Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.14 del 03/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3983-2015 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cassiodoro 19, presso lo studio dell’avvocato Luigi Danari, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mauro Bozzetto;

– ricorrente –

contro

B.R., B.O.A., B.F., elettivamente domiciliati in Roma, V.Paolo Emilio 34, presso lo studio dell’avvocato Marcella De Ninno, rappresentati e difesi dagli avvocati Nisco Bernardi, Raffaele Brigida;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 414/2014 della Corte d’appello di Trieste, depositata il 24/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 2 febbraio 2015 da F.M. nei confronti di R., F. e B.O.A. avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, venivano rigettate le domande da lei proposte ed aventi ad oggetto, per quanto ancora di interesse, l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio ovvero, in subordine, la costituzione coattiva della medesima servitù;

– il Tribunale di Pordenone, all’esito di istruzione orale e di ctu, aveva accolto la domanda di usucapione della servitù di transito pedonale e veicolare per un’ampiezza di 5 m a favore dei mappali *****, di proprietà della F., ed a carico delle restanti mappali (*****) di proprietà dei B.;

– la F. sosteneva, infatti, di essere sempre passata, e prima di lei i suoi danti causa, sugli immobili dei convenuti per accedere alla corte del M., dentro la quale si trovava la sua abitazione;

– proposto appello da parte dei convenuti soccombenti, la corte triestina riteneva ammissibile la documentazione prodotta dagli appellanti a dimostrazione dell’inattendibilità del teste Z. e, rivalutate le risultanze testimoniali acquisite al processo, concludeva per la mancanza di prova dell’invocata usucapione della servitù di passaggio;

– neppure risultavano dimostrate, ad avviso della corte territoriale, le dimensioni del portico e quindi della estensione della servitù;

-la corte escludeva, altresì, l’esistenza dei presupposti per la costituzione in via coattiva della servitù, dal momento che già esisteva la possibilità di un altro passaggio e, pertanto, difettava la interclusione assoluta del fondo;

– secondo la corte territoriale, non sarebbe poi stato possibile costituire coattivamente la servitù attraverso il portico in considerazione del divieto di cui all’art. 1051 c.c., comma 4;

– la cassazione della pronuncia d’appello è chiesta dalla F. sulla base di sette motivi, cui resistono con controricorso gli intimati R., F. e B.O.A..

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo la ricorrente censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la decisione impugnata eccependo la nullità del procedimento e della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 1, n. 3 laddove sono stati ammessi documenti non prodotti in primo grado e formatisi nel 2011, quindi prima della emissione della sentenza di primo grado (del 2012), giustificando la decisione con la considerazione che la domanda di accesso agli atti era stata presentata nel gennaio del 2012 di talchè prima di detta data gli appellanti non avevano avuto contezza del provvedimento amministrativo;

– tale motivazione non sarebbe conforme alla previsione dell’art. 345 c.p.c. che condiziona l’ammissibilità della documentazione oltre che all’ipotesi di ritenuta indispensabilità da parte del collegio ai fini della decisione, alla dimostrazione della parte interessata di non averli potuti produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile;

– la doglianza è infondata;

– la corte territoriale ha ritenuto, con un giudizio di fatto insindacabile in cassazione (cfr. Cass. 20958/2011) che la documentazione prodotta ed acquisita a seguito di accesso agli atti da parte degli appellanti del gennaio 2012 fosse ammissibile in appello perchè risalente al periodo fra la domanda di precisazione delle conclusioni (8/7/2911) e la rimessione in decisione (25 maggio 2012) della causa;

– parte ricorrente si è limitata a censurare tale conclusione di merito senza fornire elementi che ne inficino la legittimità;

-con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 246,112 e 342 c.p.c. per avere la corte consentito di dedurre l’incapacità del teste Z. in appello così realizzando una violazione del principio affermato dall’art. 246 c.p.c. secondo il quale l’incapacità del teste deve essere eccepita preventivamente alla sua discussione in quanto configura una nullità relativa, rimanendo altrimenti sanata ex art. 157 c.p.c., comma 2 (cfr. Cass. Sez. Un. 21670/2013); in caso di rigetto di tale doglianza la parte ha l’onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione;

– nel caso di specie, nonostante il tema non risulti esplicitamente trattato in termini di incapacità a testimoniare, di fatto si sarebbe realizzata una violazione applicativa dell’art. 246 c.p.c.;

– la doglianza è infondata;

– è principio consolidato che l’incapacità a deporre prevista dall’art. 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – nè un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (Cass. 167/2018);

– nel caso di specie, il teste Z. è stato ritenuto inattendibile sia per avere reso dichiarazioni nell’interesse della F. nell’ambito di un procedimento amministrativo sia perchè autore di dichiarazioni contraddittorie;

– si tratta, in entrambi i casi di circostanze che non configurano l’asserita violazione della disposizione sull’incapacità a testimoniare, ma attengono alla sua attendibilità che, per essere oggetto dell’insindacabile apprezzamento del giudice del merito, non può essere dedotta quale vizio di legge nei termini formulati;

– con il terzo motivo di deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e costituito dall’eccepita novità delle questioni sollevate dagli appellati, deduzioni che non sarebbero state vagliate dalla corte d’appello giuliana;

– il motivo è inammissibile perchè la corte territoriale ha valutato la testimonianza del Z. ed anche le eccezioni processuali ad essa relative, superandole con specifiche argomentazioni riferite alle dichiarazioni dallo stesso rese che non sono attinte dalla censura in esame;

– con il quarto motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,1142,1143 c.c. e art. 1146 c.c., comma 2, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame del possesso esercitato da parte della signora P., originaria proprietaria del fondo ora F. e dante causa della A., come riferito dal teste R., possesso che, invece, era stato valorizzato dal giudice di primo grado;

– diversamente la corte territoriale ne aveva solo dato atto senza esaminarla e valutarla;

– il motivo appare inammissibile perchè il fatto oggetto della censura non è nè descritto, nè collocato temporalmente, con la conseguenza che la valutazione dello stesso non appare decisiva e non riguarda l’applicazione dei principi di diritto ma la valutazione delle risultanze probatorie, rimessa all’insindacabile apprezzamento del giudice di merito;

– con il quinto motivo si censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove ha valorizzato l’argomento costituito dall’accordo concluso il 3 febbraio 1998 dall’ A. sia per rigettare la domanda di usucapione, sia per negare l’interclusione assoluta del fondo F.;

– la corte secondo la ricorrente avrebbe trascurato una circostanza dedotta dalla stessa nella comparsa di costituzione in appello e cioè che si trattava di un accordo raggiunto con esclusivo riferimento alla circostanza “eccezionale dei lavori di ristrutturazione del mappale *****”;

– la circostanza dedotta non è decisiva poichè se ci fosse stato un passaggio, evidentemente non sarebbe stato necessario l’accordo in questione, a prescindere dalla sua provvisorietà;

– con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. anche in riferimento agli artt. 329 c.p.c. ed art. 2909 c.c. per avere la pronuncia gravata, pur in assenza di uno specifico ed autonomo motivo di appello relativo all’interclusione assoluta, negato siffatta condizione del fondo, così decidendo oltre i limiti dell’appello proposto in relazione alla domanda di servitù coattiva;

– il motivo appare inammissibile perchè non c’è giudicato interno dal momento che la domanda subordinata di costituzione di servitù coattiva era stata in primo grado assorbita dal riconoscimento dell’intervenuta usucapione;

-con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 1051 c.c. e ss. nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per avere la corte omesso di fare applicazione della giurisprudenza (cfr. Cass. 2723/1987) che ai fini della costituzione di servitù coattiva di passaggio impone di avere riguardo alle condizioni dell’uomo medio al tempo in cui il diritto viene esercitato;

– ove si fosse fatta applicazione del detto principio si sarebbe dovuto considerare che l’accordo per il passaggio precario a suo tempo raggiunto non era idoneo a soddisfare le normali e comuni esigenze quotidiane;

-allo stesso modo la valutazione delle esenzioni ritenute applicabili dalla corte al fondo dei B. era erronea, non potendo essa applicarsi ai casi di esclusione assoluta come affermato dalla sentenza della Cassazione n. 14102/2012;

– nè poteva essere ritenuta preferibile la proposta degli appellanti per la costituzione della servitù sulla proprietà Fl. – Sa. per le ragioni di fatto meglio specificate nella terzultima pagina del ricorso (dimensioni e solidità del ponte, mancanza di parapetti e protezioni);

– le doglianze sono infondate;

– costituisce accertamento di fatto, demandato al giudice del merito e sottratto al sindacato della Corte di cassazione se congruamente ed esattamente motivato, stabilire l’esistenza dell’interclusione di un fondo per effetto della mancanza di un qualunque accesso sulla via pubblica e dell’impossibilita di procurarselo senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione assoluta), ovvero a causa del difetto di un accesso adatto o sufficiente alle necessita di utilizzazione del fondo (interclusione relativa) (Cass.3283/1974);

-nel caso di specie, come sopra rilevato non vi era giudicato interno sulla servitù coattiva e neppure sull’interclusione assoluta e, pertanto, la corte territoriale ha potuto argomentare sulle questioni dedotte con l’impugnazione e, con motivazione non censurabile nei limiti ora consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. Sez. Un. 8053/2014), ha concluso che l’interclusione era relativa ed incorreva nelle esenzioni di cui all’art. 1051 c.c., comma 4;

– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso è respinto;

– in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti e liquidate in Euro 4200,00 oltre 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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