Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24010 del 30/10/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29315/2019 proposto da:

E.B., nato in *****, rappresentato e difeso dall’avv.to Maurizio Veglio, (maurizioveglio.pec.ordineavvocatitorino.it) giusta procura speciale allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Laura Barberio, in Roma, via Torino 7;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 603/2019 della Corte d’Appello di Torino, sezione Minorenni e Famiglia, depositata il 4.4.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23.7.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

RILEVATO

che:

1. E.B., cittadino *****, ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione della sentenza delle Corte d’Appello di Torino che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda da lui proposta per ottenere la protezione internazionale nelle varie forme previste dalla legge nonchè, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, in ragione del rigetto dell’istanza avanzata, in via amministrativa, dinanzi alla competente Commissione Territoriale.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente ha narrato di essere fuggito dal proprio paese in quanto, trasferitosi nella capitale a seguito di un acceso contrasto con il capo del villaggio dove viveva originariamente, aveva intessuto una relazione affettiva con una ragazza di religione mussulmana che era rimasta incinta ed era stata sottoposta dal padre – che non voleva che si unisse con lui che era cristiano – ad una pratica abortiva che ne aveva causato la morte. Temendo la vendetta dei parenti della ragazza e della polizia alla quale il padre lo aveva denunciato, accusandolo falsamente che era stato lui a somministrare alla figlia la medicina abortiva, aveva deciso di allontanarsi dal proprio paese giungendo in Italia nel 2015, previo transito in Libia.

1.2. Ha dedotto di non poter rientrare in patria in ragione del rischio di essere incarcerato ingiustamente, non potendo trovare tutela presso le autorità del proprio paese che erano coinvolte in costanti pratiche di corruzione.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 6, n. 4 e art. 118 disp. att. e la nullità della sentenza in relazione al giudizio di credibilità.

1.1. Assume che la Corte territoriale aveva reso, al riguardo, una motivazione priva di sostanza logica dalla quale non era possibile comprendere le ragioni per le quali il suo racconto non era stato considerato attendibile.

1.2. Lamenta, al riguardo, l’assenza di qualsiasi approfondimento istruttorio che sarebbe stato doveroso in ragione della griglia procedimentale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

2. Con il secondo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per violazione dei criteri legali per l’accertamento della condizione di violenza indiscriminata nel suo paese di origine e per omessa istruttoria.

2.1. Assume che la Corte territoriale aveva escluso genericamente che sussistesse, nella zona da cui proveniva, una condizione di violenza indiscriminata omettendo di acquisire informazioni aggiornate e di dare conto delle fonti utilizzate, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

3. I motivi devono essere congiuntamente esaminati per la intrinseca connessione logica.

3.1.Essi sono entrambi fondati, ricorrendo l’error in procedendo denunciato.

3.2. Deve premettersi che la Corte territoriale, condividendo apoditticamente la valutazione del Tribunale, ha affermato che le dichiarazioni rese davanti alla Commissione erano talmente generiche e poco circostanziate da non meritare alcun approfondimento istruttorio essendo “comuni a tanti altri racconti di richiedenti asilo” (cfr. pag. 3 ultimo cpv. sentenza impugnata): sulla base di ciò ha condiviso la decisione di non dar corso all’audizione richiesta ed ha escluso la credibilità del ricorrente affermando che, lungi dal poter ascrivere i vuoti di memoria riferiti ai traumi subiti, “in realtà nel racconto non si evidenziano buchi logici o temporali, mancando totalmente un vissuto personale che consenta di superare la genericità del racconto”.

3.3. Ha aggiunto, rispetto alla valutazione della situazione sociopolitica esistente in Nigeria, che la denunciata corruzione delle forze dell’ordine non trovava riscontro su tutto il territorio ma solo su alcune regioni, in particolare quelle settentrionali e del Delta del Niger ed ha riferito tale statuizione alle informazioni rinvenibili sul sito del Ministero degli Esteri “*****”.

4. Al riguardo, si osserva quanto segue.

4.1. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “in tema di protezione sussidiaria, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto” (cfr. ex multis Cass. 17716/2018; Cass. 14283/2019; Cass. 2954/2020; Cass. 8819/2020).

4.2. Il giudice, pertanto, deve, in limine, prendere le mosse del suo accertamento e della conseguente decisione da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova – perchè non reperibile o non esigibile – della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è sicuramente funzionale, in astratto, all’attivazione officiosa del dovere di cooperazione volta all’accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente asilo. Al riguardo, non appare conforme a diritto la semplicistica affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso (in tal senso, tra le altre, Cass. Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

4.3. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce, infatti, che, anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

4.4. Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, già evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del Paese quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente: subordinare il dovere di cooperazione istruttoria al giudizio di veridicità della narrazione non fondato su una valutazione complessiva delle circostanze narrate (di genuinità intrinseca: Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202) risulta essere una violazione del percorso logico sancito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

4.5. In buona sostanza, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale nella quale siano presenti aspetti contraddittori che ne mettano in discussione la credibilità, in quanto è finalizzato proprio a raggiungere il necessario chiarimento su realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle (Cass. 2954/2020; Cass. 3016/2019) di altri paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione dell’asilante.

4.6. Ne deriva che:

a. sul piano strettamente logico, prima ancor che cronologico, l’accertamento di tale situazione deve precedere, e non seguire, la valutazione della credibilità del ricorrente.

b. la decisione di inattendibilità della narrazione non può essere posta a base, ipso facto, del diniego di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege. Quel giudice non sarà mai in grado, ex ante, di conoscere e valutare correttamente la reale ed attuale situazione del Paese di provenienza del richiedente asilo, sicchè risulta frutto di un evidente paralogismo l’equazione mancanza di credibilità/insussistenza dell’obbligo di cooperazione.

4.7. A ciò consegue che, in tale fase del giudizio (evidentemente prodromica alla decisione di merito), la valutazione di credibilità impeditiva dell’adempimento del dovere di cooperazione istruttorio dovrà limitarsi alle affermazioni circa il Paese di provenienza rese dal ricorrente (così che, ove queste risultassero false, si disattiverebbe immediatamente l’obbligo di cooperazione); e che la non attivazione dell’obbligo di cooperazione sarà del pari predicabile nei casi in cui il giudice possa categoricamente escludere l’esistenza dei presupposti della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per evidente contrasto fra le vicende narrate ed i fatti notori riguardanti il paese in esame. (cfr. Cass. 8819/2020) 4.8. Inoltre, tale obbligo non sussisterà tutte le volte che la difesa del richiedente asilo non abbia esposto fatti storici idonei a renderne possibile la valutazione, ovvero abbia espressamente e motivatamente rinunciato ad una delle possibili forme di protezione: ma al di fuori di tali ipotesi, deve ritenersi che, per espresso dettato normativo, il giudice non possa esimersi dal dovere di cooperazione istruttoria, non potendo, se non ex post, all’esito dei disposti accertamenti, decidere nel merito la domanda.

5. Il dovere di cooperazione istruttorio si sostanzia nell’acquisizione di Country Origin Informations pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti, espressamente indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3: al riguardo, deve escludersi che possa essere fra essi ricompreso, come già affermato da questa Corte, il sito ministeriale “*****”, il cui scopo e la cui funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti in sede di giudizio di protezione internazionale (cfr. Cass. 13449/2019; Cass. 10834/2020): il richiamo ad esso, pertanto, ove non sia corroborato da altre pertinenti e recenti fonti informative, deve ritenersi inidoneo alla finalità istruttoria prescritta dalla norma sopra richiamata.

6. Nel caso di specie, la stessa Corte territoriale, oltre ad avere evidenziato che venivano sconsigliati dal sito “*****” soltanto i viaggi nel Nord est del paese, laddove l’informazione era riferita anche al centro ed al centro sud (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata dove tali zone, pur riportate, non sono state evidenziate) ha contraddittoriamente precisato che le raccomandazioni rappresentate valevano soltanto per i turisti ma non potevano considerarsi rilevanti per coloro che facevano rientro in patria (cfr. pag. 4 cpv. 3.3. della sentenza impugnata), con ciò ammettendo, in modo illogico e contraddittorio, l’inattendibilità (ai fini che qui interessano) delle fonti informative utilizzate.

6.1. Osserva il Collegio che, pertanto, emerge ictu oculi l’error procedendi in cui è incorsa la Corte territoriale nella valutazione della credibilità del racconto, essendo stati esaminati gli elementi della narrazione in modo generale e sulla base di un criterio atomistico caratterizzato da una scomposizione/confutazione dei fatti narrati, del tutto avulso dal generale contesto narrativo, così omettendosi la disamina complessiva dell’intera vicenda esposta dal richiedente asilo (in termini, di recente, Cass. 7546/2020) e riducendo il giudizio di credibilità ad una apodittica negazione dei fatti allegati (cfr. al riguardo le assertive e tautologiche considerazioni contenute a pag. 4 punto 3.2. della sentenza impugnata).

In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce del principio di diritto sopra evidenziato e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472