Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.273 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26279/2018 proposto da:

D.S., S.S., in qualità di genitori del minore D.S.D.B., elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e rappresentati e difesi dall’avvocato Laura Cargnino giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.L., nella qualità di Curatore Speciale del minore D.S.D.B., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare n. 71, presso lo studio dell’avvocato Antonella Fiorita, rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaella Villa, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Il Procuratore Generale presso la Corte Appello di Torino; il Tutore provvisorio del minore, D.S.D.B.,

– intimati –

avverso la sentenza n. 24/2018 della Corte di appello di Torino, sezione per i minorenni, depositata il 20/07/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia nella Camera di consiglio del 3/10/2019.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino, sezione per i minorenni, con la sentenza in epigrafe indicata, nel respingere l’appello proposto da D.S. e S.S., genitori esercenti la responsabilità sul figlio, ha confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore D.S.D.B., riformando altresì le modalità di incontro tra genitori e figlio secondo modalità protette.

D.S. e S.S. ricorrono per la cassazione dell’indicata sentenza con quattro motivi a cui resiste con controricorso il curatore speciale del minore.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla richiesta di affidamento etero-familiare del minore, nato a *****, con mantenimento dei rapporti con la madre, nei termini indicati nella disposta consulenza tecnica di ufficio.

La richiesta dell’affido etero-familiare sarebbe valsa a garantire una collocazione temporanea al minore in attesa del compimento di un percorso genitoriale della madre diretto al recupero delle correlate capacità e finalizzato a garantire al primo, in futuro, stabilità. Il malessere rilevato dal nominato consulente di ufficio quanto alla persona della madre avrebbe richiesto un approfondimento per verificare se costei, che era stata presa in carico dal Sert e stava avviando un percorso terapeutico diretto a risolvere il proprio stato di tossicodipendenza, a mezzo di supporto psicologico, avrebbe potuto, in tempi ragionevoli per il minore, recuperare le proprie capacità. Il consulente d’ufficio aveva concluso per l’adozione del minore in quanto soluzione diretta a garantirgli una maggiore stabilità nelle relazioni ma, tanto, solo se il rapporto con la madre fosse stato mantenuto attraverso incontri stabili nel tempo. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata quindi contraddittoria là dove aveva invece disposto l’interruzione dei rapporti madre-figlio ad adozione avvenuta.

La Corte di appello avrebbe dovuto motivare anche sull’affido etero-familiare indicando le ragioni per le quali non lo avrebbe ritenuto tutelante, dovendo vagliare, nella natura eccezionale della misura dell’adozione, misure anche di carattere assistenziale per favorire il ricongiungimento tra il figlio con il nucleo familiare di origine. La seria disponibilità dei parenti a prendersi cura del minore, se concretamente accertata, sarebbe valsa ad escludere lo stato di abbandono. Il figlio, profondamente legato alla madre, avrebbe vissuto in modo superficiale ogni altro legame e con sofferenza per l’allontanamento dalle figure genitoriali dalle quali si sarebbe sentito abbandonato.

2. Con il secondo motivo censure identiche a quelle contenute nel primo motivo vengono svolte rispetto alla risposta fornita dai giudici di appello alla richiesta di affidamento del padre o di mantenimento dei rapporti figlio-genitori.

Il ricorrente non avrebbe riportato ulteriori condanne e dal certificato del casellario depositato in udienza dalla Procura generale presso la Corte di appello di Torino sarebbero solo emerse pregresse condanne, con i correlati provvedimenti di cumulo, ed in cui si dava atto della riduzione della pena goduta dal ricorrente per maturata liberazione anticipata.

Nessuna indagine era stata effettuata per vagliare la disponibilità della sorella e di un’amica del padre per coadiuvarlo nella gestione del figlio; sarebbe mancata la valutazione, pure complessa, della figura del minore nel suo rapporto con il padre, rapporto che era stato deprezzato dal consulente di ufficio all’esito di un unico incontro nonostante l’atteggiamento di reciproca affettività rilevato tra genitore e figlio.

Il ricorrente aveva modificato il proprio stile di vita e sarebbe stato consapevole delle condizioni del minore, dovendo l’insufficienza di ogni sua espressione sul tema ricondursi, piuttosto, ad una formazione elementare; egli aveva richiesto ed ottenuto un contratto a tempo indeterminato per garantire al figlio stabilità negli orari ed aveva preso in locazione un diverso appartamento per venire incontro alle esigenze del primo ed ottenendo il rinnovo del permesso di contro a quanto ritenuto dal consulente tecnico di ufficio.

3. Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 12.

La Corte di appello non avrebbe tenuto in nessun conto la disponibilità della sorella del padre a coadiuvare il fratello economicamente e in termini di aiuto affettivo nella crescita del nipote, relegando il primo all’aspetto organizzativo e non avrebbe proceduto a convocare quei parenti.

4. Con il quarto motivo si fa valere omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine allo stato di abbandono del minore.

Nelle impugnate conclusioni della Corte di merito lo stato psicofisico della madre avrebbe determinato l’abbandono del figlio, ma tanto sarebbe andato in collisione con l’indicazione, puntuale, contenuta nella consulenza là dove si subordinava il ricorso all’adozione al mantenimento dei rapporti del figlio con la madre.

La consulenza, inoltre, risalendo a due anni alla proposizione dell’appello, nulla avrebbe detto sulla permanenza dello stato di abbandono del minore che sarebbe stato ritenuto per implicito con riguardo al giudizio negativo sulle sue capacità genitoriali ed al suo stile di vita, estremi non indicativi della irreversibilità della condizione.

5. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 8 e 12, come modificato dalla L. n. 149 del 2001.

La dichiarazione di adottabilità cui erano pervenuti i giudici di merito non sarebbe stata esito di una accertata situazione di abbandono del minore, intesa come privazione di assistenza morale e materiale in ragione di fatti gravi e specificamente indicati. I giudici non avrebbero tenuto conto della gradualità degli strumenti e della residualità del ricorso all’adozione a tutela della prioritaria esigenza del figlio di vivere con i genitori biologici.

6. Il curatore speciale costituitosi ha concluso per l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza dell’avverso mezzo.

7. I motivi si prestano a trattazione congiunta nei termini di seguito indicati per ragioni destinate a toccare ora la tecnica stessa di stesura dei primi ed ora le affermazioni in diritto di cui la critica proposta si vuole fare portatrice.

8. Sull’indicata premessa sono inammissibili i motivi primo, secondo e quarto denunciandosi per gli stessi, secondo la titolazione adottata, l'”omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” della sentenza impugnata per una dizione venuta meno all’esito della riforma del vizio di motivazione che, nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, ex art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis alla specie, resta ormai denunciabile in sede di legittimità quale “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Al di là dei contenuti dell’adottata titolazione dei motivi, vero è che il carattere assolutamente discorsivo della critica difensiva non vale a segnalare i fatti decisivi mancati nella motivazione, ma solo argomentazioni di contrasto della decisione che si vorrebbero, in preferenza, portatrici di una migliore comprensione delle condotte delle parti e delle loro responsabilità a definizione di un percorso dei ricorrenti di recupero della capacità genitoriale, in atto o finanche definito.

Secondo piano e ragionevole indirizzo di legittimità dal quale non si ha ragione alcuna di discostarsi, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo ha ad oggetto un vizio specifico, denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, che deve intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non ricomprendente, come tale, questioni o argomentazioni; sono, pertanto, inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 06/09/2019 n. 22397; Cass. 18/10/2018 n. 26305; Cass. 14/06/2017 n. 14802).

La critica difensiva si presta ad una ulteriore valutazione di inammissibilità denunciandosi per la stessa un malgoverno degli esiti istruttori per stretto confronto, non condiviso, con gli esiti degli accertamenti tecnici disposti in corso di giudizio e fatti propri dalla Corte di merito nella impugnata sentenza che il fatto storico comunque sotteso a quegli apprezzamenti ha scrutinato.

I motivi sulla omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione adottata della Corte di appello valgono in realtà a prospettare a questa Corte di legittimità una alternativa lettura del fatto per valorizzazione di taluni elementi di prova (il certificato penale prodotto dal Procuratore generale presso la Corte di appello) che oltre a dover essere affidati a critica di altro contenuto – così per il travisamento della prima – non si fanno neppure carico di spiegare della prova la decisività ai fini di giudizio.

La Corte di appello ha infatti scrutinato il tema della capacità genitoriale con richiamo ad evidenze fattuali, quali la storia, ancora in atto, di tossicodipendenza ed il disturbo borderline della madre del minore ed il negativo ruolo assolto dai nonni materni della prima nel recupero delle capacità psicosociali e, quanto al padre del minore, la sua storia giudiziaria ancora non chiusa e la sua personalità e formazione nella evidenziata complessità dei profili psicologici del minore, nato nel 2009, e nella mancanza di figure parentali vicarianti.

La centralità del ruolo della madre pure richiamato in sentenza con riferimento alle conclusioni sul punto raggiunte dal nominato c.t.u. nella parte in cui i giudici di appello ripristinano le frequentazioni della prima con il figlio, resta pur sempre argomento inserito all’interno della scelta di adozione nel valore strumentale di quelle modalità di sostenere il minore nei tempi necessari e non preventivabili all’individuazione della nuova risorsa familiare.

E’ pertanto insussistente la dedotta contraddittorietà dell’indicato passaggio che per sortire l’effetto di invalidazione dell’impugnata sentenza avrebbe dovuto spingersi fino a far valere una incomprensione della prima per non vincibile inconciliabilità delle sue affermazioni secondo percorsi di critica che avrebbero dovuto, ammissibilmente, essere fondati sulla diversa violazione della norma processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (ex pluribus: Cass. 25/09/2018 n. 22598; Cass. 12/10/2017 n. 23940).

Il giudizio di merito, vario ed articolato negli adottati passaggi, viene attinto da critica per la proposizione di differenti esegesi dei dati che il primo compongono, in ragione di un frazionamento del dato fattuale e di prova che sortisce solo l’effetto di proporre una censura inefficace per una alternativa lettura, estranea ai contenuti del dedotto vizio.

9. Sono infondati i motivi terzo e quinto con cui si fa, rispettivamente, questione circa la non valorizzata disponibilità della sorella e del cognato del padre e degli zii di questi a coadiuvare il proprio congiunto nell’opera di accudimento del minore e lo stato di abbandono del minore.

9.1. L’omessa convocazione dei parenti del padre, con denunciata violazione della L. n. 184 del 1983, art. 12, a definizione del quadro di abbandono del minore non passa attraverso la deduzione in ricorso, a premessa del denunciato inadempimento, del mantenimento di rapporti significativi dei primi con il minore.

La motivazione impugnata là dove esclude l’adeguatezza di quell’apporto parentale, in quanto definito come meramente organizzativo, a realizzare la cura del minore sfugge alla proposta critica, in cui non viene dedotta la sussistenza del mantenimento dei rapporti significativi tra zii e nipoti e quindi la capacità dei primi a rappresentare figure di riferimento per il secondo.

Lo stato di abbandono dei minori non può essere escluso in conseguenza della disponibilità a prendersi cura di loro, manifestata da parenti entro il quarto grado, quando non sussistano rapporti significativi pregressi tra loro ed i bambini, e neppure possano individuarsi potenzialità di recupero dei rapporti, non traumatiche per i minori, in tempi compatibili con lo sviluppo equilibrato della loro personalità (Cass. 11/04/2018 n. 9021; Cass. 17/07/2009 n. 16796).

In tema di adozione, la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 12, nell’indicare le categorie di persone che devono essere sentite nel procedimento per la dichiarazione di adottabilità, opera un riferimento ai parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore, poichè il carattere vicariante della posizione dei congiunti diversi dai genitori ne comporta il coinvolgimento nel procedimento solo nei limiti in cui essi risultino attualmente titolari di rapporti affettivi forti e durevoli, tali, cioè, da consentire loro di offrire elementi essenziali per la valutazione dell’interesse del minore e, per altro aspetto, di prospettare soluzioni dirette ad ovviare allo stato di abbandono nell’ambito della famiglia di origine (Cass. 12/04/2006 n. 8526).

Fermi gli indicati e condivisi principi, è destinato a valere altresì nella fattispecie in esame l’ulteriore rilievo che quel dato materialistico comportamentale, elemento integrativo della fattispecie normativa, è destinato a spiegare influenza sul piano della stessa legittimazione dei parenti ad essere convocati nel giudizio sull’accertamento dell’adottabilità del minore e che il relativo accertamento rappresenta un “prius” rispetto al compimento delle formalità, previste dalla legge, da svolgersi attraverso le indagini di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 10 (Cass. 17/03/1998 n. 2863), con la precisazione che l’ufficiosità degli accertamenti non può prescindere dall’allegazione della parte circa la sussistenza di quei rapporti.

Sul punto i ricorrenti non provvedono a denunciare in ricorso di aver allegato dinanzi ai giudici di merito, con precisa indicazione in questa sede dell’atto in cui tanto è avvenuto, l’evidenza del rapporto significativo, integrativa della fattispecie di legge.

Il motivo, pertanto oltre che infondato presta in tal modo profili di inammissibilità perchè privo di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

9.2. L’ulteriore motivo sullo stato di abbandono e la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 8 e 12, come modificata dalla L. n. 149 del 2001, è infondato.

La prioritaria esigenza del minore di vivere con la famiglia di origine con la conseguente esigenza che anomalie non gravi del carattere dei genitori, comprese condizioni patologiche di natura mentale, che non compromettano la capacità di allevare ed educare i figli senza provocare loro danni irreversibili, non integrano lo stato di adottabilità, è regola interpretativa del dato di legge secondo giurisprudenza di legittimità (tra le altre: Cass. 14/04/2016 n. 7391) che ha trovato piena applicazione nell’impugnata sentenza.

La Corte di appello, all’esito di un ragionato e pieno percorso motivatorio ed in adesione alle conclusioni raggiunte dal primo giudice, ha infatti formulato il giudizio di adottabilità del minore in termini di extrema ratio.

10. In via conclusiva il ricorso, infondato, va rigettato e le spese di lite, nella natura del giudizio, compensate.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, vanno omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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