LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26158-2015 proposto da:
SARDINIA PALMS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore S.F., rappresentata e difesa dagli Avvocati LUCA TREVISAN, GABRIELE CUONZO e GIUSEPPE CERULLI IRELLI, ed elettivamente domiciliata, presso lo studio di quest’ultimo, in ROMA, VIA delle QUATTRO FONTANE 20;
– ricorrente –
contro
Avv. P.G., in proprio, elettivamente domiciliato presso lo studio degli Avv.ti Massimo e Gilberto Casella Pacca di Matrice, in ROMA, VIA OSLAVIA 30;
– controricorrente –
e nei confronti di:
G.M. e S.F., A., M. e MA.;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. 499/2015 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata il 30/03/2015;
udita la relazione delle cause svolta nella pubblica udienza del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati LUCA TREVISAN per la ricorrente e P.G.
controricorrente in proprio, i quali hanno concluso rispettivamente come in atti.
FATTI DI CAUSA
A seguito di ricorso per decreto ingiuntivo, depositato in data 30.12.1013, il Tribunale di Foggia ingiungeva a S.M. e alla SARDINIA PALMS S.R.L., in via tra loro solidale, di pagare all’avv. P.G., a titolo di onorari professionali, la somma di Euro 300.000,00, oltre interessi e spese di procedura.
Avverso detto decreto ingiuntivo proponevano opposizione Sardinia Palms unitamente ai familiari del defunto S.M. ( G.M. e S.F., ANTONIO, MATTEO e MARGHERITA, rinunciatari dell’eredità del de cuius) eccependo: l’inesistenza e/o la nullità della notifica del decreto ingiuntivo; la carenza di legittimazione passiva dei familiari di S.M., che avevano rinunciato all’eredità, come da atto pubblico del 27.12.2013; l’inammissibilità e/o l’improcedibilità del decreto ingiuntivo per non avere l’Avv. P. depositato le parcelle e il parere del competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, richiesti per legge ai sensi degli artt. 633 e 636 c.p.c.; la nullità, invalidità e/o inefficacia della scrittura privata del 30.4.2012 di ricognizione del debito, su cui l’avv. P. basava la propria domanda di credito; l’inesistenza, invalidità e prescrizione e comunque l’insussistenza di qualunque rapporto debitorio tra l’avv. P. e Sardinia Palms s.r.l.; l’inesistenza, nullità, invalidità e inefficacia di qualsiasi rapporto di solidarietà tra Sardinia Palms s.r.l. e S.M.; l’inesistenza e/o comunque la non debenza dell’importo azionato dall’avv. P..
Si costituiva in giudizio l’Avv. P. eccependo l’inammissibilità e la tardività dell’opposizione, ribadendo nel merito la correttezza della propria domanda.
Con ordinanza n. 4991/2015, depositata il 30.3.2015, il Tribunale di Foggia riconosceva la tempestività e ritualità dell’opposizione svolta da Sardinia Palms e dai familiari dello S.; accoglieva l’eccezione di inesistenza del decreto ingiuntivo nei confronti dei familiari dello S., ma rigettava l’opposizione sollevata da Sardinia Palms confermando il decreto ingiuntivo e ritenendo che quest’ultima non avesse mosso adeguate contestazioni circa l’an della pretesa dell’avv. P.. Rigettava l’eccezione di prescrizione, ritenendo la scrittura privata prova di una rinuncia alla stessa.
Avverso detta ordinanza Sardinia Palms propone ricorso straordinario per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’Avv. P. con controricorso; gli intimati G.M., S.F., A., M. e Ma., non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – In via pregiudiziale, va rigettata l’eccezione preliminare, mossa dal controricorrente, di inammissibilità della proposizione del ricorso straordinario anzichè dell’appello. A sostegno di detta eccezione, l’Avv. P. richiama il principio espresso da Cass. n. 1666 del 2012, secondo cui, in tema di compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, ha statuito come il provvedimento con cui il Giudice adito, a conclusione di un processo iniziato ai sensi della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e ss., non si limiti a decidere sulla controversia tra avvocato e cliente circa la determinazione della misura degli onorari, ma pronunci anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all’esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, pur se qualificato come ordinanza, riveste (come nella specie) natura sostanziale di sentenza con la conseguenza che esso può essere impugnato con il solo mezzo dell’appello e non con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di questioni di merito, la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giudizio.
1.2. – L’eccezione non è fondata.
1.3. – Questa Corte, rispetto alla medesima tematica qui in esame (Cass. n. 2045 del 2019), ha sottolineato che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 prevede che le controversie di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, e l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. Ai sensi dell’art. 14, comma 4, l’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile. Ed ha rilevato che la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 4002 del 2016 e Cass. n. 12411 n. 2017) ha ritenuto, al fine di dare sistematicità al sistema delle liquidazioni dei compensi professionali, che l’ordinanza conclusiva del procedimento D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14 non sia appellabile, ma impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, sia che la controversia riguardi solamente il quantum debeatur, sia che la stessa sia estesa all’an della pretesa, trovando anche in tale ultimo caso applicazione, il rito di cui al citato art. 14. La perdita del grado di appello nelle controversie che involgano accertamenti sull’an debeatur – oltre a non far sorgere dubbi di legittimità costituzionale, giacchè per il principio del doppio grado di giurisdizione non è prevista un’apposita copertura costituzionale – risulta bilanciata dalla collegialità del giudice prevista dal comma 2 dell’art. 14.
E tale indirizzo ha trovato, di recente, avallo anche nella sentenza di questa Corte n. 4485 del 2018, resa a Sezioni Unite, che ha stabilito che le controversie di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, introdotte sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, sono soggette al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite e, in genere, all’an debeatur (cfr. anche Cass. n. 26778 del 2018).
Correttamente, dunque, la ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Tribunale con ricorso straordinario ex art. 111 Cost..
2. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta l'”Omesso accertamento della nullità e/o inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo. Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di notificazioni in proprio dell’avvocato (L. n. 53 del 1994, art. 3, comma 1, lett. b) e ss.)”, ai sensi del quale l’avvocato che intende notificare gli atti in proprio deve “presentare all’ufficio postale l’originale e la copia dell’atto da notificare; l’ufficio postale appone in calce agli stessi il timbro di vidimazione, inserendo quindi la copia, o le copie, da notificare nelle buste”. Secondo l’art. 11, la violazione di tale requisito comporta la nullità della notificazione, rilevabile d’ufficio. Ciò implicava quanto meno la necessità che fosse disposta la rinotificazione del decreto ingiuntivo e la rimessione in termini della ricorrente. L’ordinanza sarebbe dunque gravemente viziata per avere omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio e che era stato tempestivamente sollevato da Sardinia Palms (art. 360 c.p.c., n. 5) ovvero – laddove si fossa ritenuta tale eccezione come implicitamente rigettata – per violazione di norme di diritto in materia di notificazione in proprio dell’avvocato (art. 360 c.p.c., n. 3).
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – La giurisprudenza di legittimità ha circoscritto l’inesistenza della notificazione alle sole ipotesi di assoluta mancata consegna dell’atto, quando l’atto sia stato consegnato a persona o in luogo che non hanno nessuna relazione con il suo effettivo destinatario, ovvero quando il procedimento di notificazione è stato posto in essere da soggetto a cui l’ordinamento non riconosce alcuna legittimazione.
Esclusa, dunque, la configurabilità di una inesistenza della notificazione de qua, va rilevato che la stessa L. n. 53 del 1994 stabilisce (all’art. 11) che le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi sia incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica. Questa Corte ha infatti affermato che l’attività di notificazione svolta dall’avvocato munito di procura mediante consegna di copia dell’atto, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, ove compiuta in mancanza del requisito e dell’osservanza delle modalità prescritti dalla stessa legge va considerata nulla e non inesistente. E – ribadendo la possibilità di applicare anche alle notifiche del difensore le regole in materia di invalidità degli atti regolate dall’art. 160 c.p.c. (Cass. n. 4986/2001) – ha ritenuto di doversi applicare anche alle notificazioni effettuate dal difensore il contenuto dell’art. 156 c.p.c. che esclude la nullità se l’atto ha raggiunto il suo scopo, che è quello di porre la parte a conoscenza della controversia e di consentirgli la costituzione in giudizio, sicchè la sua costituzione sana ogni eventuale nullità della notificazione (Cass. n. 5896 del 2006; Cass. n. 28695 del 2013).
2.3. – Quanto, poi, al dedotto omesso esame (da parte del Tribunale) di un fatto decisivo per il giudizio e che era stato tempestivamente sollevato da Sardinia Palms (art. 360 c.p.c., n. 5) ovvero – laddove si fossa ritenuta tale eccezione come implicitamente rigettata – per violazione di norme di diritto in materia di notificazione in proprio dell’avvocato (art. 360 c.p.c., n. 3), non è dato comprendere le considerazioni sottese a siffatta censura, peraltro formulata in modo ancipite ed apodittico.
3. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'”Omesso accertamento dell’inammissibilità e/o improcedibilità del procedimento monitorio. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di condizioni di ammissibilità al procedimento ingiuntivo per onorari dell’avvocato (art. 633 c.p.c., comma 1, n. 2 e art. 636 c.p.c.)”, in ragione della nullità del decreto ingiuntivo, giacchè quando il credito oggetto del procedimento monitorio è relativo a onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, il ricorso per decreto ingiuntivo “deve essere accompagnato dalla parcella delle spese e prestazioni munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale”. Invece, nella fattispecie, l’avv. P. non aveva depositato alcuna parcella, nè il parere del competente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia, come contestato nel ricorso in opposizione, e quindi il decreto ingiuntivo non avrebbe potuto essere emesso (Cass. n. 22655 del 2011).
3.1. – Il motivo non è fondato.
3.2. – Il richiamo a Cass. n. 22655 del 2011 non è decisivo. La suddetta sentenza del Supremo Collegio esclude il ricorso ex artt. 633 e 636 c.p.c. nel caso di mancata produzione della fattura e di copia autentica del registro IVA. Ma, nella fattispecie, il procedimento monitorio si fonda su una prova scritta indicata dall’art. 634 c.p.c. quale prova idonea, ed autonoma, a richiedere l’ingiunzione a norma dell’art. 633 c.p.c.. Tale prova scritta, per sua natura, come correttamente osservato dall’ordinanza impugnata, consistendo in un atto ricognitivo del debito ex art. 1988 c.c., comporta una presunzione iuris tantum di esistenza del debito che vale a invertire la regola generale in tema di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che colui a favore del quale l’atto è rilasciato viene dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale.
4. – Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia l'”Omesso accertamento e dichiarazione della nullità della scrittura privata del 30.4.2012. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di elementi essenziali del contratto (artt. 1325 c.c. e ss., artt. 1343 c.c. e ss.; artt. 1346 c.c. e ss.). Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.)”, in quanto l’ordinanza impugnata sarebbe gravemente errata avendo ritenuto che, data la natura di riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c. rivestita dalla scrittura privata, sussisterebbe una presunzione iuris tantum di esistenza del debito, che non sarebbe stata superata da “adeguate contestazioni” da parte della ricorrente sull’an della pretesa. Osserva la Sardinia Palms di avere eccepito l’insufficienza della scrittura privata e contestato i documenti depositati dall’avv. P. nel proprio fascicolo del decreto ingiuntivo, suddivisi per pratiche (documento quest’ultimo ritenuto privo di corretta indicizzazione). Quanto alla scrittura privata, nel ricorso in opposizione, se ne eccepisce la nullità e/o comunque l’invalidità e l’inefficacia per: l’indeterminatezza dell’oggetto della stessa, che non fa riferimento ad alcuna parcella e/o fattura dell’avv. P.; assenza di causa della scrittura nella parte in cui ha reso la Sardinia Palms e lo S. debitori solidali per gli onorari pretesi dall’avv. P. a fronte delle prestazioni rese da quest’ultimo in via disgiuntiva in favore dello S. o di Sardinia Palms. La ricorrente deduceva altresì la sproporzione tra quanto richiesto dall’avv. P. e l’attività da questi effettivamente prestata. A fronte di tale contestazione, era onere del professionista produrre documentazione da cui risultasse la correttezza degli onorari come indicati nella scrittura, onere non assolto. Pertanto, l’ordinanza impugnata è gravemente viziata per falsa applicazione delle seguenti norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3): a) l’art. 1325 c.c. in combinazione con gli artt. 1346 c.c. e ss., per non avere accertato e dichiarato la nullità della scrittura privata del 30.4.2012 per indeterminatezza dell’oggetto ovvero per non avere dichiarato tale oggetto non provato in ragione del mancato deposito da parte del professionista dell’analitica specifica delle somme dovute, richiamata dalla scrittura; b) l’art. 1325 c.c. in combinazione con gli artt. 1343 c.c. e ss., per non avere accertato e dichiarato la nullità della scrittura privata del 30.4.2012 nella parte in cui costituiva senza alcuna causa un vincolo di solidarietà tra Sardinia Palms e S.M. in favore dell’avv. P.; c) l’art. 2697 c.c. per non avere accertato e dichiarato che l’avv. P. non ha assolto al proprio onere probatorio per non avere depositato alcun documento che attesti la correttezza dell’importo di Euro 300.000,00 e in particolare per non avere depositato la specifica delle somme dovute, ovvero alcuna parcella e/o parere del competente Consiglio dell’Ordine.
4.1. – Il motivo non è ammissibile.
4.2. – In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016). Ciò in quanto, il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).
4.3. – Nella specie, nei termini in cui sono stati prospettati (peraltro in via alternativa), i vizi di cui al formulato quesito si connotano per una pluralità di questioni rispetto alle quali si denota l’avvenuto esame da parte del Collegio di merito (ordinanza impugnata pagg. 2 e 3), con valutazione di fatto adeguata e coerente, e come tale non soggetta al controllo di costituzionalità.
Va infatti ribadito che vale il consolidato principio secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).
Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013).
4.4. – Viceversa, così come articolate, le censure portate dal motivo si risolvono sostanzialmente nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
Ma compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
5. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza (dando atto del mancato svolgimento di difese da parte degli intimati) e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020
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