Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28 del 03/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26552/2015 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (già FERROVIE DELLO STATO S.P.A.

Società di Trasporti e Servizi per Azioni), C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Z.S.M.J., S.M., ST.SA., Z.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSTANTINO CORVISIERI 54, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO CHIALASTRI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2463/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/05/2015, R.G.N. 7941/2012.

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Roma aveva condannato la Cooperativa Servizi Integrati a r.l. al pagamento, in favore degli attuali controricorrenti, di somme rivendicate a titolo di differenze retributive varie ed aveva respinto la domanda di condanna in solido proposta, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, nei confronti di R.F.I. s.p.a., committente dell’appalto;

2. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 14.5.2015, riteneva fondato l’appello dei lavoratori, rilevando che il testo del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, era nel senso che la responsabilità solidale del committente riguardava tutto il credito retributivo, a differenza di quanto previsto dall’art. 1676 c.c. e che, tuttavia, sotto il profilo meramente oggettivo, l’oggetto della garanzia di cui all’art. 29, era limitato ai trattamenti retributivi, con esclusione della somme non dovute a tale titolo, da intendersi in senso lato, con riferimento anche a mensilità aggiuntive, compensi per straordinario, t.f.r., dovendo la solidarietà della committente essere limitata alla quota di trattamento maturata in conseguenza dell’esecuzione dell’appalto e non ritenersi estesa ad eventuali quote maturate in virtù di prestazioni rese al di fuori dell’appalto. Dal punto di vista soggettivo, la norma di cui all’art. 29 D.Lgs. cit., doveva trovare applicazione alla società committente, essendo del tutto irrilevante che R.F.I. s.p.a. fosse soggetta all’applicazione del codice degli appalti pubblici. Essendo RFI una s.p.a., al di là della soggezione a varie forme di controllo ed indirizzo pubblici, la stessa era assoggettata integralmente alla normativa di diritto privato e come tale le si applicava, secondo la Corte territoriale, la normativa invocata dai lavoratori;

3. la stessa Corte escludeva, poi, i profili di incostituzionalità dedotti con riguardo all’eccesso di delega prefigurata in riferimento all’art. 76 Cost., sul rilievo che l’art. 29, comma 2, D.Lgs. citato, non era il frutto dell’originaria legge delegata, ma aveva subito numerose modifiche legislative non in attuazione della Legge Delega e, da ultimo, era stato integralmente sostituito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 911, legge ordinaria non vincolata al rispetto di alcuna precedente Legge Delega;

4. l’appello era accolto anche con riguardo alla posizione di Z.S., nei cui riguardi era ritenuta erronea l’esclusione dell’inadempimento della società all’obbligo di corrispondere una tantum ed aumento contrattuale, non essendo stata provata alcuna dichiarazione di accettazione da parte della predetta con rinuncia alla proposizione di ulteriori azioni aventi ad oggetto il medesimo titolo;

5. di tale decisione domanda la cassazione Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati in memoria, cui resistono, con controricorso, i lavoratori;

6. la società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, R.F.I. denunzia omessa pronuncia in riferimento all’eccezione di inesistenza di qualsivoglia rapporto contrattuale tra essa committente e la Cooperativa Servizi Integrati a r.l., conseguente inapplicabilità delle tutele invocate ex adverso, violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, sostenendo che, nella memoria in appello, era stata sollevata eccezione al riguardo e che la sentenza di secondo grado era priva di ogni riferimento a detta censura.

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione, errata o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, art. 1676 c.c., D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che la disciplina di cui all’art. 29 D.Lgs. cit., sia stata erroneamente ritenuta applicabile, considerate la natura pubblica del soggetto committente e la procedura di gara con la quale si era conferito l’appalto, ed adducendo che tale natura comporti l’esclusione della società dall’ambito applicativo della disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, a prescindere dalla qualità in cui la stessa agisca;

3. con il terzo motivo, ci si duole nuovamente della violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26, sotto il profilo dell’incompatibilità logico giuridica della disciplina applicata con la sottoposizione di RFI e del contratto in esame al codice degli appalti pubblici disciplinati dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163;

4. con il quarto motivo, riferito alla allegazione probatoria in merito al riconoscimento, in capo alla Z., del diritto al pagamento dell’una tantum e degli aumenti contrattuali, si ascrive alla decisione violazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendosi che l’assenza di contestazione da parte della lavoratrice di circostanza allegata da R.F.I. doveva condurre a ritenere la stessa come ammessa;

5. il primo motivo rivela evidenti profili di inammissiblità: è stato, invero, reiteratamente affermato da questa Corte che “anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (cfr. Cass. 20.7.2012 n. 12664, Cass. 13.3.2018 n. 6014, che, in applicazione di questo principio, ha affermato che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la domanda principale ed omesso di pronunciarsi su quella subordinata, ha comunque l’onere di riprodurre gli atti e documenti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione e di precisare l’esatta collocazione dei documenti nel fascicolo d’ufficio al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità); nella specie non risultano trascritti nel motivo i termini dell’eccezione formulata in appello dalla società per la parte di interesse;

6. quanto al secondo e terzo motivo – che vanno trattati congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto -, questa Corte ha costantemente ribadito, con recenti pronunce (Cass. 24 maggio 2016, n. 10731; Cass. 6 aprile 2017 n. 8955; 20 luglio 2018, n. 19339; Cass. 22 gennaio 2019, n. 1619), alla cui più diffusa motivazione si rinvia, che il divieto posto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, che esclude l’applicabilità alle pubbliche amministrazioni della responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2, del citato Decreto, ulteriormente specificato dal D.L. n. 76 del 2013, art. 9 (conv., con modif., dalla L. n. 99 del 2013), non trova applicazione nei confronti di Trenitalia s.p.a., cui pure si applica il codice dei contratti pubblici quale “ente aggiudicatore”. E ciò sull’essenziale rilievo della regolazione da parte del D.Lgs. n. 276 del 2003, della materia dell’occupazione e del mercato del lavoro e della sua operatività sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, operando, invece, il D.Lgs. n. 163 del 2006, sul piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto: ciò si traduce nella piena compatibilità reciproca di tali discipline, in quanto incidenti su piani differenti (da ultimo: Cass. 13 giugno 2019, n. 15961);

6.1. va, dunque, assicurata continuità al principio di diritto, già enunciato da questa Corte (Cass. 3/5/2017, n. 10777, Cassazione civile, sez. lav., 24/05/2016, n. 10731), secondo cui in materia di appalti pubblici la responsabilità solidale prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 – esclusa per le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, è, invece, applicabile ai soggetti privati (nella specie RETE FERROVIARIA ITALIANA s.p.a., società partecipata pubblica): nei citati precedenti si è evidenziato come per i soggetti pubblici la esclusione della applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, discenda unicamente dalla previsione contenuta nell’art. 1 dello stesso D.Lgs. e non anche da una pretesa esaustività della disciplina degli appalti pubblici o dalla incompatibilità tra le due suddette discipline;

6.2. in questo senso la disciplina del D.L. n. 76 del 2013, art. 9, comma 1 – secondo cui le disposizioni del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non trovano applicazione per le sole pubbliche amministrazioni individuate dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 – ha chiarito un principio immanente nel sistema;

6.3. la differente regolamentazione tra “aggiudicatori” privati ed “aggiudicatori” pubblici non è sospettabile di illegittimità costituzionale, con riguardo al rilievo della disparità di trattamento fra enti pubblici e privati imprenditori, per l’aggravio connesso alla previsione di responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29. Sono state già evidenziate da questa Corte le peculiarità delle due situazioni a confronto, che giustificano la diversità delle discipline (v. da ultimo Cass. 10.10.2016 n. 20327), osservandosi che nell’appalto privato il committente non incontra alcun limite nella scelta del contraente, laddove nelle procedure di evidenza pubblica la tutela dei lavoratori è assicurata sin dal momento della scelta del contraente, poichè gli enti aggiudicatori nella valutazione delle offerte “sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza…” (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 86) oltre che ad effettuare controlli preventivi anche in merito al rispetto da parte della impresa concorrente della normativa in materia di sicurezza, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, degli adempimenti previdenziali ed assistenziali (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38). La diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica la posizione più onerosa prevista per gli imprenditori privati con partecipazione pubblica rispetto a quella di altri operatori economici, privati o pubbliche amministrazioni, in relazione alla peculiarità della loro qualificazione giuridica, che li rende soggetti ad entrambe le discipline, non essendo precluso al legislatore modulare le tutele dei lavoratori in rapporto alla diversa natura dei committenti;

7. il quarto motivo è infondato in quanto è corretto quanto affermato dalla Corte sulla genericità della rinunzia e dei termini in cui era stata formulata e sulla non necessità di specifica contestazione;

7.1. invero, nel rito del lavoro la mancata contestazione del convenuto, o la genericità della sua contestazione, può assumere rilevanza ai fini della prova nei limiti in cui le allegazioni dell’attore siano specifiche e fornite di riferimenti concreti (cfr. Cass. 11537 del 28/12/1996);

8. alla stregua delle svolte considerazioni, il ricorso va, complessivamente, respinto;

9. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate in dispositivo;

10. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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