Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.207 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1061/2015 proposto da:

Comune Di Scandicci, in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Mordini, 14, presso lo studio dell’avvocato Cecchetti Marcello, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bonacchi Claudia, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Istituto Sostentamento Clero Diocesi Firenze, in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 18, presso lo Studio Grez, rappresentato e difeso dall’avvocato Falorni Fausto, giusta procura a margine del controricorso incidentale;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 785/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto l’accoglimento p.q.r. del quarto motivo del ricorso principale; accoglimento motivo “B” del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato Cecchetti Marcello che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto incidentale, per il ricorrente;

udito l’Avvocato Falorni Fausto che ha chiesto il rigetto del ricorso principale; accoglimento incidentale.

FATTI DI CAUSA

L’Istituto per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Firenze proponeva opposizione avverso la determinazione dell’indennità dovutagli dal Comune di Scandicci per l’espropriazione di un suolo di sua proprietà, ablato per la realizzazione del secondo stralcio del tracciato tranviario *****.

Con sentenza non definitiva del 28 novembre 2011, l’adita Corte di Firenze, affermata l’inapplicabilità ratione temporis del D.P.R. n. 327 del 2001, riteneva che la destinazione dei suoli alla realizzazione della predetta opera, pur contenuta in una variante generale del PRG, aveva carattere espropriativo, talchè da essa doveva prescindersi nella determinazione dell’indennità di espropriazione, e doveva, invece, tenersi conto della precedente destinazione edificatoria dei terreni espropriati, inclusi prevalentemente in zona C (espansione in perimetro di piano attuativo PA 4 – centro città) ed in piccola parte in aree per sedi stradali, piazze e spazi pubblici ad esse accessori in perimetro di Piano attuativo. L’indennità di occupazione andava poi determinata in una percentuale legittimamente riferibile al saggio degli interessi legali vigenti all’epoca dell’occupazione.

Con successiva sentenza definitiva del 13.5.2014, la Corte fiorentina, all’esito della disposta CTU, determinava in Euro 528.287,00 l’indennità di espropriazione ed in Euro 108.771,59 quella di occupazione, ed ordinava il deposito della differenza tra quanto depositato e le indennità determinate, con gli interessi legali dal decreto di esproprio e l’ulteriore percentuale, pari alla differenza tra il rendimento annuo netto dei BOT ed il tasso annuo legale di interesse.

Per la cassazione di entrambe le sentenze, hanno proposto ricorso, in via principale, il Comune di Scandicci ed in via incidentale l’Istituto espropriato, rispettivamente affidati a quattro ed a due motivi. Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il Comune deduce la violazione della L. n. 392 del 1992, art. 5 bis e della L. n. 1150 del 1942, art. 7 nonchè della L. n. 2359 del 1865 e dei principi in tema d’indennità di esproprio. Il ricorrente lamenta che, nel considerare la qualità edificatoria dell’area antecedente alla modifica del PRG, la Corte d’Appello ha violato il principio secondo cui la ricognizione delle possibilità legali ed effettive di edificazione devono effettuarsi al momento del verificarsi della vicenda ablativa, senza considerare l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. In particolare i giudici del merito non avevano considerato che la destinazione del suolo ad un utilizzo meramente pubblico, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, andava riconosciuto, tra gli altri, nel caso di destinazione alla viabilità, era intervenuto già a decorrere dal RU del 2007, che aveva incluso i suoli espropriati in linea della Tranvia veloce (*****) ed attrezzature connesse.

2. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia, nuovamente, la violazione della L. n. 392 del 1992, art. 5 bis, della L. n. 1150 del 1942, art. 7 e della L. n. 2359 del 1865 e dei principi in tema d’indennità di esproprio, per non avere la Corte fiorentina considerato che l’inserimento di opere di viabilità nel PRG, pur comportando un vincolo d’inedificabilità, non concreta un vincolo di carattere espropriativo, salvo che la destinazione non sia assimilabile a quella di reti stradali all’interno ed al servizio di singole zone. E nella specie, tanto il PRG del 1991, in vigore alla data di approvazione del progetto definitivo dell’opera, quanto il RU del 2007, vigente alla data di emanazione del provvedimento ablativo hanno sempre destinato l’area di proprietà dell’Istituto controricorrente a sede tranviaria a carattere sovracomunale.

3. Con il terzo motivo, il Comune deduce l’omesso esame del fatto decisivo relativo alla disciplina urbanistica dell’area, all’interesse generale cui tendeva l’opera, al carattere sovracomunale del relativo intervento. Il vizio aveva inficiato la CTU, che aveva operato la stima in riferimento all’area limitrofa.

4. Col quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., per non avere la Corte limitato la declaratoria di spettanza del maggior danno al momento del deposito, e per non avere, a monte, considerato che la controparte non aveva allegato che, nei periodi di riferimento, il saggio annuale dei BOT fosse superiore a quello legale.

5. I primi tre motivi vanno congiuntamente, attenendo, pur sotto diversi profili, alla medesima questione relativa alla controversa natura del vincolo. Essi sono fondati.

6. Occorre premettere che, a seguito delle sentenze della Corte Cost. n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011, con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità dei criteri riduttivi previsti dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2 e della L. n. 865 del 1971, art. 16, comma 5 e 6, il sistema indennitario risulta oggi agganciato al valore venale del bene già previsto quale criterio base di indennizzo dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90. Tanto non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare. E l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo: quello dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni agli artt. 32 e 37.

7. In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez.un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009) e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 11503 del 2014; 665/2010; 400/2010; 21396/2009; 21095/2009; 17995/2009).

9. Ai fini dell’anzidetta ricognizione legale va, insomma, tenuto conto del vincolo conformativo insistente nell’area, e non di quello espropriativo, dovendo evidenziarsi che il vincolo d’inedificabilità impresso dagli strumenti urbanistici risulta in sè privo di ruolo discriminante nella summa divisio tra vincoli conformativi ed espropriativi, la cui individuazione va invece operata in relazione agli effetti dell’atto di pianificazione: ove esso miri ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area (cfr. Cass. n. 14230 del 2019,) 10. Tanto esposto, in via generale, secondo i principi condivisi da entrambe le parti, la questione focale che le vede contrapposte è invece quello relativo alla natura del vincolo contenuto nell’atto di pianificazione.

Al riguardo, va rilevato che in riferimento alla “rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti” menzionata nell’invocato L. n. 1150 del 1942, art. 7, n. 1 la natura conformativa, proprio come sostiene il ricorrente, è stata avallata dalla giurisprudenza di legittimità che ha affermato “l’indicazione di opere di viabilità nel piano regolatore generale comporta, in via ordinaria, un vincolo di inedificabilità delle parti di territorio interessate, che non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che non si tratti, in via eccezionale, di destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno ed a servizio delle singole zone, come tali riconducibili a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo” (cfr. da ultimo Cass. n. 14331 del 2019). A tale stregua, l’affermazione della sentenza non definitiva, che riconosce nel vincolo a metropolitana leggera contenuto nel variante generale al PRG del 1991 (che il ricorrente indica, con allegazione in parte qua non contestata ex adverso, come un tracciato tranviario sovracomunale) il carattere espropriativo, in quanto esso individua, con esattezza, l’opera ed i suoli dove essa graverà, è, invero, frutto di una confusione concettuale in quanto: a) sopprime la scansione necessaria – anche sul piano temporale e procedimentale – tra previsione insediativa e funzionale, e fase dell’attuazione, peraltro solo eventuale; b) equipara (sovrapponendole) alla potestà di individuazione ex ante, di zone in cui allocare i principali futuri strumenti di comunicazione del comune, interessanti una pluralità indifferenziata di proprietà esistenti nell’ambito di ciascuna di esse, le imposizioni lenticolari in capo ai titolari delle ben individuate aree gravate dal “tracciato” della singola opera, di conseguenza cronologicamente e logicamente successive alla sua già avvenuta approvazione nella consistenza progettualmente definita. Ed, infatti, la dimensione “zonale” generale ed astratta, deriva dalla previsione della rete delle principali vie di comunicazioni di cui alla Legge Urbanistica, art. 7, n. 1 previsione che qualsiasi P.R.G. è tenuto ad abbracciare in riferimento alla totalità del territorio comunale (comma 1, nonchè n. 2), e che costituisce il presupposto indefettibile del vincolo preordinato all’esproprio, nonchè, nel contempo, la fonte genetica necessaria: perciò non identificabile con la successiva (e, si è detto, solo eventuale) vicenda ablativa, dovendo appena aggiungersi che l’individuazione della qualità legale di un fondo non attiene a profili di fatto, ma inerisce al giudizio di diritto.

11. L’impugnata sentenza che ha affermato principi diversi, va, pertanto, cassata restando assorbiti ogni altro profilo dedotto ed il quarto motivo concernente la statuizione al maggior danno.

12. Col primo motivo del ricorso incidentale, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 57, comma 1 e art. 37, comma 2 (del D.P.R. n. 327 del 2001, della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’affermata inapplicabilità del TUE, l’Istituto afferma che il procedimento espropriativo era, ancora, in corso, alla data di entrata in vigore della novella, e lamenta, quindi, il mancato riconoscimento della maggiorazione del 10%, che, per effetto della disposizione intertemporale di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90 era dovuta.

13. Col secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 50 e 22 bis in riferimento alla determinazione dell’indennità di occupazione.

14. Entrambi i motivi restano assorbiti. La maggiorazione richiesta è prevista solamente per i suoli edificatori, e tale natura dovrà essere accertata dal giudice del rinvio; e, del pari, la questione della determinazione dell’indennità di occupazione, in ragione di 1/12 di quella di espropriazione, invece che commisurata agli interessi legali è connessa al predetto accertamento: per i suoli non legalmente edificatori, l’indennità di occupazione va, infatti, determinata, anche secondo la disciplina pregressa, nell’invocata applicazione della percentuale di 1/12 di quella di espropriazione.

15. La sentenza va, in conclusione, cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che provvederà, anche, a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto ed il ricorso incidentale, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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