LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4652/2014 R.G. proposto da Se.Po. Service soc. coop., rappresentata e difesa dall’Avv. Nicola Senatore, con domicilio eletto in Polla, piazza Ritorto, presso lo studio dello stesso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 93/36/13 depositata il 27 giugno 2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno 2020 dal Consigliere Dott. Nicastro Giuseppe.
RILEVATO
che:
a seguito di un processo verbale nei confronti della Se.Po. Service soc. coop. – il quale aveva evidenziato, a carico di tale società, “costi per operazioni inesistenti per C 286.329,00 relativi a fatture inesistenti emesse dalla Topazio soc. coop. (cartiera); costi non documentati per Euro 2.491.045,00 relativi a fatture emesse da fornitori imprese cartiere o evasori totali (All Works srl, Men at Work srl, New Job Service), prive di dipendenti”, rilevando che “i relativi pagamenti erano avvenuti sempre in contanti, le fatture recavano tutte la medesima generica dicitura “servizi effettuati per vostro ordine e conto”, e le società emittenti non erano state in grado di esibire documentazione attestante la prestazione resa; la Topazio cessata nel novembre 2005, non aveva personale dipendente e il suo legale rappresentante aveva dichiarato l’estraneità all’emissione delle fatture 2006, i cui pagamenti erano avvenuti in contanti” (così la sentenza impugnata) – l’Agenzia delle entrate notificò alla stessa Se.Po. Service soc. coop.: a) l’avviso di accertamento n. *****, per il periodo d’imposta 2006, con il quale disconobbe la deducibilità dei menzionati costi (ai fini dell’IRES e dell’IRAP) e la detraibilità della relativa IVA (ai fini di tale imposta); b) la “conseguente” cartella di pagamento n. *****;
l’avviso di accertamento e la cartella di pagamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano che, riuniti i ricorsi, li rigettò;
avverso tale pronuncia, la Se.Po. Service soc. coop. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”) che lo rigettò con la motivazione che: a) le doglianze della contribuente (“sull’applicazione della legge Biagi, l’esistenza delle fatture, la contabilità regolare, la mancata verifica sui clienti”) “eludono la fondamentale “ratio decidendi” rappresentata dall’applicazione nel caso specifico dell’onere probatorio: il disconoscimento dei costi si ravvisa sorretto da un corposo quadro probatorio (…) idoneo a fondare presunzioni gravi precise e concordanti nel senso della fittizietà delle fatture, mentre la contribuente non ha assolto l’onere, sulla stessa gravante, di provare l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti alle fatture in questione, non avendo fornito i dettagli delle prestazioni di manodopera, quali il numero e il nominativo dei lavoratori e il luogo e il destinatario della prestazione fatturata”; b) “(Un particolare, la palese genericità contenutistica delle fatture, che recano soltanto la dicitura “servizi (o servizi straordinari) effettuati per vostro ordine e conto” integrata dalla sola indicazione del relativo dato temporale, non ha reso possibile la verifica istruttoria dell’ufficio, pretesa dalla contribuente, appunto perchè manca nella fatture qualsiasi riferimento ai destinatari delle prestazioni, che si assumono rese per conto della contribuente”; c) “(c)omunque, poichè i pagamenti non hanno trovato coincidenza nella contabilità dei fornitori perchè società cessate anteriormente (Topazio cessata nell’anno 2005) o perchè società risultate c.d. cartiere prive di documentazione contabile ed evasori totali (All Works srl, Men at Work srl, New Job Service), spettava al contribuente fornire precisi elementi probatori oggettivi sulle prestazioni fatturate, restando, in mancanza, privi di rilievo i propri documenti contabili, ancorchè regolari, e gli eventuali riscontri bancari sui pagamenti mediante assegni o contanti”; d) “(i)n particolare, emergono inconciliabili contraddizioni tra l’assunto della contribuente e le circostanze di fatto certe, a fronte delle quali la stessa, benchè onerata, non ha fornito la prova oggettiva e contraria, ravvisandosi per nulla convincenti gli argomenti svolti per sostenere l’esistenza di sottostanti rapporti economici”; e) “(n)el delineato contesto appare legittimamente configurabile l’ipotesi – ritenuta dall’Ufficio e dal primo giudice – di utilizzo di fatture fittizie per operazioni inesistenti”;
avverso tale sentenza della CTR – depositata il 27 giugno 2013 e non notificata – ricorre per cassazione la Se.Po. Service soc. coop., che affida il proprio ricorso, notificato il 10 febbraio 2014, a un unico motivo;
l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo, “avente ad oggetto l’errato convincimento del Giudice di secondo grado sull’onere della prova, ovvero violazione dell’art. 360 c.p.c.”, la ricorrente denuncia l'”omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, assenza dei presupposti, erroneità e sviamento dei fatti” nonchè “violazione della norma di cui all’art. 2697 c.c., comma 2 e art. 2727 c.c.; violazione della norma di cui all’art. 109 T.u.i.r.”, per avere la CTR fatto malgoverno dei principi in materia di riparto dell’onere della prova nel caso di contestazione al contribuente dell’utilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti;
il motivo non è fondato;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, “qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass., 15/05/2018, n. 11873, Rv. 648528-01; nello stesso senso, Cass., 10/06/2011, n. 12802, 20/01/2016, n. 967, 19/05/2017, n. 12701, 20/02/2020, n. 4410).
ribaditi tali principi in materia di oggetto della prova e riparto del relativo onere nel caso di operazioni inesistenti, la sentenza impugnata si rivela a essi pienamente conforme;
la CTR ha anzitutto correttamente reputato a carico dell’amministrazione finanziaria la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non erano state mai poste in essere (“il disconoscimento dei costi si ravvisa sorretto da un corposo quadro probatorio (…) idoneo a fondare presunzioni gravi precise e concordanti nel senso della fittizietà delle fatture”), considerando, in tale prospettiva, elementi indiziari che, di regola, si devono ritenere significativi ai fini della prova presuntiva – da parte della stessa amministrazione – dell’inesistenza dell’operazione;
tali sono, in particolare, gli elementi che le fatture risultavano emesse da “società cessate anteriormente (Topazio cessata nell’anno 2005)” alla stessa emissione o da “società (…) prive di documentazione contabile ed evasori totali” (Cass., 02/03/2012, n. 3370, 20/11/2019, n. 30147, n. 4410 del 2020);
quanto alla prova contraria offerta dalla Se.Po. Service soc. coop., la CTR, dopo avere rilevato che “la contribuente non ha assolto l’onere, sulla stessa gravante, di provare l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti alle fatture in questione, non avendo fornito i dettagli delle prestazioni di manodopera” (con la precisazione che “la genericità contenutistica delle fatture (…) non ha reso possibile la verifica istruttoria dell’ufficio, pretesa dalla contribuente”), ha correttamente negato rilievo sia alla regolarità formale delle scritture della stessa sia alle asserite evidenze contabili dei pagamenti degli importi fatturati (“restando (…) privi di rilievo i propri documenti contabili, ancorchè regolari, e gli eventuali riscontri bancari sui pagamenti mediante assegni o contanti”), cioè a due circostanze che, secondo l’orientamento di questa Corte, in quanto “facilmente falsificabili”, vanno considerate, come si è visto, del tutto insufficienti ai fini della predetta prova contraria;
dall’infondatezza dell’unico motivo consegue il rigetto del ricorso; non è luogo a provvedere sulle spese in quanto l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – comma inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del suddetto art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020