LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17091/2015 R.G. proposto da:
DIEFFE s.r.l., in persona dell’Amministratore Unico sig.
R.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Zidarich, con domicilio eletto in Torino, via Brofferio n. 1;
– ricorrente –
contro
Edil MA.VI. Torino s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore M.L.;
– intimata –
avverso la sentenza resa dal Tribunale di Torino – in funzione di giudice di Appello – n. 8322/2014 depositata il 23 dicembre 2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– il Giudice di Pace di Torino, sull’opposizione proposta da Edil MA.VI. Torino s.r.l. avverso il decreto n. 11997/2012, ingiunto dalla ricorrente Dieffe Coperture s.r.l. per il pagamento della somma di Euro 3.200,00, a titolo di saldo del corrispettivo per l’esecuzione di lavori di realizzazione della copertura presso la “Scuola Materna e salone polivalente” in ***** di cui alla fattura n. *****, con sentenza n. 1086/2013, in accoglimento dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva della Dieffe Coperture s.r.l. in liquidazione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’opposta al rimborso delle spese processuali, alla luce della scrittura privata autenticata dell’11 marzo 2011, con la quale la Dieffe Coperture s.r.l. aveva ceduto alla Dieffe Costruzioni Generali s.r.l. un ramo d’azienda, seppure “senza alcun passaggio di debiti o crediti”;
– in virtù di rituale appello interposto dalla Dieffe Coperture s.r.l., il Tribunale di Torino (in funzione di giudice di appello) con sentenza n. 8322/2014, rigettava il gravame e condannava la parte appellante a rimborsare le spese processuali del giudizio;
– per la cassazione del provvedimento del Tribunale di Torino ricorre la Dieffe s.r.l. sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria.
Atteso che:
– con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1173,1184,1185,2558 e 2559 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice del gravame errato nel ritenere il credito per cui è causa, seppure sorto successivamente alla cessione d’azienda e non già in precedenza rispetto a detto atto, regolato dalla disciplina relativa alla cessione d’azienda.
La censura è fondata.
E’ preliminare rilevare che l’applicazione della disciplina generale in tema di cessione d’azienda prevede la successione automatica del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola espressa eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi ad oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio. Il tutto si produce di diritto, con riguardo in blocco a tutti i rapporti contrattuali inerenti l’azienda ceduta, come effetto naturale della fattispecie traslativa d’azienda.
A differenza della ipotesi generale della cessione del contratto ex art. 1406 c.c., la cessione d’azienda prescinde del tutto dalla volontà, espressa o tacita, delle parti stipulanti e neppure richiede, per il suo perfezionamento, il consenso del contraente ceduto. Il che evidentemente risponde all’intenzione del legislatore di realizzare, con tale meccanismo, l’interesse di carattere generale di favorire la circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti. Interesse che rischierebbe di rimanere frustrato se si ritenesse necessaria, ai fini del prodursi del fenomeno successorio, un’accettazione espressa dei contratti e delle pattuizioni per la cui validità è richiesta la forma scritta (Cass. 28 marzo 2007 n. 7652).
L’art. 2558 c.c., dunque, che disciplina tutti i casi di trasferimento di azienda, prevede, salvo patto contrario, una cessione automatica o “ipso iure” dei rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive, che non abbiano carattere personale, che ineriscano all’esercizio dell’azienda e non siano ancora esauriti. (Cass. 8 giugno 1994 n. 5534).
Nella specie, non è controverso che si tratti di contratto a prestazioni corrispettive, l’unica circostanza dibattuta attiene alla questione dell’esaurimento o meno degli effetti del contratto de quo in epoca precedente alla cessione del ramo d’azienda ovvero la esistenza di un patto contrario alla vicenda successoria.
Al riguardo è determinante rilevare che i lavori di realizzazione della copertura presso la scuola materna erano stati conclusi alla data del 21 gennaio 2010, ed era intervenuta la cessione d’azienda solo nel successivo 11 marzo 2010. Essendo dunque posteriore la vicenda traslativa ed essendosi i lavori conclusi precedentemente alla stessa, il contratto deve ritenersi che abbia esaurito i suoi effetti alla data del 21 gennaio 2010.
Peraltro, l’art. 2558 c.c. dispone con norma suppletiva, che nel caso di trasferimento dell’azienda, unitamente ai beni che la costituiscono, si trasferiscono i contratti a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguiti che non abbiano carattere personale e stipulati per l’esercizio di essa, oltre alla specifica ipotesi che non sia intervenuto un “patto contrario” (Cass. 7 dicembre 2005 n. 27011).
Nella vicenda controversa emerge che le parti, con la scrittura privata autenticata dal Notaio B. in *****, in data 11 marzo 2010, avevano previsto che la Dieffe Coperture s.r.l. cedeva alla Dieffe Costruzioni Generali s.r.l. un ramo d’azienda, “senza alcun passaggio di debiti o crediti”. Sussiste, dunque, anche l’ipotesi della regolazione con patto contrario alla successione universale nei debiti e crediti dell’azienda cedente, da parte della cessionaria.
Alla luce di siffatti principi, va dunque esclusa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2558 c.c., erroneamente evocato dal giudice;
– con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 quale errata interpretazione, da parte del Tribunale, del contratto di subappalto.
La censura rimane assorbita dall’accoglimento del primo mezzo per pregiudizialità logica.
Conclusivamente, va accolto il primo di ricorso, assorbito il secondo. La sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale di Torino, in persona di diverso magistrato, che procederà all’esame della controversia alla luce dei principi sopra illustrati.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385 c.p.c., u.p..
PQM
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Torino in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte di Cassazione, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020
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