Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.174 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10338-2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE COSCO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE SPADAFORA;

– ricorrente –

contro

Z.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 2 INT. C/12, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO SQUILLACE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA MANTELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha riconosciuto in favore di M.M. un assegno divorzile dell’importo di E 400 mensili a carico dell’ex coniuge Z.S..

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che la situazione economico patrimoniale della M. non era di autosufficienza economica e che doveva esserle riconosciuto un contributo a titolo di assegno di divorzio da ridursi rispetto alla decisione di primo grado in relazione all’elevato costo della vita nella città di ***** ove l’obbligato risiedeva ed in considerazione dei costi per cura ed assistenza dovute alle sue condizioni di salute, tenuto conto della disponibilità reddituale mensile e delle sue complessive condizioni economico patrimoniali meglio descritte a pag. 9 della sentenza impugnata. Infine si deve tenere conto, secondo la Corte, dell’importo pagato per il mantenimento del figlio maggiorenne ma non autosufficiente, in precedenza convivente con il padre. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.M.. Ha depositato controricorso Z.S..

Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, perchè la Corte d’Appello ha posto a base della decisione circostanze nuove (patologie dello Z. e versamento diretto al figlio A.) e non la situazione cristallizzatasi alla decisione di primo grado.

La censura è manifestamente infondata. Nei procedimenti di separazione e divorzio, gli elementi di fatto che possono incidere sull’attribuzione e determinazione degli obblighi economici, ove verificatisi in corso di causa, devono essere presi in esame nel corso del giudizio, in quanto governato dalla regola rebus sic stantibus e trovando applicazione il giudizio di revisione della L. n. 898 del 1970, ex art. 9, soltanto in relazione ai fatti successivi all’accertamento coperto da giudicato, dovendo le altre emergenze essere esaurite nei gradi d’impugnazione relativi al merito. (Cass. 3925 del 2012 nella quale è affermata l’ammissibilità di nuova domanda anche in corso di causa; 1824 del 2005).

Nel secondo motivo si contesta l’omessa esecuzione d’indagini istruttorie relative all’obbligato. La censura è inammissibile. La Corte svolge un accertamento di fatto comparativo selezionando insindacabilmente gli elementi di fatto ritenuti di più incisiva rilevanza. La censura peraltro difetta anche di specificità perchè non indica dove e quando siano state formulate queste richieste istruttorie.

Nel terzo motivo analoga censura viene formulata in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c., ed in relazione all’omesso esame di produzioni documentali relative a partecipazioni societarie. La censura è inammissibile dal momento che la Corte territoriale ha valutator i cespiti societari, ritenendoli irrilevanti, con giudizio insindacabilmente di merito. (pag. 9 sentenza penultimo capoverso.) Il quarto motivo contiene una censura analoga e sovrapponibile a quella contenuta nel primo motivo.

Il quinto e sesto motivo evidenziano, al di là della intestazione formale della censura (la quinta formulata come violazione di legge, la sesta ex art. 360 c.p.c., n. 5), esclusivamente censure relative alla valutazione dei fatti (mantenimento figlio maggiorenne non autosufficiente; cespiti immobiliari) esaminati dalla Corte d’Appello. Infine le rilevate contraddittorietà emergenti dalla motivazione non sono più censurabili alla luce del nuovo paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (e sono del tutto estranee a quello contenuto nell’art. 350 c.p.c., n. 3), non determinando nella specie, l’inesistenza di un coerente tessuto argomentativo a sostegno della decisione. Al rigetto del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in relazione alle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali da liquidarsi in E 3000 per compensi, 100 per esborsi oltre accessori di legge.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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