LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5948/2017 proposto da:
V.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI QUATTRO VENTI, 166, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE SALERNO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GASPARE SALERNO;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA DI ROMA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 16897/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 12/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/10/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHESI.
PREMESSO Che:
1. Con ricorso del 14 dicembre 2007 V.M. proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione prefettizia n. *****, facendone valere la nullità e/o inesistenza formale.
Preliminarmente dichiarata la contumacia della Prefettura di Roma, con sentenza n. 7137/2009 il Giudice di pace di Roma dichiarava l’inammissibilità del ricorso perchè proposto oltre il termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 22, comma 1.
2. Avverso la sentenza proponeva appello V.M., deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, commi 1 e 2 e, in subordine, la mancata conversione del rito in quello ex art. 615 c.p.c..
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 22600/2011, dichiarava l’inammissibilità dell’appello, ritenendo la decisione del giudice di prime cure unicamente ricorribile in cassazione.
3. Contro la sentenza proponeva ricorso in cassazione V.M., censurando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 22 e art. 23, commi 1, 2, 5 e 6, nonchè la mancata conversione del rito in quello previsto dall’art. 615 c.p.c..
Questa Corte, ritenuta la manifesta fondatezza del primo motivo di ricorso, con ordinanza n. 19386/2015 cassava il provvedimento impugnato e rinviava la causa al Tribunale di Roma in diversa composizione. In particolare, secondo la Corte, nel caso di specie il Tribunale era incorso in errore nel considerare non appellabile il provvedimento del Giudice di pace, posto che il giudizio di primo grado si era concluso con una declaratoria di inammissibilità non soltanto espressamente qualificata come sentenza, ma caratterizzata altresì dai suoi caratteri distintivi, essendo stata formalizzata al termine di un’udienza istruttoria, tenutasi nel contraddittorio delle parti.
4. Con atto di citazione del 13 novembre 2015 V.M. riassumeva il giudizio avanti al Tribunale di Roma.
Nella contumacia della Prefettura convenuta, con sentenza 12 settembre 2016, n. 16897, il Tribunale, in parziale riforma della sentenza del Giudice di pace, ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha respinto “la parte dello stesso trasformata in opposizione alla esecuzione ex art. 615 c.p.c.”, condannando V.M. “a rimborsare a Roma Capitale le spese del presente giudizio di appello (..) e le spese del giudizio di cassazione”.
5. Contro la sentenza del giudice di rinvio ricorre per cassazione V.M..
L’intimata Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Roma non ha proposto difese.
CONSIDERATO
Che:
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
a) Il primo motivo lamenta “erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., espressione di una valutazione del fatto concreto compiuta anche in chiara violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, commi 1 e 2, letti in combinato disposto tra di loro e in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., circa la valutazione delle prove fornite dal ricorrente in punto di accertamento della tempestività dell’opposizione avverso l’ordinanza di ingiunzione prefettizia impugnata, con conseguente violazione degli artt. 24,97 e 111 Cost. e della legge sulla trasparenza amministrativa, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”: con la decisione impugnata il giudice di rinvio, dopo aver mosso osservazioni al di là del thema decidendum, sarebbe giunto a sostenere in maniera “del tutto ipotetica e solo supposta” la tardività dell’opposizione, così confermando l’inammissibilità della medesima in base a una serie di osservazioni in parte illegittime e in parte frutto di travisamento in fatto e in diritto della documentazione prodotta.
Il motivo non può essere accolto. E’ vero che il Tribunale (p. 4 del provvedimento impugnato) ha affermato che il ricorrente non aveva provato la tempestività del ricorso e che tale prova era “necessaria al fine della ammissibilità dello stesso” ricorso, ma ha poi considerato che l’atto “poteva valere quale opposizione sulla base del principio di conservazione degli atti giuridici”, esaminando nel merito l’opposizione (cfr. il dispositivo del provvedimento, p. 6, v. pure il successivo motivo).
b) Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 4, dovuta ad apparente motivazione e/o manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione, attraverso la quale il giudice del rinvio, previa conversione del rito in quello dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 1, ha inteso ugualmente rigettare il ricorso fondato sull’inesistenza formale dell’ordinanza prefettizia impugnata per difetto del presupposto costituito dal ricorso ex art. 203 C.d.S., ritenendo contro ogni evidenza formale e documentale, attraverso un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la comunicazione obbligatoria per la decurtazione dei punti patente, inviata dal ricorrente ex art. 126 bis C.d.S., quale ricorso al Prefetto avverso l’accertamento contravvenzionale di passaggio con semaforo rosso costituente invece sanzione principale”.
Il motivo è fondato. Il Tribunale, esaminata la comunicazione inviata dal ricorrente al “Corpo di Polizia Municipale” del Comune di Roma, che nell’oggetto reca “comunicazione obbligatoria per la decurtazione dei punti dalla patente ex art. 12-bis C.d.S., comma 2”, ha ritenuto che tale comunicazione “assumeva l’aspetto del ricorso” e pertanto correttamente il Prefetto, sulla sua base, aveva adottato l’ordinanza ingiunzione.
La qualificazione del Tribunale è errata. L’atto in questione era infatti una comunicazione relativa alla applicazione della “sanzione accessoria pecuniaria prevista dall’art. 126-bis, comma 2 e alla sottrazione dei punti”, in cui il ricorrente ha sì posto in essere una serie di dichiarazioni, ma unicamente volte ad evitare l’applicazione della sanzione accessoria, così che l’atto non può essere qualificato “ricorso al prefetto” ai sensi dell’art. 203 C.d.S..
c) L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo, proposto “in via subordinata, autonoma ed ulteriore”, che denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 1, letto in correlazione con la contestuale violazione degli artt. 91,92,132 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., in ordine alla illegittima condanna alle spese del giudizio di appello-rinvio e del giudizio di legittimità disposta a carico dell’odierno ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.
II. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata al Tribunale di Roma, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigettato il primo e assorbito il terzo motivo del ricorso; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Roma, che deciderà in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 11 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020
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