Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.283 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23356/2018 proposto da:

B.U., elettivamente domiciliato in Roma, Largo di Torre Argentina, 11, presso lo Studio Grande Stevens, rappresentato e difeso dall’avvocato Cericola Daniele e Grande Paolo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.D., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Centrale Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Balì Massimo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositato il 24/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/11/2019 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C..

FATTI DI CAUSA

B.U. e G.U. genitori dei figli minori M. ed A.M. (rispettivamente classe ***** e *****) sottoscrivevano il 17.7.2013 innanzi al Pretore di Lugano, un verbale di conciliazione prevedendo l’affidamento condiviso dei predetti minori il collocamento presso la madre, un regime di incontri col padre, ed un contributo a carico di quest’ultimo, pari a complessivi Euro 1.942,00.

Il Tribunale di Aosta, adito dal padre, rigettava, con provvedimento del 22.5.2014, la chiesta modifica dell’assegno, osservando che lo stato di disoccupazione del ricorrente e le non stabili prospettive di guadagno risalivano al 2012, sicchè le ragioni addotte non potevano considerarsi sopravvenute.

Le impugnazioni principale ed incidentale, rispettivamente proposte dalla madre e dal padre, si concludevano, dopo un lungo iter, con Decreto 9 febbraio 2017, n. 325, che modificava il regime di incontri e confermava la statuizione relativa all’assegno.

Il 1.4.2017, il B. adiva di nuovo il Tribunale di Aosta chiedendo di essere assolto dall’onere di contribuzione della prole, a decorrere dal 1.1.2015, per le mutate sue condizioni reddituali. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile dal giudice adito, con provvedimento del 22.5.2017 in quanto le ragioni addotte, asseritamente insorte dopo il precedente provvedimento del Tribunale del maggio 2014, erano tuttavia anteriori alla pronuncia resa in sede di gravame col decreto del 2017, e, pertanto, non essendo sopravvenute, non potevano esser considerate in sede di revisione.

La Corte di Torino, con decreto n. 155 del 24.1.2018, confermava il provvedimento, evidenziando che:

a) il nuovo ricorso per revisione era stato proposto in pendenza dei termini per ricorrere per cassazione avverso il Decreto n. 325 del 2017;

b) la situazione di allegato pregiudizio difensivo nel giudizio d’appello era ascrivibile allo stesso ricorrente;

c) la stessa tesi del reclamante, secondo cui il mutamento della sua situazione economica risaliva al 1.1.2015, escludeva che la modifica fosse intervenuta in epoca successiva, come strumentalmente dedotto al fine di conseguire la procedibilità del procedimento.

Avverso tale pronuncia, B.U. propone ricorso per cassazione con due mezzi, ai quali G.D. resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost.; art. 337-ter c.c., comma 4 e art. 337 quinquies c.c., ed omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente afferma che la decisione della Corte territoriale non considera che non sussistono norme che precludano o impediscano ad esso ricorrente – che aveva rinunciato al ricorso per cassazione avverso il primo provvedimento della Corte torinese – di far valere in un nuovo giudizio le situazioni sostanziali sopraggiunte e non oggetto di esame, di istruttoria, di valutazione e decisione da parte del precedente giudice. Diversamente opinando, prosegue il ricorrente, rimarrebbe precluso l’esame di situazioni sopraggiunte meritevoli di tutela con correlativa violazione dei principi costituzionali, delle norme del codice di rito e della disposizione di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente aggiunge che il rigetto del precedente ricorso era formalmente ineccepibile, perchè la documentazione prodotta non era stata tradotta, sicchè egli non avrebbe avuto ragione di impugnarlo ed aveva pertanto preferito proporre un nuovo ricorso al giudice di primo grado, proprio allo scopo di vedere esaminata quella documentazione che mai un giudice italiano, per meri motivi procedurali, aveva delibato, in quanto l’assetto del suo contributo si basava su di una decisione del giudice svizzero del lontano 2013, con effetti paradossali e violazione del suo diritto di difesa.

Nella materia in esame, prosegue il ricorrente, non si forma mai un giudicato, poichè la statuizione economica deve rispecchiare la situazione concreta, secondo un rito snello e privo di preclusioni, e pertanto erroneamente il dedotto deterioramento delle sue condizioni economiche non era stato preso in considerazione in riferimento alla data della domanda (1.4.2017), come, pure, aveva chiesto, sia pur in via subordinata.

2. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità del motivo, per esser possibile la formulazione di distinte sub-censure nell’ambito di un motivo formalmente unico, le stesse sono infondate.

3. Il principio sancito dall’art. 337 quinquies c.c., secondo cui i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione, tra l’altro, delle disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo concernente il mantenimento dei figli va, infatti, coniugato con quelli che regolano il relativo procedimento, tenendo presente che le statuizioni che lo definiscono, c.d. determinative, passano bensì in giudicato, ma, proprio perchè rivedibili, solo, rebus sic stantibus.

4. Il che comporta, com’è nozione ricevuta, che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti di siffatte statuizioni sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in seno al precedente titolo e, dunque, non può dare ingresso a fatti anteriori alla definitività del titolo stesso o a quelli che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività, dovendo quel giudice limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’assetto tenuto in considerazione in sede di formazione del titolo. Le variazioni di fatto devono, poi, esser dedotte esperendo l’apposito procedimento di revisione e, tenuto conto dei principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità del giudicato, per quanto temporalmente limitata (come si è detto, rebus sic stantibus), di esse è preclusa la rilevanza finchè non intervenga la modifica del provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione (cfr. in tema di assegno di divorzio Cass. n. 16173 del 2015, secondo cui la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione; cfr. pure Cass. n. 17689 del 2019, in tema di opposizione a precetto).

5. A torto, quindi, il ricorrente denuncia la mancata considerazione delle sue ragioni che doveva semplicemente far valere osservando le regole anzidette: la circostanza che la situazione di disoccupazione, dedotta nel presente procedimento, sia stata retrodatata al 1.1.2015 ne comporta, infatti, la preclusione alla stregua dei principi appena esposti ed ai quali si è attenuta la Corte territoriale, essendo allora pendente il procedimento d’appello avverso il primo decreto di rigetto di chiesta analoga modifica; non potendo, peraltro, non rilevarsi che l’asserita impossibilità di difesa nell’ambito di quel giudizio (con la prospettata inutilità di un ricorso per cassazione) è dedotta in modo generico, non essendo state esposte le motivazioni per le quali il giudice del primo procedimento non ha ritenuto di accogliere le istanze del B., che, inoltre, le ragioni esposte in proposito sono a lui ascrivibili (mancato deposito della documentazione prodotta in lingua italiana e mancata tempestiva nomina di un nuovo difensore), e che, a monte, l’allegazione secondo cui le statuizioni economiche in favore dei due figli siano state assunte dal giudice svizzero (irrilevante essendo la nazionalità delle parti) non solo è in sè neutra, ma non tiene conto che le stesse erano state concordate dalle parti “all’esito di conciliazione” (pag. 6 del ricorso).

6. Resta da aggiungere che l’omesso esame dei fatti decisivi per il giudizio è censura inammissibile, non essendo la pronuncia gravata basata su accertamenti di fatto, ma essendosi limitata a rilevare la preclusione dovuta al precedente giudicato.

7. Il secondo motivo, col quale il ricorrente denuncia, nuovamente, la violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., art. 337-ter c.c., comma 4 e art. 337 quinquies c.c., “in relazione al mancato accertamento della concreta situazione reddituale di esso obbligato ed omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., ovvero omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti” è, per le ragioni esposte in precedenza ed in particolare nel p. 6, del pari inammissibile, dovendo appena aggiungersi che l’invocato potere di accertamento dell’ufficio (art. 337 octies c.c.) attiene all’emissione dei provvedimenti a tutela dei minori e non anche del genitore che alleghi di non poter più contribuire al loro mantenimento.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Trattandosi di procedimento esente ex lege (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 2), non è dovuto il raddoppio del contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre accessori. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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