prova della convivenza materiale con la B.B..

La società assicurativa S.J. censura anche la liquidazione del danno fatta ai genitori ed alla sorella della vittima primaria, in quanto al tempo erano residenti in Svezia.

I motivi sono infondati.

La esistenza di un rapporto di convivenza materiale costituisce elemento indiziario, certamente serio, del rapporto affettivo che costituisce il bene non patrimoniale oggetto di ristoro, ma la sua assenza non esclude – avuto riguardo ad altri parametri significativi ai fini della prova presuntiva: prioritariamente la stretta relazione di parentela – la esistenza di detto rapporto affettivo, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di offrire da parte degli obbligati al risarcimento la prova contraria (cfr., da ultimo, Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 28989 del 11/11/2019).

A tanto si è attenuto il Giudice di appello laddove, quanto all'”ex” convivente more uxorio ha evidenziato come il rapporto affettivo fosse evidenziato dall’attesa di un nuovo figlio e dalla pregressa filiazione segno della durata della comunanza affettiva.

Quanto ai familiari svedesi, in difetto di circostanze contrastanti, la presunzione è stata fondata sul rapporto di prossimità parentale (trattandosi dei genitori e della sorella, parenti rispettivamente, in primo e secondo grado).

p. 9. La ricorrente incidentale *****, con l’ottavo motivo, impugna la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo omesso il Giudice di appello di pronunciare la condanna diretta dell’assicuratore S.J. al pagamento diretto, in favore dei danneggiati, delle somme dovute a titolo di indennizzo assicurativo ex art. 1917 c.c., comma 2.

Contrasta tale motivo la resistente S.J. con il controricorso deducendo che: a) la domanda non era stata formulata nei precedenti gradi di merito; b) la domanda è comunque inammissibile in quanto, al di fuori del regime speciale della responsabilità civile automobilistica in cui è prevista l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, non è possibile condannare l’assicuratore a risarcire il danno direttamente nei confronti del danneggiato.

Occorre premettere che, in tema di assicurazione per la responsabilità civile, in forza dell’art. 1917 c.c., comma 2 – che prevede la facoltà dell’assicuratore, previa comunicazione all’assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l’indennità dovuta e l’obbligo del medesimo assicuratore di provvedere al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede non vengono a mutare i soggetti del rapporto assicurativo, che restano sempre e soltanto l’assicuratore e l’assicurato, giacchè l’anzidetta facoltà dell’assicuratore si concreta in una possibilità di scelta in ordine ad una modalità di adempimento della sua obbligazione, che permane soltanto verso l’assicurato: ne consegue che, in capo al danneggiato, non sorge alcun diritto nei confronti dell’assicuratore e, dunque, non sussiste la possibilità di agire direttamente nei suoi confronti (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 26019 del 05/12/2011). Pertanto qualora l’assicurato convenuto con azione risarcitoria da fatto illecito, coperto da assicurazione sulla responsabilità civile, chiami in garanzia (impropria) l’assicuratore ed avvalendosi della facoltà di cui all’art. 1917 c.c., comma 2 chieda che il proprio assicuratore versi direttamente al danneggiato l’indennità dovuta, è legittima la pronuncia di condanna dell’assicuratore al pagamento diretto dell’indennità all’attore danneggiato, pur in difetto di una domanda in tal senso dell’attore medesimo (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1213 del 23/02/1979).

Tanto premesso il motivo è fondato.

Il vizio di omessa pronuncia impone a colui che intende farlo valere l’onere di indicare specificamente se e quando e dove ha proposto ritualmente la domanda che lamenta essere stata non decisa dal Giudice di merito. Nella specie, per stessa allegazione della *****, le conclusioni formulate nell’atto di appello incidentale, nei confronti dell’assicuratore chiamato in garanzia, concernevano la richiesta di “tenere indenne e/o rimborsare la *****…. di quanto fosse tenuta a pagare…. ponendo tale danno direttamente a carico delle Compagnie…”, formula con la quale è stata, pertanto, esercitata la facoltà rimessa all’assicurato ex art. 1917 c.c., comma 2.

Risulta pertanto smentita la difesa svolta da S.J. secondo cui alcuna istanza di pagamento diretto era stata formulata dall’assicurata *****.

Ma la difesa della resistente è infondata anche in relazione alla eccepita novità della domanda, preclusa in grado di appello ex art. 345 c.p.c., comma 2. Ed infatti la richiesta dell’assicurato ex art. 1917 c.c., comma 2, non integra nuova “domanda”, in quanto l’assicuratore non fa valere nei confronti dell’assicuratore un diritto nuovo rispetto a quello contrattuale avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo, venendo soltanto ad esercitare una facoltà, inerente la modalità di adempimento dell’obbligo che ha titolo nella sentenza di condanna, che gli deriva “ex lege” (art. 1374 c.c.) dalla stipula del contratto assicurativo contro i danni (di cui l’assicurazione della responsabilità civile è un sottotipo), facoltà – che può essere oggetto di deroga ai sensi dell’art. 1932 c.c. e – che obbliga l’assicuratore alla espromissione, realizzando un rapporto diretto “pretesa-obbligo” che deve essere attuato rivolgendo la esecuzione della prestazione indennitaria direttamente al terzo danneggiato.

Non viene in rilievo, pertanto, un’autonoma “domanda” in senso tecnico, ma la semplice scelta rimessa all’assicurato del modo di ricevere la prestazione dall’assicuratore che abbia provveduto a chiamare in causa con domanda di manleva, facoltà che può essere esercitata in qualsiasi tempo prima della pronuncia della sentenza definitiva di merito.

La Corte d’appello, accertato l’obbligo di S.J. di tenere indenne la propria assicurata ***** dalle conseguenze pregiudizievoli dell’accoglimento della domanda risarcitoria proposta da danneggiati, ha tuttavia omesso di provvedere in conformità alla richiesta formulata ex art. 1917 c.c., comma 2, dall’assicurato: in relazione pertanto all’esito che avrà il giudizio di rinvio in punto di accertamento del nesso di causalità materiale, il Giudice del rinvio dovrà, quindi, pronunciare la condanna dell’assicuratore a pagare direttamente l’indennizzo al terzo danneggiato.

p. 10. Con il nono motivo (omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la ricorrente incidentale ***** impugna la sentenza di appello (cfr. motivazione, p.19.1-20.3) in punto di accertamento della esclusione della operatività della clausola “claims made pregressa” inserita nella polizza assicurativa n. ***** stipulata – con appendice di polizza, decorrente dall’8.2.2003 – con Società C.d.A. coop a r.I., denunciando il vizio di apparente motivazione e la illogica contraddittorietà della decisione della Corte territoriale che, pur ritenendo la clausola ricompresa nell’ambito della estensione di polizza, ha poi negato la operatività sull’assunto che la originaria polizza era stata stipulata con altri enti appartenenti alla Provincia Religiosa di San Pietro e l’espresso riferimento al triennio precedente l’inizio di efficacia della polizza, indicato nella clausola, denotava la volontà degli originari contraenti di disciplinare uno speciale regime transitorio ad esaurimento, desumibile in particolare dal condizionamento di operatività della clausola retroattiva alla stipula di un pregresso contratto assicurativo tra detti enti ed A. s.p.a. ed alla mancata copertura assicurativa del sinistro verificatosi nel periodo triennale.

Controdeduce C.A. con il controricorso (depositato nella causa iscritta al RG n. 24168/2016), sostenendo che alcuna contraddittorietà è ravvisabile nella motivazione della sentenza di appello che ha, invece, chiaramente escluso la applicabilità della garanzia retroattiva alla *****, in quanto subentrata nella polizza soltanto a far data dall’8.2.2003.

C.A. ha anche impugnato la sentenza di appello proponendo, a sua volta, “ricorso incidentale condizionato” (all’accoglimento del nono motivo di ricorso di *****), affidato ad un unico motivo e deducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c. degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 nonchè per vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’appello omesso di esaminare un documento prodotto nei gradi di merito e cioè l'”Atto di variazione” stipulato il 13.12.2002, con effetto dal 31.12.2002, che prorogava la naturale scadenza della polizza al 31.12.2003, con conseguente estinzione della garanzia: essendosi verificato il sinistro nel 2002 (ricovero ospedaliero in data 10.10.2002), ma essendo stata formulata richiesta di risarcimento soltanto nel maggio del 2004, la pretesa di indennizzo della ***** non poteva essere accolta essendo al tempo già estinta la garanzia.

Il motivo della ***** è infondato, rimanendo in conseguenza assorbito l’esame del motivo del ricorso incidentale condizionato proposto da C.A..

E’ affermazione pacifica che la motivazione è solo “apparente”, ovvero “perplessa” o “incomprensibile”, e la sentenza è quindi nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Al riguardo è stato rilevato che “in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009)….” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017).

Pure riqualificando correttamente il vizio denunciato da ***** con il motivo in esame lo stesso si palesa infondato, atteso che la Corte d’appello, esaminando contestualmente i contrapposti motivi di appello dedotti da ***** (sentenza appello, in motiv. p. 19.1) e da C.A. (ibidem p. 19.2), con i quali si intendeva affermare, rispettivamente, la operatività e la inoperatività della polizza ***** assicurativa della responsabilità civile, ha accolto la tesi difensiva di quest’ultima rilevando che la estensione della polizza, la cui efficacia veniva a scadere il 31.12.2003, alla ***** in virtù dell’Atto di variazione stipulato con efficacia a far data dall’8.2.2003, non garantiva il sinistro che si era verificato, in data 11.2.2002, anteriormente alla stipula della estensione assicurativa, non potendo trovare applicazione la copertura retroattiva prevista dalla clausola “claims made pregressa” in quanto la applicazione della stessa doveva intendersi limitata ai soli sinistri verificatisi nel periodo 1998-2000 – con richiesta risarcitoria pervenuta durante il periodo di efficacia della polizza – e per i quali non fosse stato riconosciuto alcun indennizzo in base alla precedente polizza stipulata dagli enti – originari assicurati – con A. s.p.a., condizioni entrambe escluse con riferimento al sinistro in questione (sentenza appello, in motiv. p. 20.120.3).

La Corte territoriale ha dunque fornito una motivazione intelligibile a sostegno della propria decisione che – indipendentemente dalla valutazione della sua correttezza in diritto – assolve compiutamente al requisito del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 per non incorrere nel vizio di nullità della sentenza per difetto dell’indefettibile elemento prescritto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

p. 11. Con i motivi undicesimo (“violazione artt. 1891 e 1910,1362 e 1363 c.c. in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), dodicesimo (“violazione artt. 1891 e 1910,1362 e 1363 c.c. in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”) e tredicesimo (“violazione artt. 112 e 1321 c.p.c. in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”) la ricorrente principale S.J. impugna la sentenza di appello nella parte in cui è stata accertata la operatività della polizza denominata “*****” stipulata a garanzia della responsabilità civile da *****, sostenendo che, ai sensi dell’art. 3 delle Condizioni speciali (clausola riprodotta a pag. 34-35 ricorso principale), la copertura assicurativa “si sarebbe dovuta attivare esclusivamente per differenza di condizioni e di massimali rispetto alle polizze personali stipulate dai dottori Z. e T.”. Inoltre la Corte d’appello avrebbe errato del tutto a ritenere che la clausola a “secondo rischio” operasse solo per i medici in libera professione e non anche per i medici dipendenti, i quali disponessero di personali polizze assicurative della RC. La Corte di merito, poi, avrebbe violato l’obbligo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ritenendo assorbita ogni questione concernente il rapporto assicurativo tra S.J. ed i medici chiamati in causa, Z. e T., sull’assunto che era stata dichiarata inammissibile la domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta nei loro confronti dai danneggiati, mentre avrebbe dovuto tenere distinto il rapporto principale, concernente la responsabilità civile, e pronunciare su quello di garanzia relativo alle modalità di operatività della polizza assicurativa prestata da S.J..

I motivi undici e dodici sono inammissibili, per difetto di interesse, essendo infondato il tredicesimo motivo.

La Corte d’appello ha ritenuto assorbite le domande concernenti l’accertamento dei rapporti assicurativi tra le società ed i medici – chiamati in causa, in primo grado, da S.J. – in quanto era stata dichiarata inammissibile la estensione automatica della domanda attorea nei confronti degli stessi medici.

Pertanto in alcuna omissione di pronuncia è incorsa la Corte d’appello – come prospettato invece da S.J. con il tredicesimo motivo – in quanto, come è dato riscontrare dall'”atto di citazione per chiamata in causa” notificato a Z. (e da questi riprodotto nel controricorso, pag. 4-5), S.J. aveva concluso, in via principale, instando per il rigetto delle domande attoree proposte dalla B. e dai suoi familiari, e “nel merito, in via subordinata nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda dell’attore…..dichiarare che la garanzia assicurativa prestata da S…..a favore del Dott. Z.E. e della Dott.ssa T.L. è una copertura a secondo rischio….”. Ne segue che, correttamente, il Giudice di appello, ritenuto insussistente il presupposto indicato dalla stessa S.J. per procedere all’esame della domanda subordinata, ha omesso di pronunciarsi su quest’ultima.

Conseguentemente non debbono esaminarsi i motivi undicesimo e dodicesimo, in quanto rimangono assorbiti nella infondatezza del tredicesimo.

p. 12. Rimane da esaminare il ricorso incidentale, proposto da M.M. egli altri danneggiati in entrambe le cause riunite, con il quale si deduce con un unico motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 97 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte d’appello erroneamente qualificato soccombenti i predetti, con conseguente condanna alle spese di giudizio, sul falso presupposto della ritenuta estensione, mai invece effettuata, della originaria domanda risarcitoria – proposta nei confronti della ***** – anche ai due medici, dipendenti della struttura ospedaliera, Z.E. e T.L., domanda dichiarata inammissibile dalla Corte territoriale.

I danneggiati, in particolare, deducono che:

– i medici erano stati chiamati in causa, in primo grado, da S.J. (che era stata a sua volta chiamata in garanzia impropria dalla convenuta *****), con la conseguenza che, essendo risultati i danneggiati totalmente vittoriosi nei gradi di merito, in relazione alla domanda afferente il rapporto principale e contrastata anche dalla società assicurativa S.J. che aveva autonomamente ritenuto di evocare in giudizio i medici, era sulla società chiamante soccombente che dovevano gravare le spese di lite da rifondere ai medici;

– la Corte territoriale aveva, invece, erroneamente posto a carico dei danneggiati tali spese, sul presupposto della dichiarazione di inammissibilità della asserita estensione automatica della domanda di condanna, che sarebbe stata formulata con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, sebbene in detta memoria “l’estensione della domanda ha riguardato tutti coloro che saranno ritenuti responsabili a qualsiasi titolo per i fatti di causa”, trattandosi, quindi, di richiesta meramente generica confermativa e non modificata del thema decidendum del tutto priva di riferimenti ai due medici chiamati in causa da S.J.;

– inoltre la condanna alle spese in solido non era conforme al dettato dell’art. 97 c.p.c., come interpretato dalla Corte di legittimità Sez. 3, Sentenza n. 6976 del 11/04/2016, secondo cui occorreva distinguere le singole posizioni dei soccombenti laddove fossero state presentate da questi domanda di valore notevolmente diverso Ha resistito al ricorso incidentale, con controricorso, Z.E. rilevando che l’atto di citazione per chiamata in causa, notificatogli dalla società chiamante S.J., sul presupposto – del tutto erroneo – della qualità di litisconsorti necessari dei medici del nosocomio, non conteneva (ne avrebbe avuto ragione di contenere) domande relative all’accertamento della responsabilità professionale dei medici, avendo infatti concluso la società assicurativa, in via principale, per il rigetto della pretesa attorea, ed in subordine, per accertare che la garanzia della responsabilità civile prestata a favore dei medici era “una copertura a secondo rischio”, con conseguente rigetto della domanda di manleva proposta da *****. Ha aggiunto che, costituitosi in primo grado, aveva contestato ogni responsabilità per i danni subiti dagli attori e questi ultimi, con la memoria ex art. 183 c.p.c., avevano esteso la domanda di condanna “a tutti coloro che fossero stati dichiarati responsabili del danno” e così avevano concluso anche nell’atto di appello.

La Corte d’appello aveva accolto la eccezione proposta dallo Z. di inammissibilità della estensione della domanda, atteso che la chiamata di terzo non era stata effettuata ai fini della indicazione dell’effettivo responsabile, ma esclusivamente per l’accertamento, in via peraltro subordinata, del rapporto contrattuale intercorrente tra S.J. ed i medici.

Il ricorso incidentale è fondato.

La estensione automatica della domanda deve essere riconoscibile nei suoi elementi minimi che consentano di qualificarla quale pretesa rivolto ad un determinato soggetto, laddove una richiesta formulata in “incertam personam” risponde al requisito minimo di riconoscibilità della domanda soltanto nel caso in cui l’incertezza si risolva in una relazione di obiettiva alternatività – incompatibilità nella individuazione di quello tra due o più soggetti cui imputare in via esclusiva la responsabilità ex contractu ovvero ex delicto.

Ricollocata nella concreta fattispecie processuale, la formula espressiva adottata nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 “….condannare per responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale l’Ospedale ***** e/o la ***** dell’Ordine Ospedaliero di *****, suo titolare, in persona legale rappresentante pro tempore e/o tutti coloro che saranno ritenuti responsabili a qualsiasi titolo per i fatti di causa….” (cfr. sentenza appello, in motiv. p. 11.1), assume contenuto del tutto equivoco atteso il carattere assolutamente generico della richiesta volta nei confronti di un soggetto indeterminato, tanto più considerando che non emerge che nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, siano state definite ulteriori specifiche condotte colpose da imputare a ciascuno dei due medici chiamati in causa da S.J., in relazione ai quali peraltro – che hanno sempre rilevato l’assenza di domande volte all’accertamento della loro diretta responsabilità: cfr. controricorso Z. pag. 5 – il Tribunale non ha pronunciato in modo specifico alcun rigetto della domanda risarcitoria, non essendo quindi evincibile dalla sentenza di primo grado l’inserimento successivo, nel “thema decidendum”, anche di una autonoma domanda risarcitoria proposta dagli attori nei confronti dei due medici; mentre nulla è dato evincere in contrario dalla omessa pronuncia del Tribunale in ordine alla eccezione formulata dai medici di inammissibilità per difetto di interesse della chiamata in causa effettuata da S.J., che aveva costituito anche motivo di gravame incidentale da parte del Dott. Z. (controricorso Z., pag. 6; sentenza appello in motiv. p. 7.), trattandosi di questione limitata esclusivamente al rapporto contrattuale assicurativo e dunque priva di alcun condizionamento-dipendenza (avuto riguardo al contenuto della domanda svolta dalla società assicurativa giapponese negli atti di chiamata in causa, intesa soltanto ad accertare la inapplicabilità della polizza ai medici dipendenti o liberi professionisti) da una presupposta domanda attorea di condanna dei medici al risarcimento dei danni.

Se è pure vero che i medici, chiamati in causa dalla società assicurativa, hanno sentito comunque la esigenza – dunque ben prima del deposito della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, – di difendersi anche nel merito, contestando la propria responsabilità professionale e chiamando a loro volta in causa altre società assicurative con le quali aveva stipulato polizze a garanzia della responsabilità civile, ciò non determina per ciò stesso la instaurazione di un autonomo e nuovo rapporto processuale anche con gli altri soggetti – diversi dalla chiamante S.J. – che già rivestivano la qualità di parti in causa, sicchè tanto la proclamazione da parte dei medici della negazione di qualsiasi loro responsabilità da chiunque fatta valere, quanto la formula espressiva utilizzata dagli attori nella predetta memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, volta a richiedere la condanna di tutti coloro nei confronti dei quali invece tale responsabilità fosse stata accertata all’esito del giudizio (formula peraltro che non viene modificata neppure, all’esito del giudizio, nelle precisate conclusioni e neppure in grado di appello, venendo soltanto tralatiziamente ripetuta), altro non evidenziano che l’adozione di mere formule di stile, inidonee ex se a consentire di individuare la chiara ed inequivoca manifestazione di volontà diretta a costituire tra le parti in causa (attori e terzi chiamati) un nuovo rapporto processuale avente ad oggetto la estensione della domanda risarcitoria originariamente svolta nei confronti dell’Ospedale “e/o” della *****.

Il motivo del ricorso incidentale va dunque accolto, non potendosi ravvisare soccombenza degli attori in primo grado in difetto di domanda risarcitoria formulata specificamente nei confronti dei medici Z. e T., con conseguente cassazione della statuizione della sentenza impugnata relativa alla dichiarazione di inammissibilità della estensione automatica della domanda di condanna e del capo concernente il regolamento delle spese del doppio grado di giudizio, relativo alla condanna degli “appellanti principali” alla rifusione delle spese sostenute da Z.E. e da T.L. (capo 10 del dispositivo della sentenza di appello).

p. 13. In conclusione:

infondato il primo, secondo, decimo e tredicesimo motivo; inammissibile il terzo, il quarto il sesto ed il nono motivo, ed assorbiti il sesto – in parte, l’undicesimo ed il dodicesimo motivo del ricorso principale proposto da S.J.;

infondato il secondo, il quinto, il settimo ed il nono motivo; inammissibile il primo ed il terzo motivo del ricorso incidentale proposto da *****;

– assorbito l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto da C.A.;

deve essere accolto il ricorso principale proposto da S.J. quanto al quinto, settimo ed ottavo motivo, nonchè il ricorso incidentale proposto da ***** quanto al quarto, sesto ed ottavo motivo, ed il ricorso incidentale proposto da M.M. e gli altri danneggiati quanto all’unico motivo dedotto.

La sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che nell’accertamento richiesto si atterrà ai principi di diritti enunciati al precedente p. 6, e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

riuniti i ricorsi di cui alle cause iscritte al RG 23972/2016 ed al RG n. 24168/2016:

accoglie il quinto, settimo ed ottavo motivo del ricorso principale proposto da S.J.N. Insurance Company of Europe Ltd – dichiara infondato il primo, secondo, decimo e tredicesimo motivo; inammissibile il terzo, il quarto il sesto ed il nono motivo, ed assorbiti il sesto, in parte, l’undicesimo ed il dodicesimo motivo -;

accoglie il quarto, sesto ed ottavo motivo del ricorso incidentale proposto da ***** dell’Ordine Ospedaliero di ***** – dichiara infondato il secondo, il quinto, il settimo ed il nono motivo; inammissibile il primo ed il terzo motivo -;

accoglie l’unico motivo del ricorso incidentale proposto da M.M., in proprio e n. q. di genitore esercente la potestà sul minore ME.DA., M.D., M.R. e D.C.T., B.C., in proprio e n. q. di curatore della sorella B.A.B., B.A.T.B. e B.B.M.;

dichiara assorbito l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto da Società C.d.A. coop. a r.l.;

cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di B.A.B. riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020

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