Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.127 del 08/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5934/2018 proposto da:

C.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA ROSARIA MERLINO;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale Dott. D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVALIER D’ARPINO 31, presso lo studio dell’avvocato ENRICA FERRARI, rappresentata e difesa dall’avvocato RENATO MAGALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1873/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 07/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO

che:

1. C.G. ricorre per la cassazione della sentenza numero 18732017, pubblicata il 7 luglio 2017, pronunciata dal Tribunale di Aversa (ora Napoli Nord) in sede di impugnazione, con la quale il giudice, dopo aver rilevato che l’impugnante, che aveva ritirato il fascicolo di parte in sede di precisazione delle conclusioni, non lo aveva più depositato prima della decisione, unitamente alla comparsa conclusionale (il cui deposito era avvenuto per via telematica), aveva dichiarato la improcedibilità dell’appello, stante la mancata produzione del fascicolo di parte contenente copia della sentenza impugnata, ritenendo che fosse integrata l’ipotesi di cui all’art. 347 c.p.c., comma 2. La parte intimata, assicuratrice Generali Italia S.p.A., si è costituita per resistere, deducendo l’inammissibilità del ricorso.

2. L’impugnazione attiene a una controversia in cui il ricorrente ha adito il giudice di Pace di Casoria per ottenere il risarcimento del danno in relazione aolun sinistro stradale con lesioni provocate da un veicolo investitore non identificato, in ragione del quale il giudice di Pace di Casoria aveva riconosciuto il solo danno biologico denominandolo “danno non patrimoniale onnicomprensivo” e non anche il danno morale ed esistenziale. Denunciava che il giudice investito dell’appello avesse, in sede decisionale, erroneamente pronunciato l’improcedibilità dell’appello, dopo aver constatato che il procuratore della parte appellante aveva ritirato il fascicolo di parte e non aveva più provveduto a depositarlo, nonostante la sua volontà di procedere dovesse desumersi dalla discussione della controversia con assegnazione dei termini per le memorie conclusionali e dal successivo deposito della comparsa conclusionale, avvenuto per via telematica; deduceva in particolare che il giudice, invece di rilevare la sussistenza di un motivo giustificante la concessione di un termine per consentire il deposito del fascicolo di parte, desumibile dalla volontà della parte di coltivare il giudizio, giunto nella fase finale del deposito delle memorie conclusionali, dopo avere rilevato che in atti mancava copia della sentenza impugnata – contenuta nel fascicolo non più depositato -, requisito indispensabile per la procedibilità dell’appello, ex art. 347 c.p.c., comma 2, avesse erroneamente pronunciato l’improcedibilità dell’appello. Le parti hanno prodotto memorie.

CONSIDERATO

che:

1. L’impugnante articola un motivo con più censure. La prima attiene alla violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6, par. 1 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la seconda attiene alla nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 2727,27282729 c.c., in tema di ragionamento presuntivo circa la implicita volontà di rinuncia alla documentazione, e la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., per mera apparenza della motivazione; la terza attiene all’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5 ed alla falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 347c.p.c., comma 2, ex art. 360 c.p.c., n. 3, denunciando che il mancato deposito del fascicolo di parte si è verificato indipendentemente dalla volontà della parte, a causa di una dimenticanza dell’addetto di cancelleria cui era stato consegnato il fascicolo, il che avrebbe consentito un rinvio della decisione o una fissazione di un termine per il deposito. Chiede in subordine l’invio degli atti alla Corte Cost. per valutare l’illegittimità dell’art. 169 c.p.c. e art. 77 disp. att. c.p.c., nella parte in cui non prevedono la concessione di un termine per il deposito o la ricostruzione del fascicolo già ritualmente depositato, richiamando anche la pronuncia delle SSUU n. 26278/2013 in tema di interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale che “impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa ovvero ispirate a un formalismo funzionale non già alla tutela dell’interesse alla controparte, ma piuttosto a frustrare lo scopo stesso del processo, che è quello di consentire che si pervenga a una decisione di merito”.

2. L’assunto di fondo è che il giudice avrebbe erroneamente tratto una presunzione legale di rinuncia alla documentazione allegata dal mancato deposito del fascicolo di parte ritirato in sede di precisazione delle conclusioni nella fase di appello, contenente la copia della sentenza impugnata, senza aver considerato che il deposito telematico della comparsa conclusionale induceva a presumere che non vi fosse stata una volontà della parte di rinunciare all’appello, e che il mancato deposito fosse stato frutto di un disguido di cancelleria, come nei fatti è avvenuto e avviene di sovente, tanto che i giudici di merito hanno l’habitus di fissare una nuova udienza per consentirne il deposito. Difatti, nel caso in esame vi sarebbero due elementi, ignorati dal giudice, che invece avrebbero dovuto indurre a non ritenere rinunciato l’appello, quali la presenza all’udienza di discussione dell’appellante, avvenuto il 16 marzo 2017, e il regolare deposito telematico, avvenuto il 10 maggio 2017, della comparsa conclusionale. Il contegno processuale tenuto dall’avvocato avrebbe dovuto quindi escludere la configurabilità della presunzione legale di cui all’art. 2728 c.c..

3. I motivi vanno trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi.

4. La prima censura si dimostra generica e, dunque, palesemente inammissibile, laddove, non soddisfacendo il criterio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, si omette ogni riferimento alle norme processuali violate, posto che risulta denunciata la violazione del principio costituzionale e convenzionale sul giusto processo, non accompagnata da una critica alla motivazione resa. La seconda censura, ove si denuncia il vizio di motivazione apparente, risulta anch’essa inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, in quanto non considera il contenuto della motivazione, resa invece con dovizia di argomenti.

5. La terza censura, relativa alla statuizione d’improcedibilità dell’appello, dichiarata ex art. 347 c.p.c., è fondata nei limiti di seguito esposti.

5.1. – Il giudice, in mancanza di deposito del fascicolo di parte, precedentemente ritirato, nei termini di cui all’art. 169 c.p.c. e art. art. 77 disp. att. c.p.c., avrebbe dovuto decidere allo stato degli atti e non pronunciarsi sulla improcedibilità dell’appello, attinente a omissioni verificatesi in limine litis, relative alla costituzione della parte impugnante.

5.2. L’art. 347 c.p.c., comma 2, stabilisce che l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza impugnata ma, in caso di omissione, non commina la sanzione dell’improcedibilità come previsto, invece, dall’art. 348 c.p.c., per la mancata costituzione nei termini per l’omessa comparizione dell’appellante alla prima udienza ed a quella successiva all’uopo fissata (cfr. Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23713 del 22/11/2016, ove si sancisce che la mancanza in atti della sentenza impugnata non preclude al giudice la possibilità di decidere nel merito qualora, sulla base degli atti, egli disponga di elementi sufficienti).

5.3. Pertanto, quello che il giudice dell’appello deve accertare, a pena di improcedibilità, è la costituzione dell’appellante e la sua comparizione alla prima udienza di trattazione, potendo nelle altre ipotesi di omissioni formali acquisire elementi utili (anche in ordine al contenuto della sentenza impugnata), dagli atti prodotti dalla controparte. Se la conseguenza è la decisione allo stato degli atti, e non l’improcedibilità dell’appello – che determina tout court il passaggio in giudicato della sentenza impugnata -, la norma ex art. 169 c.p.c. e art. 77 disp. att., che impone il deposito del fascicolo di parte, al più tardi, al momento del deposito della comparsa conclusionale, di cui si mette in discussione la costituzionalità, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza si dimostra adeguata, ponendosi essa stessa a garanzia del giusto processo – ovvero dell’ordinata conduzione del medesimo -, nel senso che impone alla parte l’onere di rispettare i tempi di deposito degli atti prima della decisione, senza prevedere la concessione di eventuali ulteriori termini da parte del giudice.

5.4. – Il mancato assolvimento dell’onere è “sanzionato” con una decisione allo stato degli atti, dunque, che non prevede un potere discrezionale del giudice di avvalersi di poteri direttivi o di ragionamenti presuntivi sulla supposta carenza di volontà della parte di rinunciare agli atti. Il diritto al giusto processo prevede, infatti, che esso si svolga nei tempi e nei modi indicati dalla legge processuale regolatrice, senza dilazioni dettate da eventuali imperdonabili dimenticanze di una parte, a meno che non si provi tempestivamente il contrario, ovvero la non imputabilità del fatto omissivo alla parte. Ed invero, la parte, in questo caso, ha mancato di accertare il seguito della consegna del fascicolo nel termine utile, ovvero all’atto del deposito della conclusionale, avendolo – in tesi – affidato a un addetto della cancelleria non abilitato a certificarne la ricezione. La parte inadempiente al suddetto onere processuale non potrebbe, solo per questo, essere rimessa nei termini, provocando un ingiustificato arretramento della fase processuale, proprio perchè il principio del giusto processo, secondo un’ interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, richiede il rispetto delle regole del contraddittorio, onde per cui ricusa indulgenze giudiziali che favoriscano una parte inadempiente a scapito del diritto della controparte diligente a procedere oltre la fase in cui il procedimento è giunto.

5.5. In tal caso non è in gioco un esasperato formalismo, come ritenuto dalla stessa sentenza n. 26278/2013 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, richiamata non proprio a proposito dallo stesso ricorrente, ma il rispetto degli oneri processuali, ove la situazione giuridica soggettiva della parte è correttamente definita “onere”, perchè dalla omissione o mancata presenza di una parte al giudizio, regolarmente chiamata in giudizio, “non deriva la necessità di applicare una sanzione, ma solo la perdita di facoltà o comunque il verificarsi di conseguenze sfavorevoli non afflittive”. Più in generale, al giudice dell’appello è dato un potere sanante ove sia ravvisabile il mancato rispetto del principio del contraddittorio per come regolato dalla legge processuale, a tutela del legittimo affidamento di una parte processuale che non abbia, ad esempio, ricevuto la notifica dell’appello, e dunque nell’ipotesi in cui il giudice deve concedere a quest’ultima un nuovo termine per la notifica dell’atto, fatta ovviamente salva la costituzione dell’appellato, che comporta comunque la sanatoria dell’atto difforme dal paradigma legale per il raggiungimento dello scopo, giusta l’art. 156 c.p.c., comma 3 (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 279 del 10/01/2017; Sez. 2, Sentenza n. 10273 del 12/05/2014).

5.6. Nel caso in questione, pertanto, il giudice non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano un accertamento presso quest’ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti (cfr. Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23713 del 22/11/2016; Sez. 1, Sentenza n. 10741 del 25/05/2015 (Rv. 635578-01)).

5.7. Altrimenti, come la migliore dottrina insegna, pur nel contesto di un processo civile che già richiede la presenza di parti “proattive” e il rispetto dei tempi segnati da parte del giudice, ogni diverso habitus processuale determinerebbe, per ogni parte, e per lo stesso giudice, “il rischio di trovarsi nelle nebbie di interminabili processi, dove il dominio delle carte fa perdere la realtà degli accadimenti”.

5.8. Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata per la parte in cui è stata dichiarata l’improcedibilità dell’appello, dovendosi il giudice pronunciare allo stato degli atti; per l’effetto, la sentenza va cassata, per quanto di ragione, con rinvio al Tribunale di Napoli Nord, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso in relazione al terzo motivo, per quanto di ragione; dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo; per l’effetto, cassa e rinvia al Tribunale di Napoli Nord, in persona di diverso magistrato, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020

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