Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.258 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22962/2018 R.G. proposto da:

C.P. & C. Casa di Spedizioni S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Nino Filippo Moriggia;

– ricorrente –

contro

GHIS.FER. di G. e F. s.n.c. in liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 1032/2017, depositata il 7 luglio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2019 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

Rilevato

che:

1. La società C.P. & C. Casa di Spedizioni S.r.l. ricorre con due mezzi avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l’ha condannata a pagare alla GHIS.FER. di G. e F. s.n.c. in liquidazione la somma di Euro 26.459,98, oltre accessori, in relazione a servizi di trasporto.

L’intimata non svolge difese nella presente sede.

2. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia “nullità delle sentenze di primo e secondo grado”.

Lamenta che erroneamente la Corte di merito ha respinto il primo motivo di gravame con il quale si denunciava la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado, dalla quale, in tesi, non sarebbe stato dato evincere come il Tribunale era giunto a riconoscere l’importo di Euro 26.976,31.

Soggiunge che altrettanto priva di motivazione è la sentenza d’appello poichè questa – afferma – “nemmeno affronta le circostanze dedotte in primo grado e che hanno portato alla determinazione della somma da addebitare a C. S.r.l.”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia poi “omesso esame dell’esatta quantificazione dei trasporti, fatto decisivo per il giudizio”.

Premesso che il giudice di primo grado non ha escluso i trasporti effettuati con mezzi per i quali era stata trascritta una targa diversa, accogliendo immotivatamente la versione offerta da Ghis.Fer. s.n.c., ovvero dando per assodato che si trattasse di un mero errore di trascrizione, senza approfondire se i mezzi realmente utilizzati, con le targhe corrette, avessero la prescritta autorizzazione; ciò premesso, lamenta che tale tesi è stata immotivatamente sposata anche dalla Corte d’appello senza che di ciò questa abbia offerto alcuna spiegazione e/o disamina.

Soggiunge che nel corso del primo grado, essa odierna ricorrente aveva richiesto un’integrazione del quesito posto al c.t.u. affinchè venisse verificato presso gli uffici della Motorizzazione Civile l’effettiva presenza dell’autorizzazione per le targhe indicate solo successivamente da Ghis.Fer. S.n.c.. Lamenta quindi che tale richiesta, riproposta in appello, non è stata presa in considerazione dalla Corte territoriale.

3. Il ricorso è inammissibile.

Risulta anzitutto inosservato l’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3 di sommaria esposizione del fatto.

La ricorrente infatti si limita a trascrivere: le conclusioni dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado; quelle della comparsa di costituzione di controparte; il dispositivo della sentenza di primo grado; le conclusioni dell’atto d’appello; il dispositivo della sentenza di secondo grado.

Non vengono invece in alcun modo menzionate e sostanzialmente rimangono oscure anche all’esito della lettura dell’intero ricorso:

– le specifiche ragioni, in fatto e in diritto, della domanda e il contenuto delle difese spiegate dalla convenuta;

– le motivazioni della sentenza di primo grado;

– i motivi d’appello.

Nè tali elementi sono desumibili dalla lettura dei motivi di ricorso, residuando, come detto, nel complesso, grande incertezza su quali fossero le questioni dibattute, specie in punto di fatto, e sul concreto svolgimento del processo.

Il ricorso, dunque, non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003).

Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

4. Il primo motivo si appalesa comunque inammissibile, in parte per difetto di interesse (là dove denuncia nullità della sentenza di primo grado per asserita intrinseca contraddittorietà della relativa motivazione), in altra parte per evidente aspecificità (là dove denuncia analogo vizio con riferimento alla sentenza di secondo grado).

Sotto il primo aspetto è assorbente il rilievo che, quand’anche fosse predicabile un siffatto vizio con riferimento alla sentenza di primo gradoilo stesso non avrebbe potuto condurre a una decisione in rito in grado d’appello, non essendo esso ricompreso tra quelli che comportano la rimessione della causa al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c..

Quanto al secondo, appare evidente la genericità della censura, non essendo in alcun modo specificato il contenuto dei motivi di gravame, nè quale sia la corrispondente parte o affermazione della sentenza d’appello che, nell’esaminarli, incorra in insanabile contraddizione.

5. Il vizio di omesso esame, di cui al secondo motivo, non è poi evidentemente dedotto nei termini in cui la giurisprudenza di questa Corte lo dice deducibile (Cass. Sez. U n. 8053 del 2014): ciò di cui si lamenta l’omesso esame non è invero un fatto storico, ma argomenti difensivi ovvero, più precisamente, richieste istruttorie meramente esplorative.

Varrà in proposito rammentare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/204, nn. 8053 e 8054).

Nella specie, le censure mancano di evidenziare un “fatto storico” e decisivo, il cui esame sia stato omesso, poichè non può ricondursi, di per sè, alla nozione di “fatto storico” (principale o secondario), lamentandosi piuttosto, in sostanza, la sola mancata esplorazione di temi istruttori, attraverso – a quanto è dato capire – richieste di informative alla p.a. o consulenza tecnica a contenuto, però, appunto, meramente esplorativo: ben al di là dunque dei presupposti e dei limiti dell’invocato vizio cassatorio.

6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Non avendo l’intimata svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese. L’irricevibile qualunque atto pervenuto dopo la data dell’adunanza l’istituto dell’interruzione sul giudizio di leggitimità.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 9 gennaio 2020

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