LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22341/2015 proposto da:
Gmg S.r.l., in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ildebrando Goiran, 4, presso lo studio dell’avvocato Ballatore Benedetta che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gatto Andrea, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Factorit Spa;
– intimata –
e contro
Ministero Della Giustizia, in persona Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
avverso la sentenza n. 1031/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2019 dal cons. Dott. Sambito Maria Giovanna;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’avv. Ballatore Benedetta, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione al decreto col quale il Tribunale di Milano gli aveva ingiunto di pagare la somma di Euro 2.065.333,37, oltre accessori alla Factorit S.p.A., quale cessionaria del credito vantato da GMG S.r.l. per l’attività di noleggio di attrezzature per intercettazioni telefoniche prestata dalla società opposta in favore delle Procure della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.
Il Tribunale, nel contraddittorio della cedente, ha revocato il decreto, dando atto del pagamento della sorte, e condannando il Ministro al pagamento degli interessi moratori previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002 ed alle spese. Ma la decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Milano, che, con sentenza del 5 marzo 2015, e per quanto d’interesse, ha ritenuto insussistente un rapporto contrattuale, che le prodotte fatture non potevano documentare, per essere le prestazioni di intercettazioni state rese nell’ambito del giudizio penale, e da regolare in base al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 70 restando così esclusa la spettanza degli interessi relativi alle transazioni commerciali.
La S.r.l. GMC ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, successivamente illustrati da memoria. Disposta, con ordinanza del 28.3.2019, la rinnovazione della notificazione, si è poi costituito il Ministero della Giustizia. La Società Factorit è rimasta intimata. Le parti costituite hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per decorso del termine lungo per l’impugnazione: la notifica presso l’Avvocatura distrettuale di Milano, eseguita mediante servizio postale (piego spedito il 17.9.2015 e ricevuto il 6.10.2015), risulta sanata dalla rinnovazione della notifica presso l’Avvocatura Generale dello Stato e dalla successiva costituzione del Ministero.
2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 17 e delle altre norme che fissano i requisiti di forma per i contratti della pubblica amministrazione, nonchè dell’art. 1325 c.c., in relazione alla questione della riconoscibilità di un valido e documentato rapporto contrattuale fra le parti. Non era vero, secondo la ricorrente, che la volontà delle parti avrebbe dovuto essere formalizzata in un’unica scheda contrattuale, come la Corte territoriale aveva sostenuto in adesione alla tesi dell’Amministrazione, tenuto conto del disposto di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 17 che ammette la stipulazione per corrispondenza dei contratti a trattativa privata.
3. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.; art. 1325 c.c.; artt. 266 e 268 c.p.p. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 in relazione alla riconoscibilità tra i documenti in atti di una pluralità di validi contratti ad hoc, ciascuno caratterizzato da una autonoma offerta seguita dalla corrispondente accettazione, costituiti dal preventivo di spesa redatto da GMG e inviato alla Procura e dalla relativa accettazione, costituita dal provvedimento del Magistrato che disponeva l’intercettazione. Nè si poteva sostenere, come aveva fatto la Corte di appello, che per questa via resterebbe privo di determinazione contrattuale l’essenziale elemento del corrispettivo da pagare, tenuto conto del fatto che questo era invece ben agevolmente determinabile sulla base dell’indicazione nelle offerte di GMG del costo giornaliero del noleggio di ciascun macchinario e del costo relativo all’installazione e manutenzione del singolo strumento.
4. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e del punto n. 4 dell’art. 132 c.p.c. con conseguente nullità della sentenza, nonchè violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’espressa allegazione da parte dell’appellata di una pluralità di validi contratti, documentata con le offerte e accettazioni in atti.
5. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 2729,2702,2709 e 2710 c.c. nel loro combinato disposto con gli artt. 115,116 e 167 c.p.c., così come con le più ampie norme in tema di “non contestazione”. Producendo le fatture, GMG non aveva inteso solo provare l’esistenza dei contratti, ma aveva prospettato tali documenti come elementi costitutivi dell’esecuzione contrattuale e quindi come elementi validamente utilizzabili ai fini dell’interpretazione del contratto; del resto, la validità ed esistenza dei contratti emergeva anche dal fatto che il Ministero, sia pure in ritardo, aveva onorato il suo debito, pagando quanto dovuto per sorte capitale.
6. Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. L’applicazione del Testo Unico delle spese di giustizia, per espressa ammissione della Corte di appello, conseguiva esclusivamente alla preventiva esclusione di un rapporto contrattuale iure privatorum fra le parti; tale disciplina era applicabile solo in vista del carattere pubblicistico e non contrattuale impresso al rapporto. Il provvedimento emesso dal magistrato che procedeva non costituiva invece provvedimento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 ma mero atto di verifica, a fini interni.
Nè, prosegue la ricorrente, poteva essere ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 70 Testo Unico, come sostenuto dalla Corte di appello, poichè tale norma si riferisce alle sole somme di competenza dei gestori di telefonia e non a tutti i crediti maturati dalla aziende che forniscono servizi o effettuino forniture necessarie per l’attività di intercettazione; le predette aziende, a differenza dei gestori di telefonia, non sono obbligate per legge a prestare i loro servizi e il rapporto in cui si inquadrano le loro prestazioni si colloca in area di diritto privato, tanto più che il loro incarico non scaturisce da una gara ad evidenza pubblica. Nella fattispecie non era necessario alcun decreto di liquidazione poichè l’entità del corrispettivo risultava da una elementare operazione aritmetica di moltiplicazione del costo quotidiano di noleggio per il numero dei giorni d’impiego.
7. Con il sesto motivo, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 231 in materia di ritardi di pagamento nelle c.d. transazioni commerciali. L’accoglimento del quinto motivo in ordine alla non necessità del provvedimento di liquidazione di natura pubblicistica ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 70 unitamente all’accoglimento di uno dei motivi dal primo al quarto comporta de plano l’applicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002 in tema di interessi.
8 I motivi vanno esaminati congiuntamente e vanno rigettati, sulla scorta delle argomentazioni svolte con la sentenza n. 2074 del 2019, con la quale questa Corte ha enunciato i seguenti principi:
a) la messa a disposizione delle apparecchiature destinate ad intercettazioni telefoniche ed ambientali – e, se del caso, del personale addetto al loro funzionamento – costituisce attività strettamente funzionale ed inerente al processo penale, tale attività si connota, perciò, per il suo rilievo pubblicistico e si colloca al di fuori della libera contrattazione;
b) la liquidazione del relativo compenso deve, pertanto, essere effettuata ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 168 trattandosi di spese “straordinarie” contemplate in via di chiusura dal testo unico, ossia “non previste nel presente testo unico e ritenute indispensabili dal magistrato che procede”, con la conseguenza che l’azione di pagamento non può essere proposta col ricorso in monitorio.
9. Il suddetto orientamento è stato confermato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 17805 del 2019; n. 17806 del 2019; 21972 del 2019; 21973 del 2019; del 2019 22149; n. 23135 del 2019; n. 25954 del 2019), con cui è stato evidenziato che la conclusione non muta al lume del D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 120, art. 1, comma 1, che ha inserito nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168-bis, rubricato “Decreto di pagamento delle spese di cui al D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259, art. 96 e di quelle funzionali all’utilizzo delle prestazioni medesime”, secondo cui (comma 1) “la liquidazione delle spese relative alle prestazioni di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 96 e di quelle funzionali all’utilizzo delle prestazioni medesime è effettuata senza ritardo con decreto di pagamento del pubblico ministero che ha richiesto o eseguito l’autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione”. E’ stato, infatti, condivisibilmente chiarito che “sebbene dai documenti accompagnatori che hanno scandito l’iter di approvazione della norma si possa evincere il contrario – ovvero che nell’arco di tempo a cui risalgono le prestazioni oggetto dell’iniziativa monitoria in disamina i compensi di noleggio fossero liberamente negoziabili -, l’innovazione legislativa non intende colmare un vuoto normativo, la completezza del sistema potendo invero argomentarsi, come già ricordato dal precedente di questa Corte, dalla riconduzione delle spese de quibus nell’ambito delle spese straordinarie e dal rango di “norma di chiusura” che in questo contesto riveste – e rivestiva in passato – il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 5, comma 1; sicchè, rettamente intesa in accordo con le sue implicazioni sistematiche, la norma assolve una funzione propriamente esplicativa, chiarendo in modo espresso – anche al non secondario scopo di creare un efficace argine al dilagante contenzioso che rischiava di travolgere finanziariamente il funzionamento della giustizia penale – un principio immanente nel sistema, in ragione del quale, come si è specificato, le attività strettamente funzionali ed inerenti al processo penale, e le relative spese, si connotano per il loro rilievo pubblicistico e si collocano al di fuori della libera contrattazione.
10. In seno alla memoria, rammentato che il credito oggetto della controversia è costituito dagli interessi maturati a causa del ritardo nel pagamento delle fatture, la ricorrente afferma che la qualificazione dei compensi dovuti per le attività svolte in termini di spese straordinarie di giustizia non esclude la spettanza degli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, e successive modifiche, disposizioni che, nell’attuare la Direttiva 2011/7/UE, qualifica come transazioni commerciali i contratti “comunque denominati” che comportano, tra l’altro, la prestazione di servizi contro il pagamento del prezzo, e, cioè, proprio l’oggetto del rapporto inter partes. La contraria opinione, afferma il ricorrente, si pone in contrasto coi principi dell’Unione Europea e delle sentenze pronunciate dalla Corte di Giustizia, dovendo, perciò il giudice nazionale applicare la normativa interna in conformità del diritto Eurounitario e dei principi stabiliti dalla CEDU.
11. Rilevato che la questione attiene a profili di diritto di matrice comunitaria, e che di essa, pur non affrontata nei gradi precedenti gradi e nello stesso ricorso (ove la questione dell’applicabilità degli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, era, anzi, direttamente connessa alla postulata natura contrattuale del rapporto con gli Uffici della Procura della Repubblica) non può dunque predicarsene la novità, la stessa è infondata.
12. La Direttiva 2011/7/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 muovendo dai rilievi, contenuti nel terzo e nel quinto considerando, secondo cui, rispettivamente:
“nelle transazioni commerciali tra operatori economici o tra operatori economici e amministrazioni pubbliche molti pagamenti sono effettuati più tardi rispetto a quanto concordato nel contratto o stabilito nelle condizioni generali che regolano gli scambi. Sebbene le merci siano fornite e i servizi prestati, molte delle relative fatture sono pagate ben oltre il termine stabilito. Tali ritardi di pagamento influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese. Essi compromettono anche la loro competitività e redditività quando il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti. Il rischio di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile”;
“le imprese dovrebbero poter svolgere le proprie attività commerciali in tutto il mercato interno in condizioni che garantiscano che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne. L’applicazione di norme sostanzialmente diverse alle operazioni interne e a quelle transfrontaliere comporterebbe la creazione di distorsioni della concorrenza”;
individua, chiaramente in seno all’art. 1 che il suo scopo è quello “di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e in particolare delle PMI”.
Ed a fronte dell’ampia definizione data dall’art. 2 alle “transazioni commerciali”: quali quelle tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano la fornitura di merci o la prestazione di servizi dietro pagamento di un corrispettivo, individua quale “pubblica amministrazione”: qualsiasi amministrazione aggiudicatrice quale definita all’art. 2, par. 1, lett. a), della direttiva 2004/17/CE e all’art. 1, par. 9, della direttiva 2004/18/CE, indipendentemente dall’oggetto o dal valore dell’appalto.
Da tanto, consegue che la disciplina invocata, indirizzata a favorire la competitività delle imprese ed a tutelare la concorrenza nell’ambito della disciplina degli appalti, risulta estranea al caso qui in esame, di prestazioni rese non solo al di fuori di ogni procedura ad evidenza pubblica, come riconosce la stessa ricorrente, ma nell’ambito di un procedimento penale, dovendo, al riguardo, ribadirsi quanto già affermato con la citata sentenza n. 2017 del 2019, secondo cui tra i soggetti indicati dall’art. 3, lettera n) TU (“il perito, il consulente tecnico, l’interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all’ufficio può nominare a norma di legge”) “è senz’altro da annoverare colui che noleggia -intendendo con ciò la messa a disposizione delle strumentazioni, e se del caso del personale addetto al loro funzionamento – apparecchiature per intercettazione telefoniche ed ambientali”, quand’anche imprenditore commerciale.
13. Così convenendo, restano assorbite le ulteriori argomentazioni, che si traducono in meri ragionamenti circolari, che presuppongono specifici termini di pagamento – pattuiti o da individuare mutuandoli da un sistema normativo che non è qui applicabile nè pertinente – ed il diritto al conseguimento degli interessi commerciali. Resta da aggiungere che le considerazioni svolte in relazione all’impossibilità per il noleggiatore di conseguire il suo credito in via esecutiva sono irrilevanti, avendo la ricorrente, com’è incontroverso, già ottenuto il pagamento della sorte capitale.
14. Il consolidarsi della giurisprudenza in epoca successiva alla proposizione del ricorso rende opportuna la compensazione delle spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020
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