Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23865 del 29/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25270-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.F., L.S., COVIB SRL, L.L., LA.FE., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BOCCARDO 26/A, presso lo studio dell’avvocato GENNARO FREDELLA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIRIACO GERARDO DANZA;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 143/2011 della COMM. TRIB. REG.SEZ. DIST. di FOGGIA, depositata il 14/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2019’dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 143/27/11, depositata il 14 settembre 2011 dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, con la quale è stato rigettato l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Foggia n. 287/10/2006, che aveva annullato l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2003, notificato alla COVIB s.r.l. e ai suoi soci, con la sola eccezione delle sanzioni comminate per cattiva tenuta del registro schede carburante.

Ha riferito che, a seguito di verifica condotta da militari della GdF presso la società, erano stati ripresi a tassazione costi riconducibili ad operazioni inesistenti o non inerenti e detrazioni Iva ritenute non spettanti, nonchè rideterminato l’imponibile Irap.

Era seguito il contenzioso, introdotto con giudizi separati dalla società e dai soci, esitato dinanzi alla Commissione provinciale di Foggia, previa riunione dei ricorsi, con l’accoglimento delle ragioni dei contribuenti, ad eccezione delle sanzioni applicate per la cattiva tenuta delle schede carburante.

L’appello presentato dall’Agenzia era stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale con la decisione ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale aveva sostenuto: che non vi erano elementi per ritenere inesistenti le operazioni commerciali poste in essere con la società Sovis; che i costi per carburante dovevano essere ugualmente riconosciuti, ancorchè irregolare la tenuta delle schede carburante; che vi erano i presupposti per la detrazione dell’Iva sulla merce acquistata con speciale scontistica.

L’Agenzia ha censurato la sentenza con sei motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e al D.Lgs. n. 62 del 31 dicembre 1992, art. 62, per essere corredata da motivazione apparente;

con il secondo, in subordine al primo motivo, per insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per la causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e al D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, art. 62, comma 1, per essere fondata su una motivazione passivamente adesiva alla tesi della parte contribuente, della quale ha riportato interi brani;

con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.p.c., nn. 2 e 3, e dell’art. 1470 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè al D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, art. 62, comma 1, per aver ritenuto irrilevante, ai fini della valutazione delle operazioni come inesistenti, il mancato pagamento del prezzo dei beni;

con il quarto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 444 del 10 novembre 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e al D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, art. 62, comma 1, per aver ritenuto detraibili i costi per spese carburante, pur essendo irregolarmente tenuta la loro contabilità;

con il quinto per violazione dell’art. 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, art. 62, per aver erroneamente pronunciato secondo equità;

con il sesto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, art. 2, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, art. 62, per aver erroneamente ritenuto detraibile l’Iva relativa alla merce acquistata con speciale scontistica.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale provvedimento.

Si sono costituiti i contribuenti, che hanno sollevato questioni di inammissibilità del ricorso con riguardo al difetto di procura conferita all’Avvocatura dello Stato, alla carenza di autentica della firma del Direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate, alla mancanza di richiesta alla Commissione tributaria regionale di inoltro del fascicolo d’ufficio; al mancato deposito di copia della sentenza impugnata. Nel merito hanno contestato i motivi di ricorso, chiedendone il rigetto.

CONSIDERATO

che:

Vanno preliminarmente esaminate le ragioni indicate dai controricorrenti sulla inammissibilità del ricorso. Esse sono tutte infondate.

E’ infondata la prima ragione, perchè l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale però non deve farsi specifica menzione nel ricorso, atteso che l’art. 366 c.p.c., n. 5, inserendo tra i contenuti necessari del ricorso “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato, e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore (Cass., nn. 22434/2016; 14785/2011; 11227/2007).

E’ infondata la seconda, perchè conseguentemente non vi è necessità di esternare la procura alle liti affidata all’Avvocatura.

Sono infondate le terza e la quarta ragione di inammissibilità del ricorso, atteso che risulta tanto il deposito di copia della sentenza impugnata, quanto la richiesta alla Commissione tributaria regionale di trasmissione del fascicolo d’ufficio.

Esaminando ora il merito, è infondato il primo motivo, con il quale l’Agenzia lamenta la nullità della sentenza per apparenza della motivazione.

Questa Corte ha riconosciuto l’apparenza della motivazione, con sua conseguente nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nelle ipotesi in cui essa non costituisca espressione di un autonomo processo deliberativo, quale ad esempio la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (Cass., 27112/2018). Si è anche affermato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, recando argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, 22232/2016).

E’ però altrettanto vero che nel processo civile ed in quello tributario la sentenza, la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive (Sez. U, 642/2015; 22562/2016). Peraltro la sentenza di appello che si rifaccia alla motivazione della statuizione impugnata non è nulla, qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, atteso che il giudice del gravame può aderire a quella motivazione senza necessità, ove la condivida, di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri (Cass., 10937/2016), laddove invece la nullità si rinviene nelle ipotesi in cui, nel processo civile come in quello tributario, la sentenza motivata mediante la trascrizione delle deduzioni di una parte, consistenti nel rinvio a tutte le argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo, non consente d’individuare in modo chiaro, univoco ed esaustivo le ragioni, attribuibili al giudicante, su cui si fonda la decisione (22652/2015).

Ebbene, nel caso di specie la sentenza, pur riportando passaggi o interi stralci dell’atto difensivo dei contribuenti, è costruita non già con un mero rinvio a quelle argomentazioni, ma mediante un adeguato “incasellamento” di quegli stralci nel tessuto argomentativo lungo il quale il giudice d’appello sviluppa il suo ragionamento, che appare pertanto del tutto logico, personale, chiaro, senza costituire un mero acritico rinvio ad altri atti.

La seconda doglianza, con cui l’Ufficio, subordinatamente alla prima, denuncia l’insufficienza della motivazione per non aver spiegato l’adesione alla posizione difensiva dei contribuenti nè aver chiarito perchè abbia disatteso le ragioni dell’Amministrazione, è infondata nei limiti appresso chiariti.

In tema di vizio di motivazione, in particolare con riguardo alla formulazione vigente anteriormente alla novella del 2012, la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., ord. n. 12967/2018; 19547/2017; 17477/2007).

Ebbene, nella pronuncia si evincono i fatti e i dati valorizzati dal giudice regionale a conforto delle sue valutazioni. In particolare, con rifermento alle operazioni ritenute inesistenti dall’Agenzia delle entrate, il giudice regionale ha rilevato lo stretto rapporto tra la Covib e la Sovin, la specifica attività esercitata da quest’ultima, comprensiva anche di servizi amministrativi, contabili e di trasporto merci; ha giustificato il mancato riscontro del pagamento contestuale del prezzo, rilevando che nella compravendita può essere eseguito in un altro momento; ha considerato che l’assenza di riscontri sul movimento della merce trovava spiegazione nella contiguità dei magazzini delle due società; ha considerato che la merce acquistata nel 2002 dalla Covib è stata poi restituita alla Sovin, con riacquisto della medesima quantità e corrispondenza di qualità e prezzo nel 2003; ha sottolineato che il Gup del Tribunale di Foggia aveva già escluso gli addebiti penali per i medesimi fatti.

La motivazione, condivisibile o meno, quanto all’esame delle operazioni inesistenti, appare logica, coerente, attenta a evidenziare gli elementi ritenuti evidentemente più significativi.

Sotto questo aspetto il motivo è dunque infondato.

Tralasciando per un momento le ulteriori questioni contenute nel secondo motivo, al fine di esaminare le singole contestazioni articolate dall’Agenzia in riferimento ai rilievi sollevati con l’avviso di accertamento, infondato è anche il terzo motivo, con cui ci si duole dell’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza, sostenendo che il prezzo nella compravendita non costituisce un elemento essenziale.

La ricorrente non coglie nel segno perchè dalla piana lettura della decisione impugnata si evince solo che il giudice regionale, nel riportare il contenuto della sentenza penale di assoluzione, riferisce che “In sede di Giudizio Penale,….., viene ricordato alle parti che il prezzo può essere corrisposto anche in altro momento non costituendo elemento essenziale del contratto, che esiste in diritto la “compensazione” che nessuna prova è stata fornita per l’integrale ipotesi del dolo finalizzato, visto che nessuna evasione di imposta si è verificata, nè è stata favorita da alcuno a favore di altri.”. Risulta evidente che il riferimento alla non essenzialità del corrispettivo nel contratto di vendita, al di là della infelice esposizione, vuol solo significare che non è essenziale la sua contestualità, potendo eseguirsi anche in un altro momento. In ogni caso la vicenda viene anche collocata nella ipotesi della “compensazione”, atteso che sempre dalla pronuncia è dato evincere che la merce prima acquista dalla Covib fu poi riacquistata dalla cedente Sovin. Tornando al secondo motivo, con riferimento ai costi sostenuti per il carburante, ritenuti indeducibili dall’Ufficio per l’irregolare compilazione delle schede carburante, ed invece dedotti dal giudice regionale, esso può essere trattato unitamente al quarto e al quinto motivo, in considerazione della connessione delle critiche, tutte rivolte, sotto il profilo dell’errore di diritto e del vizio motivazionale, a contestare le determinazioni assunte in sentenza.

In sentenza si sostiene che “Circa le schede carburanti, è stato dimostrato che il consumo da esse portato, era in linea con la media degli anni precedenti e pertanto spropositata appariva la sanzione del disconoscimento….e ciò per giustizia sostanziale.”.

In materia questa Corte ha affermato che, ai fini dei tributi erariali diretti e dell’Iva, la possibilità di dedurre le spese per i consumi di carburante per autotrazione e di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per il suo acquisto è subordinata al fatto che le cosiddette “schede carburante”, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, siano complete in ogni loro parte e debitamente sottoscritte, senza che l’adempimento, a tal fine disposto, ammetta equipollente alcuno e indipendentemente dall’avvenuta contabilizzazione dell’operazione nelle scritture dell’impresa (Cass., 26862/2014; 22918/2018).

Al principio, ormai consolidato, non si è attenuto il giudice regionale, sicchè va accolto il quarto motivo ed il secondo con riguardo a tale profilo, e a maggior ragione il quinto, per l’inammissibile giudizio secondo equità cui è ricorsa la Commissione.

Inammissibile infine è il sesto motivo, con il quale l’Agenzia denuncia l’errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel riconoscere la detraibilità dell’Iva su prodotti acquistati dalla Covib con speciale scontistica, come tale esente da Iva, poi rivenduti girando tali sconti ai propri clienti, ma al lordo dell’imposta, così da riportare successivamente in detrazione la suddetta Iva passiva.

L’Agenzia afferma che tale operazione sarebbe errata perchè lo sconto rientrerebbe nelle ipotesi esenti da Iva ai sensi del citato D.P.R. n. 633, art. 2, comma 3, collocandosi in una mera cessione di denaro (art. 2, comma 3, lett. a). La sentenza sarebbe allora errata per aver affermato la correttezza della detrazione, ritenendo di dover distinguere l’operazione di acquisto da quella di vendita del bene, sul quale era stato applicato lo sconto.

Il ricorso non tiene conto che in sentenza, prima ancora di tale considerazione, il giudice regionale ha affermato che la società ricorrente, beneficiaria di sconti successivamente concordati, con conseguente emissione di note di credito da parte del fornitore, ha provveduto a rivendere con Iva i suddetti prodotti, “e quindi a versare e non a conseguire una incomprensibile “indebita detrazione”.”.

Questa valutazione del giudice regionale non è stata oggetto di censura da parte dell’Amministrazione, che avrebbe dovuto meglio specificare e chiarire, anche alla luce di tale constatazione emergente in sentenza, quale fosse l’errore di diritto in cui era incorsa la pronuncia impugnata.

In conclusione vanno accolti il quarto, il quinto e, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo, rigettati il primo, il secondo, questo nei limiti di cui in motivazione, il terzo, e va dichiarato inammissibile il sesto.

La sentenza deve dunque essere cassata nei limiti dei motivi accolti e il giudizio rinviato alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, che in altra composizione deciderà limitatamente a quanto cassato, secondo i principi di diritto esposti, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quarto, il quinto e, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo, il secondo, questo nei limiti di cui in motivazione, il terzo, e dichiara inammissibile il sesto. Cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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