LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15884/2017 proposto da:
W.A.S.D.F., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Pirro Antonella per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, Prefettura della Provincia di Milano;
– intimati –
avverso il provvedimento del GIUDICE DI PACE di MILANO, depositata il 20/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnato per cassazione il provvedimento del Giudice di pace di Milano con cui è stato respinto il ricorso proposto da W.A.S.D.F. avverso il decreto di espulsione pronunciato ai danni del medesimo dal Prefetto della Provincia di Milano.
2. – Il ricorso per cassazione si compone di due motivi. Le autorità intimate non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato su di un punto decisivo della controversia, nonchè l’inesistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’emanazione del decreto di espulsione. Secondo il ricorrente il provvedimento emesso dal Prefetto di Milano si fonderebbe su mere presunzioni che il Giudice di pace si sarebbe limitato ad avallare senza fornire una motivazione atta a dar ragione del proprio convincimento. Inoltre lo stesso Giudice di pace non avrebbe preso in considerazione le circostanze fatte valere dal ricorrente e il provvedimento risulterebbe adottato in violazione del diritto all’unione familiare.
Il secondo motivo oppone la violazione falsa applicazione della dir. 2008/115/CE. Viene osservato che il Giudice di pace era tenuto a dar conto della decisione assunta, avendo riguardo alla mancata concessione di un termine per l’allontanamento volontario.
2. – I due motivi non sono fondati.
Dal corpo del provvedimento impugnato emerge con chiarezza che il permesso di soggiorno dell’istante era scaduto e che il medesimo non era stato rinnovato: evenienza, questa, che la stessa ordinanza precisa essere stata accertata dal Prefetto.
Non si ravvisa, pertanto alcun vizio motivazionale: vizio che oggi assume rilevanza, in sede di legittimità, nei soli casi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, essendo esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
La doglianza avente ad oggetto la mancata considerazione, da parte del Giudice di pace, di alcune circostanze, specificamente inerenti al rapporto del ricorrente coi propri figli – circostanze di cui l’ordinanza impugnata non fa menzione – è poi inammissibile, giacchè non è stata veicolata da una censura vertente sull’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5); censura che andava articolata dando conto non solo del “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, ma anche del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso fosse risultato esistente, del “come” e del “quando” tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, infine, della sua “decisività” (sentenze sopra citate).
Per quel che concerne, invece, il tema della mancata concessione di un termine per la partenza volontaria, è da osservare che esso investe un profilo attinente non alla validità dell’espulsione, bensì all’esecuzione della stessa: si tratta, in particolare, di questione che deve essere fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento emesso dal questore, attesa la separazione, in due fasi distinte, del complessivo procedimento di allontanamento coattivo dello straniero, legittimamente previste dal nostro ordinamento (così Cass. 28 maggio 2018, n. 13240, che osserva come il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria e accompagnamento coattivo alla frontiera va “collocato nella sede sua propria, tipica dell’ordinamento italiano, del giudizio di convalida del decreto di accompagnamento (o trattenimento), sede peraltro anticipata nel tempo, date le rigide scansioni temporali previste dalla legge, rispetto al giudizio di impugnazione del decreto espulsivo”).
In tal senso, non si comprende in cosa consista la denunciata violazione o falsa applicazione della dir. 2008/115/CE: infatti – al di là del rilievo per cui la censura sembrerebbe trascurare che una direttiva comunitaria, almeno di regola, non è suscettibile di diretta applicazione nel diritto italiano, senza cioè che intervenga una disposizione nazionale di recepimento – va osservato che la questione circa il rimpatrio volontario, come si è detto, non interferisce col provvedimento di espulsione, la cui legittimità deve essere dunque riguardata prescindendo da esso.
3. – Il ricorso è respinto.
4. – In mancanza di attività difensiva della parte intimata non vi è materia per la pronuncia sulle spese processuali.
Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020