LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3701/2018 proposto da:
L.F., L.A., elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Alberto Bordone del Foro di Brescia agli indirizzi pec e fax dello studio;
– ricorrenti –
contro
Procuratore Generale Della Repubblica C/o Cda Brescia, Procuratore Generale Repubblica Presso Corte Suprema Cassazione;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 10/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/10/2019 da Dott. MELONI MARINA.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Brescia con decreto in data 10/11/2017, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale dei minorenni di Brescia in ordine alle istanze avanzate D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, da L.F. e L.A. genitori di due figlie minori, volte ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione alla permanenza sul territorio nazionale per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico delle figlie minori.
I ricorrenti, che nel frattempo hanno avuto una terza figlia nata a *****, avevano riferito al Tribunale dei Minorenni di Brescia e poi alla Corte di Appello che le figlie minori, nate rispettivamente nel ***** e nel *****, erano giunte in Italia nel ***** e vivevano con loro genitori frequentando le scuole italiane essendo pienamente integrate nel territorio mentre, in caso di rimpatrio, sarebbero andate incontro ad una situazione di precarietà dannosa per il loro equilibrio psicofisico.
Avverso il decreto emesso dalla Corte di Appello di Brescia i ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di ricorso i ricorrenti L.F. e L.A. chiedono la cassazione del provvedimento della Corte di Appello di Brescia che ha confermato il decreto emesso D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, dal Tribunale dei Minorenni di Brescia esponendo che l’allontanamento delle figlie dall’Italia ed il loro rimpatrio nel paese di origine avrebbe causato alle stesse minori un danno grave e profondo disagio psicofisico essendo ormai le figlie integrate in Italia.
Occorre premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1 -, Ordinanza n. 4197 del 21/02/2018) “nel procedimento avente ad oggetto l’autorizzazione temporanea alla permanenza in Italia del genitore del minore, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, non può essere interpretato in senso restrittivo, tutelando esso il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori anche in deroga alle altre disposizioni del decreto, sicchè la norma non pretende la ricorrenza di situazioni eccezionali o necessariamente collegate alla sua salute, ma comprende qualsiasi danno grave che potrebbe subire il minore, sulla base di un giudizio prognostico circa le conseguenze di un peggioramento delle sue condizioni di vita con incidenza sulla sua personalità, cui egli sarebbe esposto a causa dell’allontanamento dei genitori o dello sradicamento dall’ambiente in cui è nato e vissuto, qualora segua il genitore espulso nel luogo di destinazione; ne consegue che le situazioni che possono integrare i “gravi motivi” di cui al citato art. 31, non si prestano ad essere catalogate o standardizzate, spettando al giudice di merito valutare le circostanze del caso concreto con particolare attenzione, oltre che alle esigenze di cure mediche, all’età del minore, che assume un rilievo presuntivo decrescente con l’aumentare della stessa, e al radicamento nel territorio italiano, il cui rilievo presuntivo è, invece, crescente con l’aumentare dell’età, in considerazione della prioritaria esigenza di stabilità affettiva nel delicato periodo di crescita”. Nella specie, il decreto impugnato aveva interpretato i “gravi motivi” con riferimento ad esigenze determinate, specifiche e temporanee del minore, ritenute insussistenti, svalutando il rapporto affettivo con il padre ricorrente e ipotizzando la strumentalizzazione dell’interesse del minore per aggirare le regole sul soggiorno degli stranieri, profilo astratto e subordinato, secondo la S.C., rispetto alla tutela del suo interesse).
Recentemente sì sono espresse sul punto le Sezioni Unite della Corte con Sez. U -, Sentenza n. 15750 del 12/06/2019 che in merito al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, ed al bilanciamento tra le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e l’interesse del minore hanno affermato: “In tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto”.
Ciò premesso ritiene il Collegio che la valutazione operata dalla Corte d’Appello sia adeguata in quanto completa ed esaustiva e debba essere confermata, avendo la Corte di merito preso in esame la situazione oggettiva del nucleo familiare, l’assenza di attività lavorativa di entrambi i genitori e la limitata permanenza delle minori in Italia a soli quattro anni (inizio 2014-fine 2017) dove peraltro sono giunte all’età rispettivamente di anni dieci e dodici.
La Corte di merito ha ritenuto con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logici che il disagio che le minori affronterebbero con il loro rimpatrio è modesto e non particolarmente grave, consistendo sostanzialmente nelle difficoltà connesse con l’inserimento in una nuova scuola senza peraltro alcun problema con la lingua del paese d’origine dove le minori hanno vissuto fino all’età di dieci anni.
Il ricorso deve pertanto essere respinto. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.
Non ricorrono i presupposti processuali ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
PQM
Rigetta il ricorso. Non ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Dispone che, in caso di diffusione ed utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nel provvedimento ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 25 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020