Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24145 del 30/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1213-2017 proposto da:

FALLIMENTO ***** S.R.L., in persona dei curatori pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE N. 23, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO ARMENTANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAVERIO ROCCO CETRARO;

– ricorrente –

contro

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MONTAGNE ROCCIOSE 69, presso lo studio dell’avvocato ANDREA ORDINE, rappresentato difeso dall’avvocato NATALIA BRANDA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1435/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 13/10/2016 R.G.N. 1220/2015.

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Catanzaro in accoglimento del ricorso proposto dal Dott. C.V., anestesista transitato alle dipendenze della ***** s.r.l. per effetto della cessione dell’azienda da parte dell'***** s.r.l., ha dichiarato il suo diritto a conservare l’elemento distinto della retribuzione (EDAPR) attribuitogli dalla cedente e goduto per oltre un decennio (dal 4.1.2001 al 27.5.2011) condannando la cessionaria al pagamento delle somme dovute a tale titolo nel periodo dal 27 maggio 2011 al 31.1.2015 oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria. Inoltre ha dichiarato il diritto del C. a conservare l’anzianità maturata alle dipendenze dell'***** s.r.l.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che il diritto alla conservazione dell’EDAPR e dell’anzianità di servizio maturata scaturisse dalla corretta applicazione dell’art. 2112 c.c. il quale, al comma 1, prevede che in caso di trasferimento di azienda il lavoratore dipendente della cedente conservi tutti i diritti che derivano dall’originario rapporto. Il giudice di appello ha poi escluso che il comma 4 del citato art. 2112 potesse essere richiamato a fondamento di modifiche unilaterali del rapporto da parte della società subentrante.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto tempestivo ricorso la ***** s.r.l. affidato a tre motivi ai quali ha opposto difese con tempestivo controricorso il Dott. C.V.. La ricorrente ha depositata memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 1362 e ss. per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che l’EDAPR riconosciuto al Dott. C. nella scrittura privata del 4 gennaio 2001 avesse funzione di compenso forfettario per prestazioni di lavoro straordinario eventuali trasformatosi poi in un superminimo costituente parte integrante della retribuzione.

4.1. Ad avviso della ricorrente il giudice di appello non avrebbe rispettato i canoni ermeneutici che avrebbero dovuto guidare prioritariamente l’interpretazione del contratto a partire da quello letterale che, ove sia sufficientemente chiaro, insieme a quello logico è criterio di interpretazione sufficiente che non consente di fare ricorso a criteri sussidiari, utilizzabili solo quando i primi non siano bastevoli. Conseguentemente, stante la connessione tra compenso aggiuntivo e prestazioni ulteriori richieste, ritiene la ricorrente che una volta che tali ulteriori prestazioni non siano più richieste il compenso non deve più essere erogato.

4.2. Inoltre avrebbe errato la Corte nell’attribuire natura di compenso per lavoro straordinario forfettizzato all’erogazione, trasformatasi in un superminimo, ed osserva che, anche ammessa la natura di superminimo dell’emolumento, comunque si tratterebbe di compenso suscettibile di assorbimento per effetto dell’incremento della retribuzione stante il tetto di sette milioni di lire indicato dalle parti nel contratto.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto violato l’art. 2112 c.c. per effetto della mancata erogazione dell’EDAPR. Il giudice di appello avrebbe trascurato di considerare che, successivamente all’affitto di azienda, la Casa di Cura non aveva avuto più necessità di avvalersi dell’opera del Dott. C. per le particolari esigenze ulteriori rispetto all’orario di diciannove ore settimanali convenuto ed espletato.

5.2. Osserva perciò che essendosi modificate le condizioni della prestazione il compenso non doveva essere più erogato. Al lavoratore era consentito, semmai, ai sensi dell’art. 2112 c.c., comma 4 di recedere dal contratto, ma certo questi non poteva pretendere l’erogazione di un compenso in relazione ad una prestazione non più richiesta.

6. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6.1. Osserva la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe ritenuto violato l’art. 2103 c.c. trascurando di considerare che la disposizione riguarda gli elementi ordinari del trattamento retributivo e non anche le indennità corrisposte in ragione delle particolari modalità della prestazione.

7. Il ricorso non può essere accolto.

7.1. Il primo motivo in quanto la ricorrente con la sua censura più che denunciare una violazione delle regole dettate dal codice civile per l’interpretazione dei contratti propone piuttosto una lettura del contratto diversa rispetto a quella adottata dalla sentenza impugnata senza chiarire perchè ed in che termini i canoni di interpretazione invocati sarebbero stati violati.

7.2. Nel riprodurre il testo del contratto e la motivazione della sentenza la ricorrente si limita ad affermare che sarebbe del tutto ovvio che il compenso preteso fosse correlato alla prestazione e che, non essendo questa più stata resa, non sarebbe dovuto.

7.3. Si tratta all’evidenza della contrapposizione di una interpretazione ad un’altra entrambe plausibili e la censura è perciò inammissibile in quanto la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., ma ha invece l’onere di specificare non solo i canoni che in concreto assuma violati ma, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato. Le censure, infatti, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. Quest’ultima non deve essere infatti l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni. Ne consegue che allorquando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 28/11/2017 n. 28319 e 27/06/2018n. 16987).

8. Il secondo motivo di ricorso è infondato. L’art. 2112 c.c. assicura a favore dei dipendenti dell’imprenditore che trasferisce l’azienda o un suo ramo la garanzia della conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto lavorativo con l’impresa cedente e mira alla tutela dei crediti già maturati dal lavoratore ed al rispetto dei trattamenti in vigore (cfr. Cass. 23.12.2003 n. 19681 e recentemente Cass. 12/11/2019 n. 29291) e dunque correttamente la Corte di merito ne ha accertata la violazione, evidenziando che il compenso (EDAPR) era stato riconosciuto al C. nel contratto individuale ed era stato erogato pacificamente per tutta la durata del rapporto e fino all’intervenuto affitto dell’azienda.

9. Del pari non può essere accolto l’ultimo motivo di ricorso che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9.1. Sotto il primo profilo va ricordato che il compenso è stato correttamente identificato come un elemento della retribuzione funzionale alla prestazione nel suo complesso ed il compenso forfettario della prestazione resa oltre l’orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all’entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro (cfr. Cass.12/01/2011 n. 542 e 05/01/2015n. 4).

9.2. Per quanto concerne poi l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è appena il caso di osservare che nella censura non viene affatto chiarito quale sia il fatto decisivo trascurato dalla Corte di merito nè tanto meno ne viene argomentata la decisività.

10. In conclusione il ricorso va rigettato e le spese vanno poste a carico della soccombente nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese generali oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 20 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020

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