LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22265-2017 proposto da:
F.G., rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Raffaglio, domiciliato ex art. 366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. R.G. 300/2017 della Corte d’appello di Brescia, depositata il 17/07/2017;
letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli artt. 376 e 380-bis c.p.c.;
letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.
RITENUTO
F.G. ha proposto opposizione, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., avverso l’atto di precetto intimatogli dall’Agenzia del Demanio.
Il Tribunale di Bergamo ha rigettato le sue domande ed il F. ha impugnato la decisione innanzi alla Corte d’appello di Brescia. Questa, ritenuto che ai termini per appellare non si dovesse applicare la sospensione feriale, trattandosi di controverse in materia esecutiva, ha dichiarato inammissibile il ricorso, pronunciando ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c.
Contro tale provvedimento il F. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. L’Agenzia del Demanio ha resistito con controricorso.
Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.
Anzitutto, va affermata l’ammissibilità del controricorso. La difesa erariale, infatti, si è costituita tardivamente, ma così sanando un vizio di notifica del ricorso. Infatti, il ricorso è stato notificato all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Brescia, anzichè all’Avvocatura Generale dello Stato (da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 20890 del 22/08/2018, Rv. 650437 – 01).
Sempre in via preliminare, deve essere verificata – anche d’ufficio l’ammissibilità del presente ricorso, in considerazione del disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., a mente del quale quando è pronunciata l’inammissibilità dell’appello, il ricorso per cassazione deve essere proposto avverso il provvedimento di primo grado.
In proposito, tuttavia, risulta decisiva la circostanza che la Corte d’appello ha pronunciato ordinanza di inammissibilità fuori dai casi previsti dall’art. 348-bis c.p.c., ossia in presenza di una prognosi infausta circa le probabilità di accoglimento del gravame.
L’inammissibilità dell’appello per tardiva proposizione esula dall’ambito di applicazione dell’art. 348-ter c.p.c. (che non si applica a tutti i casi di inammissibilità, ma solo alla speciale ipotesi prevista dall’art. 348-bis c.p.c.) e deve essere pronunciata con sentenza.
Per tali ragioni, sussistendo un vizio proprio dell’ordinanza, la stessa può costituire oggetto di impugnazione diretta tramite ricorso per cassazione, dovendo essere considerata come se fosse una sentenza (v. anche Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19333 del 20/07/2018, Rv. 650283 – 01). Infatti, la decisione che pronunci l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, ancorchè adottata con ordinanza richiamante l’art. 348 ter c.p.c., ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti (Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, Rv. 638370 – 01).
Tanto premesso, il ricorso è tuttavia manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360-bis c.p.c.
Con il primo motivo, infatti, il ricorrente sostiene che alle cause di opposizione all’esecuzione dovrebbe applicarsi la sospensione feriale dei termini processuali. In realtà) il ricorso non offre nessuno spunto per sottoporre a revisione il consolidato orientamento di questa Corte di segno opposto, secondo cui l’opposizione a precetto, con la quale si contesta alla parte istante il diritto di procedere ad esecuzione forzata quando questa non è ancora iniziata, rientra, come tutte le cause di opposizione al processo esecutivo, tra i procedimenti ai quali non si applica, neppure con riguardo ai termini relativi ai giudizi di impugnazione, la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, ai sensi della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 e art. 92 dell’ordinamento giudiziario (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22484 del 22/10/2014, Rv. 633022 – 01; principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1; v. pure Sez. 3, Sentenza n. 2708 del 10/02/2005, Rv. 579852 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17328 del 03/07/2018, Rv. 649841 – 01).
Il secondo motivo consiste nella riproposizione dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado ed è inammissibile in quanto gli stessi sono tutti assorbiti dalla rilevata tardività dell’appello medesimo.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.
Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Ente controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli accessori di legge ed alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020