LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12418-2018 proposto da:
GIEFFE FINANZIARIA IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO BONOMI, PAOLO GIUDICI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
contro
EQUITALIA NORD SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4122/45/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 16/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE La CTR Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello proposto dalla società Gieffe Finanziaria Immobiliare s.r.l., confermando la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittima la cartella di pagamento relativa ad IVA per l’anno 2009. Secondo la CTR doveva ritenersi la piena legittimità della notifica della cartella tramite messo notificatore con consegna della busta a persona qualificatasi quale addetta al ritiro in data 3 Maggio 2013.
Aggiungeva che quanto alla motivazione della cartella emessa in base al controllo c.d. formale o automatizzato la giurisprudenza di questa Corte aveva chiarito che attingendo i dati dalla dichiarazione l’Amministrazione poteva limitarsi a richiamare tale atto – come era accaduto nel caso concreto – già conosciuto dalla parte contribuente, anche nel caso di richiesta di somme maggiori rispetto a quelle risultanti dalla dichiarazione.
Quanto alla contestazione degli interessi osservava che nel ricorso introduttivo non era stato richiesto alcunchè in proposito, risultando la domanda nuova avanzata in appello. Senza dire che gli interessi erano stati conteggiati in cartella in modo separato.
Quanto alle sanzioni contestate nell’appello secondo la CTR esse prescindevano dall’accertamento dell’elemento psicologico, riconnettendosi all’omissione di versamento di quanto dovuto e della negligenza mostrata rispetto alla comunicazione di irregolarità alla quale la contribuente non aveva dato alcun seguito.
La società GIEFFE Finanziaria Immobiliare s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo con il quale prospetta il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e di motivazione apparente, non risultando che sia stata considerata dalla CTR la censura concernente l’inesistenza della notifica effettuata in via diretta dal concessionario che l’omessa motivazione della cartella sul contenuto della pretesa fiscale come prospettate in appello, nè la censura relativa al deficit di motivazione circa pretesi omessi versamenti IVA.
L’appello è infondato, avendo la CTR adeguatamente esaminato tanto la questione relativa alla validità della cartella, ritenuta correttamente effettuata dal concessionario a mezzo messo – in coerenza, peraltro, con la giurisprudenza di questa Corte ormai consolidata (cfr. Cass. n. 1243/2019, Cass. n. 28872/2018) la censura concernente il dedotto deficit di motivazione della cartella, appunto ritenendo che in caso di c.d. controllo automatizzato fosse sufficiente evocare e richiamare la dichiarazione dei redditi compilata dallo stesso contribuente che dunque ne conosceva i contenuti. Tanto esclude sia l’ipotesi di motivazione apparente – in relazione ai principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte con riguardo al c.d. minimo costituzionale – cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014 – che quella di motivazione insufficiente – ormai espunta dal sistema dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 -. Peraltro, anche a volere riqualificare la censura come vizio di omessa pronunzia su un motivo di impugnazione la stessa non è fondata, risultando la motivazione rispetto alla censure per l’appunto esistente.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, dando atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquidai in favore della controricorrente in Euro 8000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020