LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20373/2018 proposto da:
K.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Ferrero, per procura speciale alle liti allegata al ricorso per cassazione, ed elettivamente domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione.
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di VENEZIA n. 2806/2018 pubblicato il 25 maggio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
Che:
1. Con decreto del 25 maggio 2018, il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso proposto da K.M., cittadino proveniente dalla *****, avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria.
2. Il richiedente aveva dedotto di essere fuggito dal suo paese di origine perchè subito dopo l’uccisione di suo fratello, imam del villaggio, si era verificato un conflitto etnico e religioso tra appartenenti alle etnie ***** e che egli, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, aveva ucciso almeno tre persone; che era stato imprigionato dai militari, ma era risuscito a fuggire.
3. Il Tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente era poco credibile, troppo vago e privo di verosimiglianza; la non credibilità e l’insussistenza di una minaccia grave ed individuale per la vita non rendeva sussistente il presupposto per la protezione sussidiaria di cui alle lettere a) e b) e così quella di cui alla lettera c), stante l’assenza di un conflitto armato interno o internazionale; non sussistevano nemmeno situazioni di vulnerabilità della persona e che la documentazione prodotta dal ricorrente non era espressione di una psicopatologia, ma di un mero disagio psichico.
4. K.M. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.
5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
6. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
7. Con ordinanza interlocutoria dell’11 novembre 2019, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo, avuto particolare riguardo al secondo motivo di impugnazione, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione della rilevanza dell’integrazione socio-lavorativa dello straniero nel territorio dello Stato ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, apprezzamento da compiersi anche attraverso una valutazione comparativa rispetto alla situazione esistente nel Paese di origine.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., poichè la Corte non aveva valutato le condizioni di instabilità psichica pur documentate con apposita certificazione medica.
1.1 Il motivo è inammissibile.
Si osserva anzitutto che la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cassazione, 28 febbraio 2018, n. 4699; Cass., 11 ottobre 2016, n. 20382).
Tanto premesso, nel caso di specie, il Tribunale ha preso in esame la certificazione medica che documentava le condizioni di instabilità psichica del richiedente e ha specificamente affermato che la documentazione prodotta era fondata sulla sintomatologia riferita dal ricorrente, che non era espressione di psicopatologia, ma di un mero disagio psichico che poteva essere comune a qualsiasi migrante che affrontava un viaggio pericoloso alla ricerca di migliori condizioni di vita e che il disagio psichico era ricondotto alla tendenza alla polarizzazione somatica e a riferite manifestazioni agitative funzionali come espressione disadattiva legata alla difficoltà occupazionale e al negato riconoscimento dello status di rifugiato.
Il Tribunale ha, quindi, operato una valutazione che non è censurabile quale violazione dell’art. 115 c.p.c..
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia su tutta la domanda ex art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla domanda di protezione umanitaria poichè il Tribunale non aveva operato la complessiva disamina dei dati fattuali, indicati dal ricorrente e specificamente il disturbo post-traumatico da stress, la cura farmacologica antidepressiva e antipsicotica cui era sottoposto e il proficuo percorso di integrazione intrapreso con corsi di lingua, attività di volontariato e relazione della cooperativa ospitante sul proficuo percorso di accoglienza; mentre in relazione alla situazione del Pese d’origine non aveva tenuto conto dell’assenza di un contesto familiare di riferimento in Guinea e della grave, individuale e concreta compromissione del diritto alla salute che deriverebbe dal rimpatrio.
2.1 Il motivo è fondato.
Questa Corte ha affermato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza e che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).
Infine il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass., 12 novembre 2018, n. 28990), nell’ambito delle allegazioni della parte richiedente (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336).
2.2 Con specifico riferimento al diritto alla salute, questa Corte ha incluso il diritto alla salute nell’alveo dei diritti umani della persona ed ha affermato che, anche se la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto che lo straniero non versi in buone condizioni di salute, ove nel Paese di origine tale diritto, in relazione alla patologia allegata e dimostrata, non possa essere garantito, il rientro possa integrare la grave violazione dei diritti umani posta a base delle condizioni di vulnerabilità richieste dalla legge (Cass. 27 novembre 2013, n. 26566).
In particolare, è stato affermato che il richiedente deve allegare in modo specifico le cattive condizioni di salute e l’assenza di condizioni di protezione dell’integrità psico-fisica nel Paese di origine (elemento cui deve seguire l’approfondimento istruttorio officioso del giudice), con l’ulteriore precisazione che la condizione di vulnerabilità riconducibile alla salute può non coincidere con quella che costituisce la ragione dell’allontanamento dal Paese di origine, non potendosi escludere un aggravamento o una manifestazione patologica in precedenza latente, essendo il giudizio ancorato all’attualità (Cass. 7 luglio 2014, n. 15466).
2.3 Tanto premesso, nel caso in esame, manca nella motivazione impugnata la valutazione comparativa tra l’odierna situazione del ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in Guinea, da condurre in ossequio ai principi sopra esposti.
Il Tribunale ha del tutto omesso sia lo scrutinio sull’esistenza di condizioni di vulnerabilità, nei limiti delle allegazioni del richiedente, sia la valutazione della sua vita lavorativa e familiare in Italia, anche in ragione delle dedotte condizioni di salute, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, avuto particolare riguardo al proficuo percorso di integrazione intrapreso con corsi di lingua, attività di volontariato e relazione della cooperativa ospitante sul proficuo percorso di accoglienza e dell’assenza, di un contesto familiare di riferimento in Guinea e della grave, individuale e concreta compromissione del diritto alla salute che deriverebbe dal rimpatrio.
3. In conclusione, la decisione impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020