LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13516-2015 proposto da:
COMUNE MIRABELLA ECLANO, in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ULPIANO 29, presso lo studio dell’avvocato LUCA ZERELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO PORCIELLO;
– ricorrente –
contro
MANPOWER SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANFRANCO CEINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4456/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/05/2019 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Rilevato:
che il Comune di Mirabella Eclano si opponeva al decreto ingiuntivo con cui il tribunale di Milano lo aveva condannato a pagare alla società Manpower s.p.a. la somma di Euro 7.307,05, oltre interessi di mora, quale saldo della fattura n. 81541/05 avente ad oggetto il corrispettivo di un contratto di somministrazione di lavoro a termine sottoscritto dalle parti in data 1.9.2005;
che l’opponente richiedeva la revoca del decreto e spiegava domanda riconvenzionale di condanna della parte opposta al risarcimento di tutti i danni subiti, deducendo l’inadempimento della società Manpower s.p.a. al contratto di somministrazione di lavoro a termine per aver inviato al Comune opponente personale privo della qualifica “vigile urbano”, necessaria per espletare le mansioni richieste;
che, in particolare, tre dei cinque lavoratori inviati dalla Manpower erano privi della menzionata qualifica vigile urbano, essendo risultati muniti, come attestato dalla Direzione provinciale del lavoro di Avellino, di un mero attestato di partecipazione ad un corso formativo;
che il tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta dal Comune, ritenendo insussistente l’inadempimento ascritto dall’opponente alla Manpower:
che, a giudizio del tribunale, la clausola contrattuale che prevedeva che il personale inviato al Comune fosse munito della qualifica di vigile urbano andava intesa, alla stregua di una interpretazione secondo buona fede, come prescrittiva di un requisito di adeguata competenza per la funzione (di vigile urbano, appunto) che detti lavoratori erano destinati a svolgere;
che, sempre a giudizio del tribunale, tale requisito di competenza era ravvisabile in capo a tutti e cinque i lavoratori inviati dalla Manpower al Comune di Mirabella Eclano;
che la corte di appello di Milano, adita dal Comune, confermava integralmente la decisione di primo grado, escludendo che “la qualifica di vigile urbano richiesta dai lavoratori somministrati da Manpower e indicata nelle pattuizioni del contratto inter partes dovesse essere quella conseguita secondo concorso pubblico, tanto più considerata l’assenza in contratto della specificazione di titoli ritenuti necessari”;
che la suddetta sentenza della corte di appello di Milano è stata impugnata per cassazione dal Comune di Mirabella Eclano, sulla scorta di tre motivi (il paragrafo 4 del ricorso, a pag. 10 e segg., non contiene un mezzo di gravame, giacchè non formula alcuna censura nei confronti della sentenza impugnata, limitandosi a reiterare le richieste di revoca dell’ingiunzione opposta e di accoglimento della domanda riconvenzionale del Comune, quale esito dell’auspicato accoglimento dell’impugnazione);
che l’intimata società Manpower s.p.a. ha presentato controricorso;
che la causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 10 maggio 2019, per la quale non sono state depositate memorie;
Ritenuto:
che preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla contro ricorrente ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, sull’assunto che tutti i motivi del ricorso stesso, pur variamente rubricati, dedurrebbero, in sostanza, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; al riguardo è sufficiente considerare che, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, l’art. 348 ter c.p.c. si applica agli atti di appello introdotti dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione di detto decreto legge, mentre l’appello del Comune di Mirabella Eclano risale al 2010;
che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. e ss., lamentando l’inadeguata valutazione, da parte della corte di appello, delle risultanze processuali, con particolare riguardo, per un verso, alla clausola contrattuale che prevedeva che i lavoratori inviati al Comune dovessero avere la qualifica di vigile urbano con la mansione di CCNL di “agente di polizia municipale locale” e, per altro verso, alla comunicazione con cui la Direzione Provinciale del Lavoro di Avellino aveva stabilito che tre delle cinque unità somministrate non erano in possesso della richiesta qualifica di vigile urbano;
che il motivo va rigettato perchè si risolve in una censura di merito sull’interpretazione del contratto operata dalla corte di appello, la quale, con una interpretazione non censurata sotto il profilo della violazione dei canoni legali di ermeneusi contrattuale, ha assegnato all’espressione “qualifica di vigile urbano”, usata in contratto, un significato “individuante il profilo professionale dei lavoratori ed il possesso dell’idoneità a svolgere le mansioni richieste per la collocazione lavorativa” (pag. 4 sent.);
che con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; sostanzialmente, il Comune di Mirabella Eclano ritiene che la corte di appello di Milano non avrebbe valutato correttamente nè il fatto che la società Manpower si era impegnata a inviare e cinque candidati con qualifica di vigile urbano, a differenza di quanto poi effettivamente avvenuto, nè il fatto che detta società aveva consegnato la documentazione relativa alle qualifiche dei lavoratori solo nello stesso giorno in cui venne sottoscritto il contratto di somministrazione, il tal modo precludendo al Comune la possibilità di interpellare la Direzione Provinciale del Lavoro solo dopo la sottoscrizione del contratto stesso;
che il motivo va rigettato, perchè non indica il fatto decisivo che di per sè sarebbe idoneo a sovvertire l’accertamento in fatto della corte territoriale secondo cui l’assenso del Comune alla conclusione del contratto era stato dato dopo che lo stesso Comune aveva “appreso, per comunicazione di Manpower s.p.a., che alcuni lavoratori avrebbero acquisito tale qualifica (di vigili urbani, n.d.r.) mediante la frequenza di un corso di qualificazione”; la circostanza che la menzionata comunicazione della Manpower sarebbe stata consegnata agli uffici comunali solo a fine giornata non emerge dalla sentenza gravata, nè il ricorrente indica in quale atto del giudizio merito l’avrebbe dedotta, cosicchè va giudicata inammissibile perchè nuova; quanto, infine, al rilievo che detta comunicazione non potrebbe modificare il contenuto dei patti contrattuali, è sufficiente considerare che la corte di appello ha fatto riferimento a tale comunicazione non come fonte di accordi modificativi del contenuto del contratto ma come indice di un comportamento delle parti rilevante ai fini dell’interpretazione del contratto stesso;
che con il terzo motivo di ricorso il Comune denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. e “l’omessa valutazione dell’intervenuta risoluzione contrattuale”, lamentando che la corte territoriale avrebbe trascurato l’inadempimento della Manpower agli obblighi contrattuali su di lei gravati e ignorato gli atti con cui il Comune aveva comunicato alla Manpower che il contratto doveva considerarsi risolto limitatamente a tre delle cinque unità lavorative somministrate;
che il motivo sostanzialmente ripropone la medesima censura proposta nel primo mezzo di ricorso, del quale segue le sorti; anche questo motivo, infatti, attinge l’accertamento di fatto della corte territoriale, non censurabile in cassazione se non con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo cui la somministrazione di personale che aveva frequentato un corso di formazione non costituiva inadempimento della Manpower al contratto inter partes;
che in definitiva il ricorso va rigettato;
che le spese seguono la soccombenza;
che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere alla società controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.400, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020