LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 876/2015 R.G. proposto da:
G.A., – c.f. ***** – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Brunella Candreva ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Ulpiano, n. 29, presso lo studio dell’avvocato Felice Astorino;
– ricorrente –
contro
L.G., – c.f. ***** – elettivamente domiciliato in Roma, alla via E. Faà di Bruno, n. 15, presso lo studio dell’avvocato Luigi Combariati che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e MA.MI.DO. s.r.l. – c.f./p.i.v.a. ***** – in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della corte d’appello di Catanzaro n. 304 del 25.2.2014, udita la relazione nella camera di consiglio del 4 luglio 2019 del consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con atto del 28.9.2008 G.A. citava a comparire dinanzi al tribunale di Catanzaro L.G. e la “MA.MI.DO.” s.r.l..
Chiedeva accertarsi e dichiararsi che aveva siglato con L.G. accordo in virtù del quale avrebbero congiuntamente provveduto alla realizzazione di un complesso immobiliare ed, all’esito, avrebbero provveduto a ripartirsi in pari misura i proventi della vendita; chiedeva altresì accertarsi e dichiararsi che il convenuto non aveva adempiuto l’obbligo assunto e pronunciarsene condanna, unitamente alla convenuta s.r.l., alla corresponsione delle somme tutte a lui dovute.
2. Si costituivano L.G. e la “MA.MI.DO.” s.r.l..
Instavano per il rigetto dell’avversa domanda.
Assunto l’interrogatorio formale del convenuto, denegata l’ammissione della prova testimoniale, con sentenza n. 177/2012 l’adito tribunale rigettava la domanda e compensava le spese di lite.
3. Proponeva appello G.A..
Resisteva L.G..
Veniva dichiarata contumace la “MA.MI.DO.” s.r.l..
Con sentenza n. 304 del 25.2.2014 la corte d’appello di Catanzaro rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.
La corte – tra l’altro – negava l’ammissione della prova per testimoni in dipendenza del superamento dei limiti di valore di cui all’art. 2721 c.c..
4. Avverso tale sentenza G.A. ha proposto ricorso; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
L.G. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
La “MA.MI.DO.” s.r.l. non ha svolto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
5. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2721 e 2724 c.c., e degli artt. 115,116 e 183 c.p.c..
Deduce che la prova per testimoni era da ammettere, nonostante il superamento del limite di valore di cui all’art. 2721 c.c., comma 1, siccome si ambiva a dar prova non già di un patto aggiunto alla scrittura privata, sibbene di un altro accordo.
Deduce inoltre che la prova per testimoni era da ammettere, attesa la sussistenza di un principio di prova scritta proveniente dalla persona contro cui la domanda è stata proposta ed attesa la necessità della forma scritta unicamente ad probationem.
6. Il ricorso va respinto.
7. Questa Corte evidentemente non può che reiterare i propri insegnamenti.
Ovvero l’insegnamento alla cui stregua l’ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall’art. 2721 c.c., costituisce un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato (cfr. Cass. 22.7.2004, n. 13621; Cass. 22.5.2007, n. 11889; Cass. 21.2.1986, n. 1050).
Ovvero l’insegnamento alla cui stregua gli estremi richiesti dall’art. 2724 c.c., n. 1, perchè un documento possa costituire principio di prova per iscritto – così eccezionalmente consentendo l’ammissione della prova per testimoni – non esigono un preciso riferimento al fatto controverso, ma l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui scaturisca la verosimiglianza del secondo, alla stregua di un apprezzamento di merito insindacabile nella sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. Cass. 16.10.2012, n. 17766; Cass. 7.12.2005, n. 27013, secondo cui, ai fini dell’integrazione del presupposto per l’ammissione della prova testimoniale, previsto dall’art. 2724 c.c., n. 1, e rappresentato dal principio di prova per iscritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda che faccia apparire verosimile il fatto dedotto, non è richiesto che il documento sia idoneo a dimostrare direttamente quel fatto, essendo sufficiente solo che da esso scaturisca la verosimiglianza del fatto controverso).
8. Su tale scorta non solo non vi è margine alcuno perchè possano configurarsi violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2721 c.c., e art. 2724 c.c., n. 1, e, si soggiunge, nonostante l’omessa indicazione nella rubrica dell’esperito mezzo, dell’art. 2725 c.c., (ove, per giunta, per i contratti ad probationem, è prefigurata l’ammissibilità della prova per testimoni nella sola evenienza di cui al n. 3) dell’art. 2724 c.c.. In verità la corte di seconde cure ha specificato – cfr. pag. 7 – che la prova per testimoni era da ritenere inammissibile seppur il titolo dell’azionata pretesa fosse stato da individuare in un’operazione di mediazione o di procacciamento d’affari, perchè in tale ipotesi la prova si sarebbe correlata a contratto da provare per iscritto).
Ma è da reputare che la corte di merito ha dato conto, in modo congruo ed esaustivo, della mancata ammissione della prova orale. Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui lo spiegato motivo di ricorso è – nella rubrica – correlato in via esclusiva alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Difatti la corte distrettuale ha rappresentato l'”inverosimiglianza che un patto così utile per il G. (beneficiario di utili al 50% senza alcuna compartecipazione alle spese ed ai rischi d’impresa per un’attività edilizia complessa a totale carico del L.) non sia stato prudenzialmente documentato per iscritto” (così sentenza d’appello, pag. 7).
Ebbene in tal guisa la corte territoriale ha assolto, in maniera inappuntabile, e l’onere motivazionale postulato dall’art. 2721 c.c., e l’onere motivazionale postulato dall’art. 2724 c.c., n. 1.
9. La corte di Catanzaro ha ulteriormente specificato che il testo contrattuale, prodotto in giudizio dall’appellato e privo della sottoscrizione dell’appellante, non conteneva alcuna pattuizione in forza della quale L.G. era obbligato a corrispondere ad G.A. il 50% dei proventi della vendita degli immobili da realizzare su terreno di proprietà di F.V.; che in particolare il contratto prevedeva unicamente, alla clausola n. 7, la cessione da parte di L.G. ad G.A. di 2.000 mq. di terreno “ricadenti in zona servizi a monte della chiesa”.
10. Su tale scorta si osserva quanto segue.
Da un canto è ineccepibile l’affermazione della corte calabrese secondo cui il tribunale aveva correttamente negato l’ammissione della prova per testimoni, “in quanto tendente a provare l’esistenza di un patto aggiunto sulla ripartizione al 50% degli utili al contratto scritto” (così sentenza d’appello, pag. 7).
Difatti questo Giudice spiega che il divieto, previsto dall’art. 2722 c.c., di dimostrare con testi la conclusione di accordi anteriori o contemporanei rispetto ad un contratto stipulato in forma scritta, opera quando la prova si riferisce (è il caso di specie) alla contrarietà tra ciò che si sostiene essere pattuito e quello che risulta documentato (cfr. Cass. 7.11.2018, n. 28407; Cass. 22.2.2017, n. 4601, secondo cui il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio).
D’altro canto è del tutto generica, aspecifica, la prospettazione del ricorrente secondo cui “non si tratta di un patto aggiunto alla scrittura privata (…), ma di altro accordo” (così ricorso, pag. 6) e che “le scritture redatte erano due” (così ricorso, pag. 6). Tanto, per giunta, a prescindere dal rilievo del controricorrente secondo cui la controparte avrebbe, nella denuncia penale, riferito “di una promessa verbale (…) e di un unico contratto (…) alla cui partecipazione assistette e non partecipò” (così controricorso, pag. 11).
11. Ovviamente per nulla si configurano le pretese violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Invero, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ossia ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
Invero, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
12. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
La “MA.MI.DO.” s.r.l. non ha svolto difese; nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese va nei suoi confronti assunta.
13. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, G.A., a rimborsare al controricorrente, L.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, G.A., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020
Codice Civile > Articolo 2721 - Ammissibilita': limiti di valore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2724 - Eccezioni al divieto della prova testimoniale | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile