LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14346/2019,proposto da:
K.A.S., elettivamente domiciliato in Roma presso la CANCELLERIA civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, e rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Alessandrini, in forza di procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 4111/2019, del Tribunale di ANCONA, depositato il 28/3/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Ancona, con decreto n. cronol. 4111/2019, ha respinto la richiesta di K.A.S., cittadino del *****, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: la storia personale narrata dal medesimo, anche ove credibile, non implicava riferimenti ad atti persecutori rilevanti ai sensi di legge e restava confinata nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il ***** non era interessato da situazione di violenza indiscriminata (come si evinceva dai siti UNHCR ed EASO 2017 e 2018); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero nè un serio percorso di integrazione in Italia.
Avverso il suddetto decreto, K.A.S. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, art. 10 della Direttiva 2013/32/UE e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 non avendo il Tribunale rispettato l’obbligo di cooperazione istruttoria in ordine alla situazione politico-sociale del Paese di provenienza; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 avendo il Tribunale apoditticamente escluso l’esistenza di conflitti interni nel paese d’origine, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), senza procedere ai dovuti accertamenti; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 2998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, art. 4 della Direttiva 2011/05/UE, in relazione al diniego di protezione umanitaria ed alla ritenuta insussistenza di un’ipotesi di danno grave in capo al richiedente, sia determinato dalle minacce di morte e persecuzioni subite da parte degli usurai sia dalla grave situazione di conflitto e di emergenza sanitaria esistente in *****.
2. Le prime due censure, da esaminare insieme in quanto connesse, sono inammissibili.
Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine, o umanitaria.
Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il giudice merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.
Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).
In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).
Sempre in tema si è chiarito (Cass. 29358/2018) che, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.
Ora il Tribunale ha esaminato la situazione generale del *****, escludendo la ricorrenza di una situazione di violenza indiscriminata nel Paese.
Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. S.U. 22232/2016).
3.La terza censura è del parti inammissibile.
Invero, è stato infatti chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).
Il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore (prima della Novella di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018), cosicchè essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio: non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).
In conclusione, la sproporzione tra i due contesti di vita non possiede di per sè alcun rilievo, salvo emerga che essa ha determinato specifiche ricadute individuali, distinte da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale.
Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze nn. 29459 e 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.
In definitiva, il carattere “aperto” dei motivi di accoglienza tutelati con la protezione umanitaria non fa venir meno la necessità dell’effettivo riscontro di una situazione di vulnerabilità che non può non partire dalla situazione del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza.
Nella specie, Il Tribunale ha compiuto una esaustiva valutazione della situazione del richiedente, rilevando la mancanza di situazioni di vulnerabilità, sia oggettiva sia soggettiva, del richiedente; in ricorso si parla solo di una situazione carenza di condizioni “minime per condurre un’esistenza” dignitosa; il percorso di integrazione in Italia risulta in ogni caso da solo insufficiente.
4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso è inammissibile. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020