LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24456-2015 proposto da:
D.C., quale difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO 32, presso lo studio dell’avvocato NICOLO’ SCHITTONE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di SCIACCA, depositata il 25/08/2015;
udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 02/10/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. L’Avvocato D.C. aveva difeso M.R., che era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, in un giudizio civile dinanzi al Tribunale di Sciacca, conclusosi con la condanna della controparte della M., tal Mo.Al., al pagamento delle spese di lite che erano state liquidate con distrazione in favore dello Stato nell’importo di Euro 3.500,00 di cui Euro 2.090,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori.
Con successivo decreto del 13/2/2015, il Tribunale liquidava in favore del D. la minor somma di Euro 1.500,00, oltre accessori, e l’opposizione proposta dallo stesso difensore, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170 era rigettata dal Tribunale con ordinanza del 25/8/2015.
Rilevava il provvedimento che non poteva accedersi alla tesi del professionista secondo cui vi doveva essere necessaria coincidenza tra la somma liquidata in sentenza a favore dello Stato e quella poi riconosciuta al difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Il richiamo al precedente del giudice penale costituito da Cass. pen. 46537/2011 non era pertinente in quanto non teneva conto del meccanismo delle spese processuali nel suo complesso.
In effetti, le spese legali costituiscono solo una parte delle spese che devono essere sopportate dal cittadino per l’acceso al servizio giustizia, occorrendo tenere conto anche della necessità del versamento del contributo unificato, dei compensi dovuti al difensore e dei relativi accessori, nonchè delle imposte di registro eventualmente dovute.
L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato comporta l’esenzione dal pagamento di alcune spese e l’anticipazione di altre da parte dell’erario, nonchè modalità differenti di determinazione dell’onorario del professionista, essendo espressamente previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 che gli importi spettanti al difensore sono ridotti alla metà.
Inoltre, a seguito dell’ammissione, l’interessato non deve versare il contributo unificato, le spese per le notificazioni richieste d’ufficio, alcune imposte nonchè i diritti di copia, essendo poi anticipati dallo Stato gli onorari e le spese dovute al difensore.
Ne deriva quindi che, in caso di vittoria del patrocinato, il giudice dispone che il pagamento delle spese da parte del soccombente avvenga in favore dello Stato, spese che però non comprendono solo gli onorari dell’avvocato, ma, per la differenza che può esistere tra quanto liquidato a carico del soccombente e quanto liquidato a favore del difensore, mirano a compensare i maggiori oneri a carico dello stesso Stato, il che esclude che possa ravviarsi un ingiustificato arricchimento a favore di quest’ultimo.
Avverso tale ordinanza D.C. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui resiste l’Amministrazione ai soli fini della discussione orale.
La causa, inizialmente fissata per la trattazione dinanzi alla VI sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 1977/2017 del 25 gennaio 2017 è stata rimessa alla pubblica udienza, non essendosi ravvisate le condizioni di cui all’art. 375 c.p.c.
Quindi è stata fissata l’udienza di discussione del 2 ottobre 2019.
2. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 in quanto il decreto emesso conterrebbe una duplice ed illegittima decurtazione dell’importo spettante al difensore.
Infatti, oltre a doversi considerare che la sentenza emessa all’esito del giudizio presupposto aveva operato un’eccessiva decurtazione delle competenze richieste dal ricorrente, liquidando la somma di Euro 3.500,00 (di cui Euro 2.090,00 per onorari) a fronte del ben più elevato importo di cui alla nota specifica ivi depositata (pari ad Euro 14.767,00), il decreto di pagamento ha effettuato un’ulteriore decurtazione, facendo sì che lo Stato possa recuperare dal soccombente condannato al pagamento delle spese processuali una somma in realtà mai sborsata, favorendo così un’iniusta locupletatio da parte dell’erario.
Pertanto al ricorrente andava liquidata la medesima somma alla quale era stato condannato il soccombente nel giudizio di merito.
Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, laddove ha escluso la pertinenza dell’argomento costituito dal richiamo alla giurisprudenza penale di legittimità circa la coincidenza tra la liquidazione fatta a carico del soccombente e quella in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Inoltre sarebbe priva di giustificazione la deduzione secondo cui l’eventuale differenza tra le somme separatamente liquidate verrebbe a compensare i maggiori oneri che lo Stato sopporta nel caso di ammissione al patrocinio, in assenza di una puntuale indicazione di tali maggiori oneri.
Si sostiene poi che non avrebbe senso che il Tribunale di Sciacca, nel condannare il Mo., avesse posto in essere una condanna ad una somma meramente virtuale o ipotetica, posto che, per la differenza tra quanto liquidato in sentenza e quanto liquidato in decreto, la parte ammessa al patrocinio non avrebbe alcun titolo esecutivo per recuperare la stessa nei confronti del soccombente, confermandosi in tal modo la necessità che debba esservi coincidenza tra le due liquidazioni.
2.1 I primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
In disparte l’ammissibilità della denunzia di illogicità e contraddittorietà della motivazione alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, non palesando il ragionamento del giudice di merito i connotati di anomalia che secondo la giurisprudenza di questa Corte permettono di riscontrare un’abnormità nella motivazione tale da incidere sulla stessa validità ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014, secondo cui è necessario che ricorra una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, ovvero una “motivazione apparente”, o ancora un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” ed una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione), le critiche si risolvono nella riproposizione a questa Corte della questione relativa alla necessità o meno di una corrispondenza tra gli importi liquidati in sentenza a carico del soccombente, e con sostanziale distrazione in favore dello Stato, e quelli invece oggetto del separato decreto di liquidazione in favore del difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Infatti, un primo orientamento di questa Corte, partendo dalle affermazioni contenute in Cass. pen. 9 novembre 2011 n. 46537 (richiamata anche nella relazione ex art. 380 bis c.p.c. predisposta in vista della trattazione in udienza camerale e depositata in data 26/10/2016), era pervenuto alla conclusione secondo cui, qualora nell’ambito di un giudizio civile risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 103 medesimo decreto, al fine di evitare che l’eventuale divario possa costituire occasione di ingiusto profitto dello Stato a discapito del soccombente ovvero, al contrario, di danno erariale (Cass. sez. VI, 16/09/2016, n. 18167).
Ritiene però il Collegio di dover dare continuità alla più recente giurisprudenza di questa Corte che, rivedendo la propria iniziale posizione, ha invece escluso che possa costituire vizio del decreto di liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello stato, l’eventuale differenza tra gli importi di tale liquidazione e di quella adottata carico del soccombente nel giudizio di merito.
In tal senso Cass. n. 22017/2018 ha affermato che il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R. n., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità (in senso conforme Cass. n. 11590/2019; Cass. n. 8387/2019).
Infine la questione è stata oggetto della recente sentenza n. 7560/2019, non massimata, resa all’esito della pubblica udienza alla quale la causa era stata rimessa da precedente udienza camerale, proprio al fine della risoluzione della questione avente rilevanza nomofilattica, la quale ha ribadito che nel quantificare i compensi del difensore delle parti ammesse al gratuito patrocinio, non è in alcun caso consentito superare i limiti e le prescrizioni poste dalla normativa di materia. Pertanto, pur voler ammettere che il giudice sia tenuto a quantificare detto compenso in misura corrispondente all’importo delle spese processuali poste a carico della parte soccombente, resta fermo però che il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio non ha alcun titolo ad ottenere più di quanto risulti dalla corretta applicazione delle disposizioni del testo unico, potendo contestare solo sotto tali profili il decreto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82.
Ritiene il Collegio che debba assicurarsi continuità a tale principio.
In tal senso, va ricordato che a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, comma 2, l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa.
Il successivo art. 130, contenente disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, prescrive che gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà.
Infine l’art. 133 prevede che il provvedimento che pone a carico della parte soccombente, non ammessa al patrocinio, la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa, deve disporre che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, la suddetta disciplina non lede il principio di parità di trattamento a causa del particolare criterio di remunerazione delle attività prestata in favore dei non abbienti, poichè il sistema è caratterizzato da peculiari connotazioni pubblicistiche e la riduzione dei compensi ai sensi dell’art. 130 t.u.s.g. non impone al professionista un sacrificio tale da “risolvere il ragionevole legame tra l’onorario a lui spettante ed il relativo valore di mercato, trattandosi, semplicemente, di una – parzialmente diversa – modalità di determinazione del compenso giustificato dalla considerazione dell’interesse generale che il legislatore ha inteso perseguire, nell’ambito di una disciplina, mirante ad assicurare al non abbiente l’effettività del diritto di difesa in ogni stato e grado del processo, nella quale la liquidazione degli onorari professionali è suscettibile di restare a carico dell’erario” (cfr., testualmente, Corte Cost. 122/2016; Corte Cost. 270/2012). Quanto alla potenziale lesione del diritto di difesa per effetto “della più ridotta platea di professionisti disposta a difendere in sede civile le parti non abbienti (data la minore rimuneratività di tale attività)”, può al più prospettarsi, non un vizio di costituzionalità, ma “un mero inconveniente di fatto non direttamente riconducibile alla applicazione della disposizione” (Corte Cost. 270/2012).
Una volta ribadita la legittimità del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130, nel quantificare i compensi del difensore delle parti ammesse al gratuito patrocinio, non è in alcun caso consentito superare i limiti e le prescrizioni poste dalla suddetta normativa, il che comporta che anche a voler ammettere che il giudice sia tenuto a quantificare detto compenso in misura corrispondente all’importo delle spese processuali poste a carico della parte soccombente (come appunto ritenuto da Cass. 18167/2016 e da Cass. pen. 46537/2011, ed in motivazione da Corte Cost. 270/2012), tuttavia il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio non ha alcun titolo ad ottenere più di quanto risulti dalla corretta applicazione delle disposizioni del testo unico, potendo contestare solo sotto tali profili il decreto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82.
Nel caso in cui detto decreto abbia riconosciuto somme inferiori a quelle liquidate in sentenza ai sensi dell’art. 91 c.p.c., legittimata a dolersi è esclusivamente la parte soccombente in giudizio, poichè “presupposto e finalità della rifusione delle spese di lite sono il rendere indenne la controparte delle spese effettivamente sostenute in ragione del processo, ma solo di quelle, esulando del tutto alcuna finalità “punitiva” del tipo di quella ora prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., (cfr. Cass. pen. 46537/2011; Cass. 22017/2018).
2.2. Orbene, alla luce di tali principi, e tornando al caso in esame, il ricorrente lamenta una prima riduzione della liquidazione delle spese di lite, come operata nel giudizio di merito, rispetto a quanto richiesto nella nota specifica, ma senza che però si deduca che la liquidazione effettuata dal giudice a quo, nell’importo complessivo di Euro 3.500,00 sia violativi dei minimi tariffari imposti per legge.
Ma ancor di più, e passando alla questione delle spese come liquidate nel decreto oggetto di opposizione, non si lamenta che la liquidazione delle competenze nell’ammontare di Euro 1.500,00, quale risultante dalla decurtazione del 50 % imposta dal menzionato art. 130, in ragione della natura civile della controversia nella quale è stata prestata l’attività defensionale, sia a sua volta avvenuta in violazione dei minimi tariffari, attesa anche l’assoluta genericità delle allegazioni difensive che omettono di riferire sia del preciso valore della controversia di merito sia delle specifiche attività difensive ivi svolte nell’interesse della parte ammessa al beneficio).
Solo la violazione delle disposizioni poste dal D.P.R. n. 115 del 2002 per la corretta liquidazione delle competenze in favore del difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello stato può essere posta a fondamento del ricorso del difensore, che non ha quindi motivo di dolersi dell’eventuale differenza tra l’importo liquidatogli e quello invece posto a carico del soccombente (essendo invece quest’ultimo l’unico ad essere effettivamente pregiudicato da tale differenza).
I motivi devono essere rigettati.
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., assumendosi che l’erroneità ed illogicità della motivazione dell’ordinanza opposta hanno determinato il rigetto dell’opposizione ma anche la condanna alle spese di lite in favore del Ministero.
Il motivo è infondato essendo evidente come la sua formulazione appaia rivolta a sollecitare una rideterminazione del carico delle spese di lite in ragione dell’auspicato, ma non intervenuto, accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, non essendo quindi rivolto a censurare la corretta applicazione della norma di cui all’art. 91 c.p.c., ma piuttosto a rivalutare la stessa ricorrenza della condizione di soccombenza, alla luce della necessità di rivedere la stessa fondatezza dell’opposizione a suo tempo proposta.
4. Nulla a disporre quanto alle spese non avendo l’amministrazione svolto attività difensiva.
5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020