Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.29 del 03/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17036/2015 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CARBONELLI;

– ricorrente –

contro

G.C. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato DONATELLA MUGNANO, rappresentata e difesa dagli avvocati GIUSEPPE BRACUTI e UGO BRACUTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 09/03/2015, R.G.N. 417/2014.

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Brescia confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta da M.B. nei confronti della s.p.a. C.G. volta a conseguire pronuncia di accertamento della irregolarità dei contratti di somministrazione di lavoro intercorsi fra le parti – il primo con decorrenza 7/2/2011 e scadenza 19/3/2011, prorogata per sei volte sino al 31/12/2011, ed il successivo, con decorrenza 1/1/2012, e scadenza 31/1/2012 prorogato per quattro volte, sino al 31/8/2012 – con i provvedimenti consequenziali in tema di riammissione in servizio e di risarcimento del danno.

La Corte deduceva, per quanto ancora qui rileva, che il primo contratto di lavoro in somministrazione era stato stipulato per “ragioni di carattere produttive:aumento dell’attività relativa dovuta alla acquisizione primo ordine Schoeneweiss n. *****”, ed il secondo per la “necessità di far fronte ai termini di consegna derivanti dall’acquisizione dell’ordine Schoeneweiss n. ***** (da evadere entro il 2 quadrimestre) non assorbibile con il normale assetto produttivo”; facendo richiamo a precedenti arresti di questa Corte in tema, reputava le causali apposte ai contratti a termine, assistite da un grado sufficiente di specificità.

Con riferimento alla questione relativa alla dedotta illegittimità delle proroghe dei contratti di somministrazione per violazione dei limiti imposti al riguardo dall’art. 42 c.c.n.l. di settore (numero di proroghe non superiore a 6 nell’arco di 36 mesi), argomentavano i giudici del gravame che il ricorrente fondava la propria doglianza sul presupposto della unicità del rapporto articolato nei due contratti considerati in assenza di soluzione di continuità; ma detta prospettazione non era sufficiente a configurare l’esistenza di un unico contratto, in quanto a tal fine sarebbe stato “necessario dedurre e provare l’esistenza di un accordo simulatorio o di un intento fraudolento perseguito dalle parti del contratto di somministrazione”.

Sotto altro versante, veniva esclusa, comunque, la possibilità di applicazione dell’art. 42, ai lavoratori somministrati:l’azione esercitata dal ricorrente era infatti prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, che disciplinava esclusivamente l’ipotesi di violazione di norme attinenti al contratto di somministrazione fra agenzia ed utilizzatore; per contro, “la norma contrattuale invocata dal ricorrente” si riferiva “all’art. 22 comma 2 del citato D.Lgs., vale a dire al rapporto a termine instaurato fra l’agenzia ed il lavoratore”. Si precisava, quindi che in tanto si poteva “parlare di somministrazione irregolare D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 27”, in quanto la stessa fosse “avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d), ed e) ai quali è estraneo ogni aspetto del rapporto di lavoro tra lavoratore e agenzia, disciplinato dall’art. 22”.

Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi illustrati da memoria; la società intimata ha resistito con controricorso, depositando a propria volta memoria illustrativa.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21,27 e 28, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il giudice del gravame abbia omesso di valutare la ricorrenza in concreto delle causali addotte a giustificazione della somministrazione di manodopera in relazione ad ogni singolo contratto e proroga, facendo generico riferimento ad un concetto di “ordine aperto” che nulla prova in ordine ad ogni singolo rapporto intercorso fra le parti.

2. Con il secondo motivo, formulato in via di subordine, si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, concernente la carenza di ogni indagine riguardo al profilo dirimente della controversia, relativo alla effettiva sussistenza delle causali sottese ai contratti ed alle relative proroghe, stipulati.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.

Deve infatti osservarsi che i rilievi formulati dal ricorrente – riferibili sia a violazioni prospettate come error in judicando che come vizio di motivazione – sono volti, nella sostanza, a sindacare un accertamento di fatto condotto dal giudice del merito, che ha portato lo stesso a ritenere dimostrata, alla stregua dei dati acquisiti in giudizio, la specificità della causale apposta ai contratti intercorsi fra le parti ed alle relative proroghe. La Corte di merito, dopo aver conferito positivo riscontro alla questione della legittimità delle causali apposte ai contratti di lavoro, ritenute assistite da un adeguato livello di specificità, ha proceduto ad esaminare, in consonanza coi principi affermati da questa Corte, la questione inerente alla dimostrazione della effettività delle causali sottese ai contratti inter partes.

Ha quindi ripercorso l’andamento delle commesse prese in carico dalla società, G. operante nel settore “automotive”, evidenziando come, dopo una situazione di grave difficoltà verificatasi nel 2009, che aveva indotto alla stipula di un contratto di solidarietà difensivo agli inizi del 2010, si era verificata un’imprevista ripresa degli ordini, che aveva comportato un repentino incremento delle vendite per far fronte alle quali l’azienda, oltre all’immediata risoluzione del contratto di solidarietà, aveva dovuto far ricorso al lavoro somministrato.

La quaestio facti rilevante in causa è stata, quindi, trattata in conformità ai criteri valutativi di riferimento, pur pervenendo il giudice del gravame a conclusioni – frutto della accurata ricognizione del quadro probatorio delineato in prime cure – difformi rispetto a quelle indicate da parte ricorrente; la motivazione che innerva l’impugnata sentenza non può, quindi, ritenersi risponda ai requisiti della.assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla fattispecie ratione temporis (vedi Cass. S.U. 4/7/2014 n. 8053).

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1344 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che il punto rilevante della questione delibata, risiedeva nel fatto che la sesta proroga del primo contratto scadeva il 31/12/11, mentre il secondo contratto aveva avuto inizio il giorno successivo, ossia il 1/1/12, ed il lavoratore aveva proseguito l’attività con le medesime mansioni ed il medesimo inquadramento; sicchè al di là di ogni questione in tema di onere probatorio inerente alla sussistenza di un accordo simulatorio fra le parti nella stipula del contratto di somministrazione, il giudice del gravame avrebbe dovuto procedere alla interpretazione delle obiettive circostanze acquisite.

5. Il motivo non è fondato.

La questione oggetto di delibazione, è stata già vagliata da questa Corte che in precedente controversia analoga a quella qui scrutinata, ha affermato il principio alla cui stregua in tema di somministrazione di lavoro, la violazione del limite massimo di sei proroghe nell’arco di trentasei mesi, previsto dall’art. 42 del c.c.n.l. del 2008 per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro, può ritenersi sussistente solo ove il lavoratore offra la prova della condotta fraudolenta del datore di lavoro, il quale, attraverso la stipulazione di un successivo contratto di somministrazione senza soluzione di continuità (di per sè non vietata), eluda il divieto di prorogare non più di sei volte il precedente contratto. (cfr. Cass. 16/11/2018 n. 29269 con la quale è stata confermata la sentenza di merito che, con decisione immune da censure, aveva escluso la fittizietà della frattura fra un contratto e l’altro per avere il datore provato la sussistenza delle ragioni giustificative indicate nei contratti di somministrazione stipulati successivamente al primo, prorogato sei volte, cui adde Cass. 12/10/2018 n. 25562 in motivazione).

Si è avuto modo di precisare come il ricorrente facesse discendere il superamento del numero di proroghe ammesse per ciascun contratto di somministrazione in base a quanto statuito dall’art. 42 del CCNL del settore – secondo cui il periodo di assegnazione iniziale può essere prorogato per sei volte nell’arco di 36 mesi – dalla continuatività temporale tra l’ultima proroga del precedente contratto di somministrazione, prorogato sei volte, e il successivo contratto di somministrazione stipulato anche a distanza di un solo giorno.

Tuttavia, poichè formalmente non risultavano stipulate più di sei proroghe per ciascun contratto di somministrazione e poichè la norma non prevedeva l’intercorrenza di alcun intervallo di tempo tra un contratto di somministrazione e l’altro, la violazione della citata clausola contrattuale collettiva poteva ritenersi configurabile solo ove tale superamento fosse stato attribuibile ad una condotta fraudolenta del datore di lavoro, il quale attraverso la stipulazione di un successivo contratto di somministrazione, senza soluzione di continuità, avesse eluso il divieto di prorogare non più di sei volte il precedente contratto.

Detta circostanza, nello specifico, è stata comunque ritenuta insussistente dalla Corte di merito, la quale ha rimarcato come la società datrice di lavoro avesse allegato prova in ordine alla sussistenza, per ciascun contratto, delle effettive esigenze indicate nelle singole causali e del loro carattere di temporaneità, sì da escludere che “i contratti fossero stati stipulati per esigenze meramente pretestuose, simulate o evanescenti”;

L’accertamento della sussistenza della frode alla legge è demandato al giudice di merito e dunque è sindacabile in cassazione solo ove il giudice abbia del tutto omesso di esaminare i fatti dedotti quali espressione di mezzi per eludere la regola della temporaneità, circostanza, per quanto sinora detto, non verificatasi nel caso in esame.

Alla luce degli enunciati principi, dai quali non vi sono ragioni per discostarsi, la censura va, pertanto, respinta.

6. Con il quarto motivo è denunciata violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 22 c.c.n.l e art. 42 c.c.n.l. del 16/5/08 nonchè del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, art. 1344 c.c. e art. 5.5 della Direttiva 2008/104/CE.

Si deduce che la Corte di merito ha male interpretato le disposizioni della contrattazione collettiva di settore in tema di proroga del contratto e dei relativi limiti, ritenendo che la stessa si riferisse espressamente al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 22, comma 2, vale a dire al rapporto di lavoro a termine instaurato fra agenzia e lavoratore, ed in quanto tale, non potesse ritenersi applicabile al contratto di somministrazione fra agenzia ed utilizzatore.

Si argomenta per contro che siffatta ricostruzione giuridica non era conforme a diritto perchè violava l’integrità della intera fattispecie trilaterale dei rapporti di somministrazione di manodopera, che è unitaria e concepita per favorire la flessibilità dell’offerta di lavoro.

7. Dalla reiezione del terzo motivo discende l’assorbimento del quarto, successivo in ordine logico.

8. Con il quinto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21,27 e 28, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica da ultimo il criterio adottato dalla Corte distrettuale per scrutinare la sufficiente indicazione delle causali proprie dei contratti intercorsi fra le parti, benchè mancassero l’indicazione sia pur sintetica, degli elementi che consentissero il controllo della loro concreta ricorrenza, in quanto condizioni legittimanti l’utilizzo di manodopera somministrata.

9. Il motivo non è condivisibile, alla stregua dei rilievi già formulati in relazione al punto 3 della presente decisione.

Al riguardo, appare opportuno in via ulteriore precisare che, in tema di ricorso per cassazione, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Il discrimine tra le distinte ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è infatti segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi ex multis, Cass. 13/10/2017 n. 24155, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 4/4/2013 n. 8315).

E l’ipotesi considerata rientra certamente nel paradigma da ultimo delineato, posta la necessaria valutazione da parte della Corte di merito, dei termini relativi alla specificità della causale, alla stregua delle risultanze istruttorie (nella specie riconducibili agli estratti dei bilanci prodotti in giudizio dalla società recanti riferimento all’utilizzo delle materie prime e sussidiarie oltre che al numero dei prodotti finiti che mostravano il corrispondente forte incremento produttivo), per valutarne la sussumibilità nella fattispecie normativa di riferimento.

Questo accertamento compiuto dal giudice del gravame, non congruamente impugnato – per quanto sinora detto – mediante denuncia di error in judicando, si sottrae comunque ad ogni ulteriore censura che possa attenere alla valutazione della questio facti, esulando dai rigorosi limiti tracciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nei ricordati arresti (Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014).

La sentenza impugnata, risulta, peraltro, rispettosa dei principi affermati da questa Corte di Cassazione, secondo cui soddisfa pienamente il requisito di specificità, la causale giustificativa che faccia riferimento a “picchi produttivi”, ossia alla intensificazione dell’attività, ferma restando la verificabilità dell’effettiva esistenza delle ragioni giustificative in caso di contestazione (cfr. Cass. 6/10/2014 n. 21001, Cass. 4/1/2019 n. 77); onde, sotto ogni profilo, resiste alle censure all’esame.

10. Conclusivamente, alla stregua delle sinora esposte considerazioni, ricorso va respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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