Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.170 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3310-2019 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’ DI BRUNO, 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 351/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 16/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Perugia con sentenza in data 16/5/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Perugia in ordine alle istanze avanzate da A.F. nato in *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato (sul quale non ha insistito in appello), del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Pakistan aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di ***** di essere fuggito dal proprio paese perchè, dopo la morte dei suoi genitori, non era in grado di pagare i debiti contratti.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo e secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, per aver ritenuto non credibile il ricorrente.

I motivi contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. cit., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c), e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c), e attendibilità (lett. e), che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), riguardo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il terzo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), il Giudice è tenuto al dovere di cooperazione istruttoria al fine di accertare l’esistenza di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

A tal riguardo Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17069 del 28/06/2018 ha precisato che “Quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c).”

Nella sentenza impugnata il giudice ha solo genericamente esaminato la situazione politica del paese di provenienza e ritenuto mancante la prova di episodi di violenza indiscriminata ex art. 14, lett. c), nel paese di provenienza omettendo tuttavia di indagare sulle condizioni effettive del paese di origine e venendo meno al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

Infatti nei giudizi di protezione internazionale l’esame officioso della situazione generale esistente nel Paese di origine del cittadino straniero svolto dal giudice del merito deve essere specifico e dar conto delle fonti di informazione consultate per cui incorre nella violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che nel vizio di motivazione apparente, la pronuncia che, nel prendere in considerazione la situazione generale esistente nel Paese di origine del cittadino straniero, si limiti a valutazioni solo generiche o comunque non individui le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte.

Nella fattispecie il giudice di merito ha ritenuto l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine senza tuttavia dare conto dei siti internet consultati o delle fonti dalle quali provengono le informazioni riportate violando così il disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

Per quanto sopra deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, rigettati i primi due, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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