LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 27620/2018 proposto da:
L.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Gioacchino Belli, 36, presso lo studio dell’avvocato Luca Pardini e rappresentata e difesa dall’avvocato Renzo Beccari giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.D.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Mercalli, 11, presso lo studio dell’avvocato Emanuele Curti, rappresentato e difeso dall’avvocato Flavio Mercatanti, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1590/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del 02/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/10/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, Alberto Cardino, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Lucca accoglieva la domanda di C.D.A. di accertamento della paternità dei minori, L.D.C. e L.F.C., gemelli nati a *****, e respingeva quella di attribuzione ai minori del cognome paterno in aggiunta a quello materno, ai sensi dell’art. 262 c.c., stimando il pregiudizio che sarebbe venuto ai figli dall’associazione del cognome paterno ad un episodio di spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti in cui il genitore era rimasto coinvolto nell’anno 2016 e, quanto alla tutela dell’identità personale dei primi, la circostanza che da sempre i minori erano stati individuati dal solo cognome della madre, che per prima li aveva riconosciuti.
Il Tribunale determinava altresì le condizioni dell’affido condiviso dei minori e quelle di mantenimento.
Su impugnativa del padre, la Corte di appello di Firenze con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma di quella di primo grado, accoglieva la domanda di aggiunta del patronimico al cognome materno; in tal senso la Corte gigliata motivava sia dal venir meno delle ragioni di pregiudizio, in seguito al tempo intercorso dai fatti attribuiti al genitore, sia dalla circostanza che il solo cognome materno non avrebbe definito l’identità personale dei due figli che, dall’età di almeno tre anni, erano abituati a considerare l’appellante come loro padre.
I giudici di secondo grado rigettavano l’appello incidentale della madre di rivalutazione e modifica delle condizioni di affidamento, con trasformazione della frequentazione del padre in forme “protette” in ragione degli episodi delittuosi in cui egli rimasto coinvolto, ritenendo questi ultimi irrilevanti e non provati, e di rideterminazione delle modalità di corresponsione delle spese straordinarie per i figli, a fronte dei continui inadempimenti del padre.
Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza L.L. con sette motivi, illustrati da memoria, ai quali resiste con controricorso C.D.A..
Il rappresentante della Procura Generale della Corte di cassazione ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’impugnata sentenza, avente ad oggetto l’aggiunta del patronimico, e del procedimento, per violazione dell’art. 78 c.p.c., del principio del contraddittorio e del diritto di difesa nonchè delle Convenzioni Internazionali di New York del 20.11.1989, ratificata in Italia con L. n. 176 del 1991 e di Strasburgo del 25.1.1996, ratificata in Italia con L. n. 77 del 2008.
Ai minori, all’epoca dell’appello di nove anni di età, parti sostanziali e processuali del giudizio, non era stato nominato un curatore speciale e tanto nonostante la posizione antitetica tra loro assunta in lite dai genitori e la conseguente esistenza di un potenziale conflitto di interessi.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza, nella parte avente ad oggetto l’aggiunta del patronimico e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa nonchè delle Convenzioni Internazionali di New York del 20.11.1989, ratificata in Italia con L. n. 176 del 1991 e di quella di Strasburgo del 25.1.1996, ratificata in Italia con L. n. 77 del 2008.
Non si sarebbe proceduto ad ascoltare i minori, di nove anni di età e capaci di discernimento, e tanto anche in forma mediata o tramite l’ammissione ex officio di una c.t.u..
3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere, sempre in ordine ai capi della sentenza aventi ad oggetto l’aggiunta del patronimico, la violazione dell’art. 262 c.c., come interpretato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Non sarebbe stato dato rilievo al possibile pregiudizio dei minori per i fatti delittuosi commessi dal padre nel 2016, nelle deleterie loro ripercussioni mediatiche, e, ancora, alla consapevolezza dei figli, dopo tanti anni, di essere individuati dal solo cognome materno.
4. Con il quarto motivo, formulato rispetto al medesimo capo di sentenza, si deduce la nullità processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per l’omessa ed illogica valutazione e ponderazione della persistenza dei gravi pregiudizi per i due figli minori e della necessità di preservare il solo cognome materno, divenuto ormai loro segno distintivo, da anni.
5. Con il quinto motivo si fa valere, ancora in ordine al medesimo capo di sentenza, la violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..
I giudici di appello avevano ritenuto, in forza di mera scienza privata, che il clamore mediatico dovuto al coinvolgimento del padre in una vicenda di spaccio e le possibili ricadute psicologiche e sociali sui figli fossero esauriti dopo un anno dalla sentenza di primo grado.
Allo stesso modo si era escluso, nella valutazione totalmente discrezionale del giudicante, senza neppure ascoltare i minori e disporre consulenza tecnica di ufficio, che il cognome materno potesse essere tratto identificativo da tutelare, con esclusione di aggiunte improvvise.
6. Con il sesto motivo ed il settimo motivo la ricorrente denuncia, in ordine al capo della sentenza relativo alla modifica delle modalità di frequentazione del padre con i minori, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti ovverosia il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e, ancora, la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, là dove i giudici di appello avevano ritenuto che l’esecuzione delle precedenti modalità di visita ne avrebbe consigliato il mantenimento nonostante l’episodio di spaccio.
7. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Nel procedimento disciplinato dall’art. 250 c.c., comma 4, con riguardo al riconoscimento del figlio naturale che non abbia compiuto i sedici anni, il figlio non assume la qualità di parte, per cui non è necessaria la nomina di un curatore speciale (tra le altre: Cass. 11/01/2006 n. 395; Cass. 05/06/2009 n. 12984).
Fermo l’indicato principio, in ogni caso, la nomina di un curatore speciale è comunque riservata al prudente apprezzamento del giudice sull’esistenza di un concreto conflitto di interessi con il genitore che ha già riconosciuto il minore.
La nomina del curatore speciale nel procedimento instaurato ai sensi dell’art. 250 c.c., comma 4, non risponde ad automatismi ma va effettuata soltanto quando il giudice, nel suo prudente apprezzamento e previa adeguata valutazione della fattispecie in esame, lo ritenga opportuno in considerazione del profilarsi, in concreto, di una situazione di conflitto di interessi (Cass. 31/10/2013, n. 24556, p. 7 motivazione; Corte Cost. n. 83 del 2011, par. 5 del “Considerato in diritto”).
8. Il secondo motivo di ricorso presente nei sui contenuti profili di infondatezza e finanche di inammissibilità.
La valutazione della capacità di discernimento, che è presupposto dell’obbligo di ascolto del minore infradodicenne, costituisce un apprezzarnento discrezionale del giudice, che non ha l’obbligo di motivare sul punto, salvo specifica e circostanziata istanza di parte che abbia indicato gli argomenti ed i temi di approfondimento ai sensi dell’art. 336-bis c.c., comma 2, su cui ritenga necessario l’ascolto del minore (Cass.).
In applicazione dell’indicato principio si ha che la ricorrente, la cui censura si lascia quindi apprezzare come priva dei caratteri dell’autosufficienza, non ha dedotto dinanzi a questa Corte di legittimità di aver presentato una siffatta istanza, neppure in grado di appello (Cass. 07/03/2017 n. 5676).
Il procedimento è comunque iniziato quando i figli minori non avevano ancora compiuto i quattro anni di età e siffatta circostanza ha determinato i giudici di merito a soprassedere al loro ascolto (Cass. 31/10/2013 n. 24556).
9. Il terzo motivo è infondato.
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte di legittimità per il quale l’assunzione del cognome paterno sostituito o aggiunto a quello materno non risponde ad automatismo.
Nel presupposto che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta, esso è rimesso al prudente apprezzamento del giudice che deve avere riguardo al modo più conveniente di individuazione del minore, in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo, anche a tutela dell’eguaglianza fra i genitori, da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome (Cass. 26/05/2006 n. 12641; Cass. 05/06/2009 n. 12983).
La valutazione, ampiamente discrezionale, attiene al giudizio di merito e non è, come tale, sindacabile in sede di legittimità, in cui, peraltro, non risulta neppure denunciata sub specie del vizio motivazionale, invocabile nella fattispecie in esame, ratione temporis, nei termini di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
10. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono inammissibili perchè finalizzati ad una diretta rivisitazione del merito, adeguatamente motivata. La Corte gigliata ha, con apprezzamento insindacabile in questa sede, valutato l’incidenza pregiudizievole, che ha escluso, per i minori ad essere associati, in un ambiente sociale ristretto, qual è quello di residenza, alla figura paterna in quanto attinta da arresto in flagranza per un episodio di detenzione di sostanze stupefacenti, congruamente motivando dall’intercorso passaggio del tempo dal fatto e dalla sua incidenza sul clamore mediatico seguito, nell’immediatezza, alla vicenda.
La denuncia di mancata ammissione di c.t.u. è inammissibile; è mezzo istruttorio – e non prova vera e propria – sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, nel cui potere discrezionale rientra la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario, potendo motivare l’eventuale diniego anche implicitamente, con argomentazioni desumibili dal conteso generale e dal quadro probatorio unitariamente considerato (tra le altre, da ultimo: Cass. 09/10/2019 n. 25253; Cass. 21/04/2010 n. 9461).
11. Il sesto motivo è inammissibile.
La Corte di merito ha valutato nel loro complesso gli episodi vissuti dal padre dei minori per poi ritenerne l’esaurimento ed il superamento, in tal modo concludendo per il mantenimento delle pregresse modalità di visita per una motivazione che si apprezza come insindacabile in questa sede.
12. Il settimo motivo, con cui pure si denuncia la nullità dell’impugnata sentenza per motivazione mancante, si traduce, in effetti, in una alternativa lettura dei fatti e quindi in un sindacato diretto del merito, inammissibile in sede di legittimità.
12. Conclusivamente il ricorso è infondato e va rigettato e la ricorrente condannata alle spese di lite secondo soccombenza e liquidazione indicata in dispositivo.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in favore di C.D.A. in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L1. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
Ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, vanno omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020