Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.244 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18226/2017 proposto da:

J.E., elettivamente domiciliato in Roma Via Sardegna 29, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Como, elettivamente domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di COMO, depositata il 27/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – Con ordinanza del 5 luglio 2017 il Giudice di pace di Como respingeva l’opposizione proposta da J.E., nata in *****, avverso il decreto di espulsione emesso, in danno di lui, dal Prefetto della Provincia di Como.

2. – Contro tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione. L’impugnazione si fonda su tre motivi. L’Amministrazione intimata resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 e art. 13, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 9, commi 1 e 5, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18 e la contestuale violazione e mancata applicazione del L. n. 689 del 1981, art. 23,artt. 737 e 738 c.p.c., artt. 6 e 13 CEDU, artt. 24 e 111 Cost.. Assume l’istante che il decreto prefettizio risultava fondarsi su di erroneo presupposto, avendo valorizzato “la sola circostanza del proprio ingresso clandestino, nel territorio nazionale tacendo gli avvenimenti ad esso successivi”. Rileva che il provvedimento non aveva nemmeno specificato quale delle ipotesi espulsive previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, ricorresse nella fattispecie. Richiama, poi, il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 9 e la condizione di inespellibilità riferita alla sua persona, che era stata destinataria della misura di accoglienza presso una struttura alberghiera; evoca, altresì, l’art. 4 del D.Lgs. cit., secondo cui al richiedente la protezione internazionale è rilasciato un permesso di soggiorno valido per sei mesi; rileva, inoltre, che eventuali ritardi nella presentazione della domanda di protezione internazionale erano da addebitarsi all’Amministrazione, che non lo aveva informato dei diritti che gli sarebbero spettati, e richiama, in proposito, il D.Lgs. n. 142 del 2015, artt. 3 e 4.

Il secondo mezzo lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 e art. 13, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 9, commi 1 e 5 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18. Sostiene il ricorrente che il provvedimento di espulsione avrebbe imposto l’adozione della revoca della disposta misura di accoglienza e che la sua posizione era da ascriversi alla categoria dei richiedenti la protezione internazionale.

Col terzo motivo è dedotta la violazione della dir. 2008/115/CE, come recepita nel D.L. n. 89 del 2011, convertito in L. n. 129 del 2011, in riferimento alle modifiche apportate al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5, n. 1 e la contestuale violazione degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; è inoltre invocata la disapplicazione per illegittimità comunitaria del decreto di espulsione adottato. Viene in sintesi rilevato che il Giudice di pace avrebbe omesso di prendere in considerazione una propria deduzione: quella vertente sul rilievo per cui la mancata informativa circa la possibilità, da parte dello stesso J., di richiedere un termine per la partenza volontaria aveva di fatto eliso le garanzie previste per l’esercizio del diritto di difesa e per l’osservanza del principio del contraddittorio.

2. – Il ricorso è infondato.

Lo stesso istante ricorda, a pag. 6 del ricorso per cassazione, che il provvedimento di espulsione era stato emesso in quanto egli era entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non era stato respinto: fattispecie, questa, riconducibile alla previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. a). La sussistenza di tale condizione non è stata in questa sede contestata, mentre va certamente qui ribadito il principio, richiamato dal Giudice di pace, secondo cui quello espulsivo è un provvedimento obbligatorio a carattere vincolato (Cass. 12 novembre 2018, n. 28860; Cass. 22 giugno 2016, n. 12976), sicchè il giudice deve controllare unicamente l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione. Sotto tale profilo l’impugnata ordinanza si sottrae a censura: nè rileva che essa abbia mancato di enunciare specificamente la fattispecie posta a fondamento del provvedimento impugnato, essendo del tutto evidente che il giudice di merito abbia inteso affermare che l’atto era stato legittimamente emanato in presenza della situazione in esso descritta: e del resto, come si desume dalla narrativa dell’istante (pag. 8 del ricorso), nemmeno avanti al Giudice di pace si fece questione dell’insussistenza dell’ingresso irregolare.

A sproposito è poi invocata la disciplina delle misure di prima accoglienza di cui al D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 9: infatti tale disciplina è riservata ai richiedenti la protezione internazionale, laddove come rilevato nell’ordinanza impugnata, il ricorrente odierno aveva espressamente dichiarato, nel foglio-notizie, di non aver presentato alcuna istanza in tal senso: nè, del resto, una affermazione contraria risulta essere contenuta nel ricorso per cassazione. Non conferente si manifesta, in conseguenza, anche il richiamo all’art. 4 del detto D.Lgs., che prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno per richiesta di asilo al richiedente la protezione internazionale: permesso che non è dedotto sia stato mai ottenuto e cui, in ultima analisi, l’attuale istante non aveva diritto, giacchè – come si è visto – lo stesso non ebbe a proporre alcuna domanda nel senso precisato. Stante, infine, l’insussistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 142 del 2015, non si vede per quale ragione il Prefetto non potesse emettere il provvedimento espulsivo: il semplice alloggiamento dell’istante in struttura ricettiva ai fini della prima accoglienza non può ritenersi decisivo, ai fini che qui interessano; e ciò in quanto la circostanza suddetta, come non esclude il pregresso ingresso irregolare nel territorio nazionale non comporta, per l’interessato, l’acquisizione di un titolo che valga ad escluderne l’espellibilità.

E’ invece inammissibile la censura vertente sulla mancata informativa circa i diritti che il ricorrente avrebbe potuto far valere per scongiurare il provvedimento espulsivo: il Giudice di pace non si occupa della questione ad essa sottesa, nè l’istante chiarisce se e come abbia sollevato la stessa in sede di merito (ex plurimis, sul punto: Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).

Per quel che concerne, infine, il tema della mancata concessione di un termine per la partenza volontaria, è da osservare che esso investe un profilo attinente non alla validità dell’espulsione, bensì all’esecuzione della stessa: si tratta, in particolare, di questione che deve essere fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento emesso dal questore, attesa la separazione, in due fasi distinte, del complessivo procedimento di allontanamento coattivo dello straniero, legittimamente previste dal nostro ordinamento (così Cass. 28 maggio 2018, n. 13240, che osserva come il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria e accompagnamento coattivo alla frontiera va “collocato nella sede sua propria, tipica dell’ordinamento italiano, del giudizio di convalida del decreto di accompagnamento (o trattenimento), sede peraltro anticipata nel tempo, date le rigide scansioni temporali previste dalla legge, rispetto al giudizio di impugnazione del decreto espulsivo”).

In tal senso, non assumono evidentemente rilievo i profili attinenti alla disciplina della partenza volontaria e dell’accompagnamento coattivo di cui potrebbe dibattersi avendo riguardo alla dir. 2008/115/CE e alla normativa interna di recepimento: e ciò in quanto le relative questioni assumono rilievo, come si è osservato, nel giudizio di convalida e non in sede di impugnazione del decreto di espulsione.

4. – Segue, in base al principio di soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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