Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.191 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6080/2017 R.G. proposto da:

M.S., – c.f. *****, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Tronto, n. 32, presso lo studio dell’avvocato Giulio Mundula che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Luigi Rinaldi Ferri la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

M.D., c.f. *****, M.M., c.f. *****, elettivamente domiciliati in Roma, alla via Luigi Mancinelli, n. 57, presso lo studio dell’avvocato Francesco Fagnini che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso.

– controricorrenti –

avverso la sentenza della corte d’appello di Roma n. 7091 dei 28.9/24.11.2016;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 4 luglio 2019 del Consigliere Dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con atto notificato il 12.5.1997 M.D. citava a comparire dinanzi al tribunale di Roma le sorelle M.L. e M.S..

Chiedeva farsi luogo alla divisione della comunione intercorrente con le convenute e scaturita dall’eredità dei comuni genitori.

Si costituiva M.M..

Aderiva alle richieste dell’attore.

Si costituiva M.S..

Non si opponeva alla divisione; chiedeva tuttavia attribuirsi ad ella convenuta il terreno in ***** salvo conguaglio a suo carico.

1.1. L’adito tribunale pronunciava sentenza non definitiva n. 19011/2003, con la quale disponeva – tra l’altro – per la formazione di tre distinte porzioni e per la divisione in natura del fondo in *****.

1.2. L’adito tribunale pronunciava sentenza definitiva n. 8566/2005, con la quale assegnava a M.D. il lotto A), a M.M. il lotto B), a M.S. il lotto C) di cui al progetto divisionale e quantificava i conguagli a carico di ciascun coerede.

2. M.S. proponeva appello avverso la sentenza non definitiva. Resistevano M.D. e M.; esperivano appello incidentale.

Con sentenza n. 671/2006 la corte d’appello di Roma rigettava i gravami hic et inde spiegati avverso la sentenza non definitiva.

3. Avverso la sentenza n. 671/2006 della corte di Roma proponevano separati ricorsi per cassazione M.S. nonchè M.D. e M..

3.1. Con sentenza n. 3469/2010 questa Corte di legittimità, riuniti i ricorsi, respinto ogni ulteriore motivo d’impugnazione, accoglieva il secondo motivo del ricorso proposto da M.S., dichiarava assorbiti il terzo ed il quarto motivo del medesimo ricorso e cassava per l’effetto la sentenza n. 671/2006 della corte d’appello di Roma.

3.2. In particolare questa Corte opinava nel senso che la L. n. 191 del 1992 – che ha espunto il vincolo perpetuo di indivisibilità delle unità poderali di cui alla L. n. 1078 del 1940 – non era applicabile al caso di specie ovvero alle successioni apertesi anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa L. n. 191 del 1992.

4. M.S. attendeva – in sede di rinvio – alla riassunzione del giudizio ed instava per l’accoglimento dell’appello proposto avverso la sentenza non definitiva n. 19011/2003.

Segnatamente instava perchè l’azienda agricola di cui al terreno in ***** fosse dichiarata indivisibile e perchè le fosse assegnata nella sua interezza (cfr. sentenza impugnata, pag. 4).

Resistevano M.D. e M.M..

4.1. Con sentenza n. 7091 dei 28.9/24.11.2016 la corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da M.S. e compensava tra le parti tutte le spese dei gradi tutti del giudizio.

4.2. Dava atto la corte che avverso la sentenza definitiva n. 8566/2005, con la quale il tribunale di Roma aveva fatto luogo all’assegnazione dei lotti alla stregua delle risultanze della c.t.u., era stato proposto appello ed il gravame era stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 4491/2008 della corte d’appello di Roma; che avverso tal ultima sentenza era stato proposto ricorso per cassazione che parimenti – con ordinanza di questa Corte n. 8712/2011 – era stato dichiarato inammissibile.

Indi evidenziava che la natura “chiusa” del giudizio di rinvio non ostava al rilievo del giudicato formatosi medio tempore con riferimento alla pronuncia definitiva di primo grado.

Evidenziava segnatamente che la statuizione definitiva, che aveva proceduto all’assegnazione ai coeredi di tre porzioni, comprensive di altrettante porzioni del terreno in *****, reputato perciò divisibile, certamente prevaleva sulla statuizione di indivisibilità dello stesso fondo.

5. Avverso la sentenza n. 7091/2016 della corte d’appello di Roma ha proposto ricorso M.S.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

M.D. e M.M. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

La ricorrente ha depositato memoria.

Del pari hanno depositato memoria i controricorrenti.

6. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e art. 394 c.p.c..

Deduce che la corte distrettuale avrebbe dovuto limitarsi ad applicare il principio di diritto stabilito da questa Corte con la sentenza n. 3469/2010 e quindi a “prendere atto dell’indivisibilità dell’azienda agricola così come stabilito dalla Corte di Cassazione procedendo all’attribuzione della stessa (ad ella) ricorrente, (…) unica dei fratelli a rivestire la qualifica di coltivatore diretto ed (…) unica ad essersi sempre occupata della conduzione del podere” (così ricorso, pag. 3).

Deduce ulteriormente che la divisione in tre quote del podere rende pressochè nullo il valore del cespite, giacchè ciascuna delle tre porzioni è inidonea a formare un’azienda agricola.

7. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c..

Deduce che la corte di merito avrebbe dovuto tener conto che la cassazione della sentenza non definitiva aveva posto nel nulla le statuizioni di cui alla sentenza definitiva, con le quali era stato frazionato il podere tra gli eredi.

Deduce che del resto l’ordinanza di questa Corte di legittimità n. 8712/2011, pronunciata sul ricorso proposto avverso la sentenza n. 4491/2008 della corte d’appello di Roma, che aveva a sua volta confermato la sentenza definitiva n. 8566/2005 del tribunale di Roma, ha affermato a norma dell’art. 336 c.p.c., che “la riforma o la cassazione della sentenza non definitiva pone nel nulla le pronunce rese con la sentenza definitiva in quanto dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”.

8. Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento alla stregua dei rilievi che seguono. I medesimi rilievi danno ragione al contempo della valenza preliminare del secondo mezzo di impugnazione, sì che il suo buon esito tendenzialmente assorbe la disamina del primo.

9. E’ sufficiente – in ordine al secondo motivo di ricorso – ribadire il radicato insegnamento di questo Giudice del diritto.

Ossia l’insegnamento per cui, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., la riforma non soltanto pone nel nulla la sentenza non definitiva che ne costituisce l’oggetto immediato, ma estende i propri effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti da quest’ultima e quindi anche alla sentenza definitiva, ove logicamente connessa a quella non definitiva, con la quale interrompe dunque il nesso di consequenzialità logica e necessaria posto dall’art. 279 c.p.c., ma condizionato alla mancata riforma della decisione non definitiva (cfr. Cass. 15.11.2006, n. 24354; cfr. Cass. sez. un. 1.3.1990, n. 1589, secondo cui la riforma o la cassazione della sentenza non definitiva pone nel nulla le pronunce rese con la sentenza definitiva, in quanto dipendenti dalla sentenza riformata o cassata (art. 336 c.p.c., comma 2); pertanto, in pendenza di ricorso contro la sentenza non definitiva, la mancata impugnazione della sentenza definitiva, determinando un giudicato solo apparente, non può incidere sulla procedibilità del ricorso medesimo, nè implicare cessazione della materia del contendere; Cass. 13.1.1995, n. 363; Cass. sez. lav. 19.4.1999, n. 3879).

Ben vero il radicato insegnamento rimarca che la riforma o la cassazione di una sentenza non definitiva pone nel nulla le statuizioni successivamente pronunciate, le quali siano dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, anche in presenza di un giudicato formale (Cass. (ord.) 6.6.2019, n. 15411).

9.1. Ebbene la scansione dei passaggi processuali salienti dapprima operata dà conto indiscutibilmente della connessione e dipendenza logica della sentenza definitiva n. 8566/2005 del tribunale di Roma dalla sentenza non definitiva n. 19011/2003 del medesimo ufficio giudiziario (cfr. al riguardo lo stesso controricorso, pagg. 2 e 3, ove leggesi: “con sentenza non definitiva n. 19011 (…) il Tribunale (…) disponeva il rinnovo della c.t.u. per (…) predisposizione di tre quote (…) il Tribunale emetteva la sentenza definitiva n. 8566 assegnando in proprietà esclusiva (…)”.

10. In questi termini inevitabili sono le puntualizzazioni che seguono.

Per un verso, per nulla si giustifica l’affermazione della corte territoriale secondo cui “la sentenza definitiva di primo grado (…) certamente prevale con riguardo alla statuizione di indivisibilità del (terreno in *****)” (così sentenza impugnata, pagg. 7 – 8).

Per altro verso, in nessun modo si giustifica la prospettazione dei controricorrenti secondo cui “l’iter processuale normativo rispetto alla sentenza definitiva n. 8566/2005 del Tribunale, dopo il ricorso (…) dichiarato ancora inammissibile in Corte di Cassazione (…) si concludeva (…), dando luogo in termini di logica e di sostanza al giudicato esterno” (così controricorso, pagg. 21 e 22; cfr. negli stessi termini memoria dei controricorrenti, pag. 5).

Per altro verso ancora, appieno si giustifica la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c., comma 2.

11. Il riscontro dell’effetto della vanificazione, della caducazione della sentenza definitiva (n. 8566/2005 del tribunale di Roma) in dipendenza della cassazione della sentenza (n. 671/2006 della corte d’appello di Roma che aveva a sua volta confermato la sentenza) non definitiva (n. 19011/2003 del tribunale di Roma) precede logicamente e giuridicamente il riscontro dell’operatività del principio di diritto che questa Corte ha affermato con la statuizione n. 3469/2010, principio di diritto destinato evidentemente a vincolare il giudice di rinvio alla stregua e nei termini di cui al consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. sez. lav. (ord.) 17.3.2014, n. 6086, secondo cui, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicchè anche la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di “jus superveniens”, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale).

11.1. D’altronde la surriferita antecedenza logico – giuridica viepiù si accredita, giacchè la corte di Roma, con la statuizione n. 7091/2016 in questa sede impugnata, si è, a rigore, limitata a dar (erroneamente) atto della prevalenza del “giudicato” formatosi a seguito della sentenza definitiva n. 8566/2005 del tribunale di Roma, senza attendere ad alcun rilievo in ordine al principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 3469/2010.

12. In tal guisa la disamina del secondo motivo del ricorso – di valenza preliminare siccome anticipato – senz’altro assorbe la disamina del primo motivo.

12.1. E tuttavia, al riguardo, è doverosa una puntualizzazione.

Ossia devesi rimarcare che questa Corte, con la sentenza n. 3469/2010, ha affermato propriamente ed esclusivamente (per quel che ora rileva) che la L. n. 191 del 1992 – che ha espunto il vincolo perpetuo di indivisibilità delle unità poderali ex lege n. 1078 del 1940 – non è applicabile al caso di specie ovvero alle successioni apertesi anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima L. n. 191 del 1992.

Tant’è che con la sentenza anzidetta questa Corte ha reputato assorbiti il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale con i quali M.S. aveva dedotto “che il fondo in ***** avrebbe dovuto comunque esserle attribuito per intero, data la sua indivisibilità sotto il profilo economico – funzionale; (e) che pertanto non avrebbe dovuto essere disposta la consulenza tecnica di ufficio destinata alla formazione di tre distinte porzioni dell’immobile” (così sentenza n. 3469/2010, pag. 5).

13. In accoglimento del (secondo motivo di) ricorso la sentenza della corte d’appello di Roma n. 7091 dei 28.9/24.11.2016, nei limiti di cui in precedenza, va cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

13.1. In dipendenza dell’accoglimento del ricorso non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente, M.S., sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa – nei termini di cui in motivazione – la sentenza della corte d’appello di Roma n. 7091 dei 28.9/24.11.2016; rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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