Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.285 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15837/2018 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliata presso l’avvocato Salvatore Santacroce dal quale è rappres. e difesa, con procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.L., in qualità di amministratore di sostegno di R.G., elett.te domic. presso l’avvocato Giovanni Canepa che lo rappres. e difende, con procura in calce al controricorso, in virtù

del provvedimento emesso dal giudice tutelare in data 30.6.2018;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/11/2019 da Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

che:

Il giudice tutelare del Tribunale di Genova, con provvedimento emesso l’11.7.2017, nominò un (nuovo) amministratore di sostegno a favore dell’Arch. R.G. e il 20.2.2017 rigettò l’istanza depositata nell’interesse della medesima signora diretta alla revoca del nominato amministratore di sostegno e comunque ad autorizzarlo a dotarsi di un avvocato per proporre opposizione a convalida di sfratto per morosità.

R.G. propose distinti reclami (rispettivamente RG 331/17 e 354/17) poi riuniti avverso i provvedimenti del giudice tutelare, allegando anche di essere sempre stata in grado di gestire la propria vita, sia sotto il profilo della salute, sia sotto il profilo professionale. Con decreto del 17.11.2017 la Corte d’appello di Genova ha dichiarato inammissibile il secondo reclamo ed ha invece respinto il primo (RG 331/17) osservando pure che: dall’esame della relazione del c.t.u. emergeva che nei confronti della reclamante erano state formulate, nel corso degli anni, varie diagnosi per gravi disturbi psichiatrici, analiticamente descritti in motivazione; lo stesso c.t.u. aveva evidenziato che i dati esaminati inducevano a pensare ad una situazione di disordine, di scompenso psicopatologico, che avallava la diagnosi di disturbo paranoide della personalità, con atti inadeguati sul versante patrimoniale compiuti in stato di scompenso psicopatologico acuto non trattato, con alterazione dell’esame della realtà e del funzionamento dell’io; che tale situazione patologica della R., stabile e di lunga durata, era precipitata intorno al 2014 in un quadro più grave, ascrivibile a scompenso psicotico cui erano seguiti vari atti e comportamenti – tra cui denunce e querele – frutto di una reinterpretazione della realtà in chiave delirante; il c.t.u. aveva evidenziato tre eventi particolari della vita della R., tra cui la radiazione dell’albo degli architetti a seguito dell’appropriazione indebita di una somma consegnatale da una cliente, radiazione ignorata dalla reclamante, continuando ad esercitare la professione nell’immobile locato, oggetto di rilevante morosità.

Per la cassazione parziale del decreto reso dalla Corte d’appello la R. ricorre in cassazione con tre motivi illustrati da memoria.

Resiste l’amministratore di sostegno con controricorso.

RITENUTO

che:

In relazione al diniego di revoca dell’amministrazione di sostegno (pertinente al reclamo RG 331/17), con il primo motivo è dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, per aver la Corte d’appello ritenuto che la reclamante non fosse in grado di gestire la propria vita, privata e professionale, basandosi esclusivamente sulle risultanze della c.t.u., senza tener conto dei fatti allegati, quali: la dimostrata autonomia nella gestione dei problemi di salute, come desumibile dalle varie visite mediche cui si era sottoposta nel periodo per cui è causa in assoluta autonomia e indipendenza; la dimostrata autonomia professionale nel periodo in cui era già stata disposta l’amministrazione di sostegno, come desumibile anche dalla documentazione prodotta; la dimostrata autonomia per la cura dei propri interessi, in ordine alla gestione della pratica della pensione di reversibilità del marito, e al procedimento giudiziale relativo al possesso della casa coniugale in ***** intercorso con la figlia che, sebbene, a suo dire, si fosse concluso con esito positivo, non era riuscita a rientrare nel possesso della stessa casa (che era stata ceduta dal marito alla figlia poco prima del decesso del venditore) e a recuperare le proprie cose (dolendosene con l’amministratore di sostegno).

Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, ovvero, in subordine, la nullità del decreto per non aver la Corte d’appello esaminato (o per averlo fatto in maniera contraddittoria) le reali circostanze della radiazione dall’albo degli architetti e del procedimento di sfratto, in quanto la reclamante era stata cancellata dal suddetto albo solo per un mero disguido, dovuto al fatto che non era pervenuta all’ordine professionale la comunicazione del trasferimento dello studio, svolgendo, dall’allora, la sola attività di consulenza e non quella di architetto. Circa lo sfratto, la ricorrente adduceva di aver proposto opposizione per l’inadeguatezza dell’immobile locato e per lavori svolti (sicchè la proposta di rilascio del locatore, con rinuncia dei canoni maturati, era da attribuire proprio a tali motivi d’opposizione). Con il terzo motivo è denunziata la nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, avendo la Corte d’appello deciso sulla base di una c.t.u. nulla per inosservanza del principio del contraddittorio, poichè basata su documenti acquisiti in modo incompleto, non formatisi nel procedimento concernete l’amministratore di sostegno, e senza indicarne la fonte di provenienza (in particolare, una relazione del centro di salute mentale e una perizia psichiatrica disposta in un giudizio penale in cui la ricorrente era stata assolta). La ricorrente lamenta altresì che il c.t.u. non ha acquisito la c.t.p. e non ha assegnato a quest’ultimo un termine per le osservazioni sulla bozza della consulenza.

I primi due motivi – esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi – sono inammissibili. Invero, la Corte d’appello ha ampiamente argomentato sui presupposti dell’amministrazione di sostegno, sulla base della c.t.u. e i motivi tendono al riesame dei fatti, peraltro presentando anche profili di mancanza di autosufficienza nella parte relativa alle ragioni della cancellazione dall’albo (attribuita ad imprecisati e non chiari motivi di mancata comunicazione del trasferimento dello studio).

Peraltro, i motivi non appaiono cogliere del tutto la ratio decidendi, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’incapacità della ricorrente di gestire adeguatamente la propria vita, privata e professionale, desumendola dalle varie vicende esposte afferenti alle patologie psichiatriche diagnosticate e confermate nel corso degli anni (essendo irrilevante che la R. abbia effettuato anche visite “in autonomia”, fatto che non esclude le patologie riscontrate e la loro influenza sugli atti di vita concreta); patologie che il c.t.u. ritiene che abbiano trovato riscontro in specifici episodi concretizzatisi in denunce presentate ed in cause promosse in maniera non ponderata (l’opposizione alla convalida dello sfratto per morosità riguardante l’immobile ove la ricorrente svolgeva l’attività di architetto).

Pertanto, le censure fondate sull’interpretazione atomistica delle suddette vicende non colgono nel segno poichè prescindano dalla loro valutazione complessiva, che la Corte di merito ha compiuto attraverso l’esame degli elementi probatori acquisiti con argomentazioni immune da censure.

Il terzo motivo è inammissibile. Invero, a tenore della consolidata giurisprudenza di questa Corte – cui il collegio intende dare continuità – le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicchè sono soggette al termine di preclusione di cui dell’art. 157 c.p.c., comma 2, dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass., n. 19427/17; n. 20829/18).

Nella fattispecie, la ricorrente non ha allegato, a sostegno della doglianza in esame, di aver sollevato la tempestiva eccezione riguardo agli asseriti vizi della c.t.u.; peraltro, la critica risulta inammissibile anche perchè nuova, non essendo stata proposta nel procedimento d’appello, come si evince dalla motivazione del decreto impugnato.

Il motivo è comunque infondato nella parte in cui la ricorrente si duole dell’illegittima utilizzazione di documenti da parte del c.t.u. Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. Dette indagini, quando ne siano indicate le fonti in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il dovuto controllo, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice (Cass., n. 13686/01; n. 1901/10; n. 3936/07). Nel caso concreto, la Corte d’appello ha deciso fondandosi sulla relazione del c.t.u. il quale aveva utilizzato la diagnosi di psicosi paranoidea redatta nell’ottobre 2014 dal medico in servizio presso il CSM dell’ASL 3, venendo in rilievo un documento pubblico di cui la R. era il destinatario, e la diagnosi relativa al disturbo bipolare, redatta da un c.t.u. nel corso di un processo penale in cui era imputata la stessa ricorrente, ove quest’ultima – come desumibile dalla medesima c.t.u. – fu riconosciuta parzialmente capace d’intendere e di volere (al riguardo, nel ricorso è scritto che la R. fu assolta, senza precisazione sulla relativa formula). Ora, circa la prima diagnosi, la relativa fonte è stata indicata, essendo stata redatta dall’Asl e dunque incorporata in un documento pubblico, mentre la seconda diagnosi è contenuta in una relazione di c.t.u. espletata in un giudizio penale nei confronti della ricorrente (fatto non contestato da quest’ultima, che dice anzi di essere stata assolta), che era dunque nella piena disponibilità della ricorrente.

Deve, pertanto, escludersi che il consulente tecnico abbia illegittimamente utilizzato i suddetti documenti, violando il diritto al contraddittorio.

Circa il regime delle spese, considerato che nel procedimento in esame non sussiste un’effettiva alterità tra le parti in causa (atteso che la parte controricorrente vittoriosa è costituita dall’amministratore di sostegno, il quale è il rappresentante sostanziale della ricorrente), sussistono i presupposti per la compensazione delle spese.

Dato che il processo risulta esente dal contributo unificato, non s’applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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