LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 758-2018 proposto da:
P.D., F.G., D.F.S., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato RENATO SICILIANO;
– ricorrenti –
Contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, LIDIA CARCAVALLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 447/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 09/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
che con sentenza in data 18 maggio – 9 giugno 2017 n. 447, la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva dichiarato improponibile per mancanza della preventiva domanda amministrativa all’INPS la domanda giudiziaria proposta da P.D., D.F.S. e F.G. per il conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8;
che la Corte territoriale a fondamento della decisione osservava che l’oggetto della causa non atteneva al diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica ma concerneva, piuttosto, il riconoscimento di un beneficio previdenziale dotato di una propria autonomia.
Nella fattispecie di causa era pacifica la mancanza della domanda amministrativa all’INPS, che non era sanabile, stante la diversa finalità e contenuto dell’istanza, dalla domanda per l’espletamento del tentativo di conciliazione inviata alla commissione provinciale di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c..
Privo di pregio era il richiamo alla circolare INAIL del 23 novembre 1995, che avrebbe consentito, all’esito del parere negativo della CONTARP, di agire in sede giudiziaria; si trattava di una direttiva precedente alle innovazioni di cui alla L. n. 269 del 2003;
che avverso la sentenza hanno proposto ricorso P.D., D.F.S. e F.G., articolato in due motivi, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che le parti ricorrenti hanno dedotto:
– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c, n. 3 – violazione della L. n. 257 del 1992, art. 3, della L. n. 533 del 1973, art. 7, dell’art. 443 c.p.c..
Hanno assunto che il legislatore della L. n. 257 del 1992, non aveva previsto l’obbligatorietà dalla domanda amministrativa all’INPS in quanto non era chiesta una prestazione ma l’accertamento di un diritto (a non subire decurtazioni pensionistiche); veniva in rilievo l’erogazione della prestazione pensionistica nella sua esatta misura.
La domanda amministrativa era necessaria soltanto qualora tale onere fosse previsto dalla legge;
– con il secondo motivo, violazione dell’art. 410 c.p.c. nonchè omesso esame di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente ha dedotto che la finalità deflattiva del contenzioso, che secondo la Corte territoriale era il presupposto logico della preventiva domanda amministrativa, era stata assolta mediante l’esperimento del tentativo facoltativo di conciliazione, fatto non esaminato nella sentenza impugnata.
Era pacifico che i pareri forniti dal CONTARP e gli accertamenti INAIL erano stati negativi; erano dunque evidenti la procedibilità della domanda e l’interesse attuale e concreto ad ottenere una pronuncia giudiziale.
La motivazione della Corte territoriale, secondo la quale il richiamo alla circolare INAIL non teneva conto delle novità normative di cui alla L. n. 269 del 2003 era illogica, in quanto restava immutato il regime dell’unica domanda amministrativa all’INAIL che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione;
che questa Corte ha già affermato con orientamento costante in riferimento al procedimento giudiziario inteso al riconoscimento del diritto alla rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto che la domanda amministrativa della prestazione all’ente erogatore, ai sensi della L. n. 533 del 1973, ex art. 7, è condizione di proponibilità di quella giudiziaria (cfr., tra le altre, Cass. n. 3746/ 2016, n. 25056/ 2015, n. 16152/ 2015, n. 24787/ 2014, n. 22113 / 2014, n. 21973/1 2014) ed in particolare che tale domanda amministrativa deve essere presentata all’I.N.P.S., unico ente legittimato a concedere il beneficio previdenziale e non è fungibile rispetto alla domanda inoltrata all’I.N.A.I.L., diretta unicamente al rilascio della certificazione di esposizione all’amianto. Nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 3 febbraio 2012, n. 1629 ed in senso conforme Cass. 30 maggio 2012, n. 8650; id. Cass. 14 agosto 2012, n. 14471; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27148; Cass. 4 marzo 2014, un. 5008 e 5009; Cass. 25 febbraio 2014, n. 4484) è stata altresì esaminata la connessa questione dell’applicazione a fattispecie analoghe a quella in esame della decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, affermandosi al riguardo che la suddetta decadenza trova applicazione anche alle controversie per il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto promosse da pensionati; in tale evenienza non sono applicabili i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 12720/2009 (inapplicabilità della decadenza per la azione di riliquidazione delle prestazioni riconosciute solo in parte) poichè ciò che si fa valere non è il diritto alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei pensionistici erroneamente liquidati bensì il diritto ad un beneficio che, seppure strumentale ad essi, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, in quanto opera sulla contribuzione ed è ancorato a presupposti propri e distinti.
Da ultimo si è altresì chiarito (Cassazione civile, sez. VI, 10/05/2017, n. 11438) che nella ipotesi di mancanza della domanda amministrativa di rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto non è applicabile l’art. 443 c.p.c. che attiene all’onere di attendere, proposta la domanda amministrativa nonchè il ricorso amministrativo avverso la decisione sfavorevole assunta dell’ente competente, l’esaurimento dei procedimenti previsti per la composizione della questione in sede amministrativa.
Alla luce della richiamata giurisprudenza non riveste rilievo decisivo ai fini della proponibilità della domanda giudiziaria l’eventuale espletamento del tentativo facoltativo di conciliazione ai sensi del vigente art. 410 c.p.c., in quanto la domanda amministrativa del beneficio non è surrogabile con una comunicazione diretta ad altri fini all’Istituto previdenziale e presupponente essa stessa il preventivo avvio del procedimento nella sede amministrativa;
che la sentenza impugnata si è conformata ai principi sopra esposti sicchè il ricorso va rigettato con ordinanza in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., in conformità alla proposta del relatore;
che le parti ricorrenti sono esenti dal pagamento delle spese di causa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. l, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020