LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6373-2018 proposto da:
S.A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUCCARI 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO ROSARIO BONGARZONE;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1739/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 09/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SPENA FRANCESCA.
RILEVATO
che con sentenza del 15 giugno – 9 agosto 2017 n. 1739 la Corte d’ Appello di Bari confermava la decisione del Tribunale di Foggia, che aveva respinto la domanda proposta da S.A.G. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. per la declaratoria della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti per il periodo 6 aprile – 30 giugno 2007 ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 2, comma 1 bis;
che, per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale osserva che la lavoratrice non aveva dedotto di essere stata adibita a servizi di sportelleria non collegati al servizio postale; in ogni caso, la disposizione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis trovava applicazione in tutti i settori di attività di Poste Italiane s.p.a., anche non strettamente attinenti ai servizi postali;
che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.A.G., affidato a due motivi, cui ha resistito POSTE ITALIANE s.p.a. con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti-unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio- ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che la parte ricorrente ha dedotto:
– con il primo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del D.Lgs. 22 luglio 1999 n. 261, art. 1, comma 1.
Ha censurato la sentenza per avere affermato che ella non aveva mai allegato di essere stata adibita a servizi di sportelleria “non strettamente correlati al servizio postale”.
Ha assunto che il fatto dello svolgimento di mansioni di sportelleria era stato allegato sin dal primo grado di giudizio, posto a fondamento dell’appello e mai stato contestato da controparte.
Il fatto che gli addetti alla sportelleria non si occupassero del servizio di distribuzione, smistamento e trasporto della corrispondenza ma, piuttosto, dello svolgimento dei servizi finanziari apparteneva al notorio; era dunque necessaria una specifica difesa di POSTE ITALIANE quanto all’eventuale svolgimento, in qualità di sportellista, di mansioni riconducibili alle attività del servizio postale universale, in relazione a quanto statuito nel D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1;
– con il secondo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile la suddetta fattispecie normativa ai lavoratori addetti allo sportello.
Ha dedotto che la interpretazione espressa in sentenza non teneva conto delle ragioni sottese alla sentenza della Corte Costituzionale n. 241/2009 laddove si evidenziava il rapporto di funzionalità tra la flessibilità delle assunzioni a termine riconosciuta dal D.Lgs n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis e lo svolgimento del servizio postale universale sicchè la estensione della disciplina al servizio di sportelleria avrebbe determinato la incostituzionalità della norma per violazione dell’art. 3 Cost..
che ritiene il Collegio debba essere respinto il secondo motivo di ricorso, autonomamente decisivo, con conseguente difetto di interesse della ricorrente all’esame del primo;
che, invero, il secondo motivo, da esaminare preliminarmente secondo l’ordine logico, è infondato avendo questa Corte in numerose pronunce (v. Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. 5 febbraio 2016, n. 2324; Cass. 10 maggio 2017, n. 16431; Cassazione civile sez. VI, 25 ottobre 2018, n. 27155) chiarito come l’impresa concessionaria del servizio postale possa assumere a termine un lavoratore- (per un periodo massimo di sei mesi o di quattro mesi, a seconda che detto periodo sia compreso tra aprile e ottobre ovvero nel periodo residuo dell’anno)- a condizione che con tale assunzione non superi il limite quantitativo costituito dal quindici per cento dell’organico aziendale-indipendentemente dalle mansioni cui tale lavoratore sia addetto. Ed infatti la norma fa esclusivo riferimento alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi nei settori delle poste- e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, sia pure entro limiti quantitativi fissati inderogabilmente dal legislatore.
Nè si rinviene nei passaggi della citata Corte Cost. sentenza n. 214 del 2009 un suffragio alla tesi propugnata in ricorso: anzi, il giudice delle leggi afferma che non è manifestamente irragionevole che ad imprese tenute per legge al c.d. “servizio postale universale” sia riconosciuta una certa flessibilità nel ricorrere alle assunzioni a termine, sia pure entro limiti quantitativi fissati inderogabilmente dal legislatore. A loro volta i summenzionati limiti quantitativi sono rafforzati dal controllo che sulla loro osservanza può essere svolto grazie al meccanismo di trasparenza delineato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, che impone all’azienda di comunicare alle organizzazioni sindacali provinciali di categoria le richieste di assunzioni a termine;
che a tale consolidata giurisprudenza si è conformata la sentenza impugnata;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, dovuto/ per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 2 luglio 2019.
Depositato in cancelleria il 9 gennaio 2020