LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27527/2015 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA PALMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA GRAZIA D’ANGELO;
– ricorrente –
contro
I.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIO VANNUTELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO MASCI, CONCETTA ROBERTA MASCI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1058/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Maria Grazia D’angelo, difensore del ricorrente, che si è riportato agli atti depositati.
FATTI DI CAUSA
1. La vicenda processuale trae origine dal ricorso per decreto ingiuntivo proposto da I.R., con il quale chiedeva al Presidente del Tribunale di Chieti di ingiungere ad A.A. il pagamento della somma di Euro 3.424,18, a titolo di compensi professionali consistenti nella realizzazione di un progetto di massima relativo al fabbricato di proprietà del medesimo.
1.2.Emesso il decreto ingiuntivo, proponeva opposizione l’ A., deducendo di non aver mai conferito l’incarico allo I., che aveva conosciuto ed incontrato in qualità di direttore dei lavori dell’Impresa Costruzioni Impianti d’Arcangelo s.r.l..
1.3. Il Tribunale di Chieti rigettava l’opposizione.
2.La decisione di primo grado veniva confermata dalla Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza del 230.9.2004, innanzi alla quale l’ A. aveva proposto gravame.
2.1. L’ A. aveva dedotto che lo I. avesse svolto l’incarico come dipendente della CID Group, nella qualità di project manager, prospettando che le tavole allegate al progetto fossero una copia del progetto dell’Arch. M..
2.2. La corte di merito rilevava che mentre in primo grado l’ A. aveva sostenuto di non aver conferito alcun incarico allo I., in appello aveva dedotto di aver conferito l’incarico ad altro soggetto e, segnatamente, alla CID GROUP, che si era avvalsa della collaborazione dello I..
2.3. Nel merito, la corte distrettuale disattendeva la linea difensiva dell’ A. relativa all’identità dei progetti realizzati dallo I. rispetto a quelli redatti dall’arch. M..
2.4. Riteneva generico sia il motivo con il quale si censurava la valutazione dell’attendibilità dei testi addotti dall’ A., sia il motivo inerente l’importo della parcella.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.A. sulla base di tre motivi.
4. Ha resistito con controricorso I.R., che, in prossimità dell’udienza ha depositato memorie difensive.
5. Il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Lucio Capasso ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame circa in fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5. c.p.c., consistito nell’erronea valutazione delle prove testimoniali e l’omesso esame della richiesta di esibizione delle scritture contabili, da cui sarebbe emerso un rapporto di collaborazione tra l’Arch. I. e la CID Group s.r.l., appaltatrice dei lavori di ristrutturazione dell’immobile di proprietà dei familiari dell’ A. e la sovrapponibilità del progetto redatto dallo I. rispetto a quello già effettuato dal M.. Con lo stesso motivo, il ricorrente deduce la violazione,;
dell’art. 112 c.p.c., non essendovi corrispondenza tra le argomentazioni proposte dall’ A. e quelle valutate dalla corte di merito.
1.1. Il motivo non è fondato.
1.2. Con orientamento consolidato di questa Corte, al quale va dato continuità, il vizio di motivazione censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, attiene all’esistenza della motivazione in sè e deve emergere dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053).
1.3. Nella specie, la corte di merito ha esaminato la questione dell’identità del progetto realizzato dallo I. rispetto al precedente progetto svolto dall’arch. M., e, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, ha escluso che vi fosse corrispondenza tra i due progetti, in quanto il progetto Di M. riguardava dolo la ristrutturazione interna dell’edificio mentre, dalle tavole progettuali redatte dallo I., risulta che il progetto riguardava anche opere esterne di restyling e di realizzazione di una scala esterna.
1.4. Il ricorso si risolve, pertanto, in un’inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, attraverso la sterile riproduzione delle deposizioni testimoniali, oggetto di apprezzamento da parte del giudice di merito, che, in motivazione, non è tenuto a dar conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
1.5. Non sussiste nemmeno la violazione di cui all’art. 112 c.p.c., che risulta configurabile quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato e non ricorre, invece, se il giudice abbia assegnato una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite (Cassazione civile, sez. I, 20/06/2017, n. 15190).
1.6. Ne consegue che la doglianza del ricorrente, riguardante l'”omessa corrispondenza tra le argomentazioni proposte dall’ A. e quelle valutate dalla corte di merito, è del tutto estranea al vizio di omessa pronuncia.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, l’insufficiente e la contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 342 c.p.c., anche sotto il profilo della violazione di legge, in quanto la corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto generico il motivo d’appello, con cui era stata censurata la valutazione di inattendibilità dei testi, nonostante non fosse necessario che il motivo di appello contenesse una puntuale analisi critica delle valutazioni e delle conclusioni del giudice che aveva emesso la sentenza di primo grado.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, l’insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 342 c.p.c., anche sotto il profilo della violazione di legge, in quanto la corte di merito avrebbe ritenuto viziato da genericità il motivo d’appello, con cui era stata censurata la determinazione dell’importo dovuto in favore dello I..
4. I motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro connessione – in quanto sollevano la questione della genericità dei motivi d’appello – sono inammissibili.
4.1. Anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare a ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto. Solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità, quindi, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di questa ultima valutazione la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, n. 7406).
4.2. Ne consegue che il ricorrente, quando si duole della dichiarazione di inammissibilità del motivo di ricorso per carenza di specificità dei motivi, deve indicare le specifiche censure alla sentenza di primo grado, di modo che alle argomentazioni del primo giudice vengano contrapposte quelle dell’appellante, in grado di incrinarne il fondamento logico giuridico della decisione, mediante il raffronto tra la motivazione della sentenza appellata e gli argomenti contenuti nell’atto di appello (Cass., 29.11.2011 n. 25218; Cass. 19.10.2009 n. 22123).
4.3. Questa Corte, attraverso il motivo di ricorso deve essere posta nelle condizioni di valutare se vi fosse stata un’adeguata critica alla sentenza impugnata, che poteva avvenire attraverso le difese svolte nel giudizio di primo grado, mentre il ricorrente si limita a censurare in modo generico la valutazione di attendibilità dei testi addotti dallo I. da parte del giudice di primo grado, senza specificare le ragione a sostegno della valutazione di attendibilità e/o inattendibilità dei testi. L’unica doglianza riguarda l’interesse nella causa del teste An., che, poichè non dedotta tempestivamente nel giudizio di merito, non può trovare ingresso in sede di legittimità.
4.4. In definitiva, il ricorrente non si confronta con la sentenza di primo grado, spiegando le ragioni per le quali il motivo d’appello non fosse carente di specificità e si limita ad una censura apodittica e generica, con la quale si limita a contestare genericamente la valutazione del giudice d’appello, che ha ritenuto inattendibili i testi in suo favore, senza spiegare le ragioni per le quali i testimoni erano invece attendibili, in ragione delle dichiarazioni rese e correlate alla struttura argomentativa della sentenza di primo grado.
4.5. Parimenti, il motivo di ricorso con il quale è stato dichiarato generico il motivo d’appello sulla determinazione del quantum, non indica le ragioni della contestazione alle argomentazioni del primo giudice, se non facendo riferimento all’adozione di un criterio di “pura fantasia”, senza allegare se in appello fossero state indicate le ragioni per le quali l’importo sarebbe sproporzionato, con riferimento all’attività svolta, alle tariffe professionali o alla qualità dell’opera.
5. Il ricorso va pertanto rigettato 6. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020