LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24688-2017 proposto da:
Cooperativa Imprenditoriale di Mediazione Creditizia della Capitanata, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via di Pietralata, n. 320-D, presso lo studio dell’avvocato Gigliola Mazza Ricci, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Matteo D’Adamo;
– ricorrente –
contro
R.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Regina Margherita. n. 192, presso lo studio dell’avvocato Rocco Mele, rappresentato e difeso dall’avvocato Nicoletta Ruggieri;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1460/2017 della Corte d’appello di Bari, depositata il 03/10/2017;
letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli artt. 376 e 380-bis c.p.c.;
letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.
RITENUTO
La Cooperativa Imprenditoriale Mediazione Creditizia della Capitanata proponeva opposizione, innanzi al Tribunale di Foggia, avverso l’atto di precetto per il pagamento della somma di Euro 3.784,21 intimatogli da R.M.. Il Tribunale, ritenuta fondata l’eccezione di compensazione, accoglieva l’opposizione.
Il R. appellava tale decisione e, nel contraddittorio delle parti, la Corte d’appello di Bari, accogliendo quasi integralmente il gravame, riduceva l’efficacia della compensazione alla sola somma certa di Euro 50,97.
Tale sentenza è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte della Cooperativa, articolato in due motivi di censura illustrati da successive memorie. Il R. ha resistito con controricorso.
Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
La ricorrente ha depositato memorie difensive.
CONSIDERATO
Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 112 e 189 c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. La censura si rivolge avverso il capo della sentenza impugnata in cui è stato affermato che la mancata comparizione del R. all’udienza di precisazione delle conclusioni non comporta la rinuncia alle domande ed alle difese articolate nel corso del giudizio. La Cooperativa richiama, invece, il principio affermato da questa Corte, secondo cui la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa (Sez. 3, Sentenza n. 2093 del 29/01/2013, Rv. 624999 – 01).
Il motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto si deve rilevare che il precedente giurisprudenziale invocato dalla ricorrente non risulta pertinente. In quel caso, infatti, la parte interessata aveva presenziato all’udienza di precisazione delle conclusioni e in quella sede non aveva riproposto una o più domande o difese; nel giudizio in esame, invece, il R. non è comparso all’udienza di precisazione delle conclusioni e dunque non ha formulato alcuna dichiarazione dalla quale potesse trarsi argomento per affermare che egli aveva inteso rinunciare alle domande formulate nel corso del giudizio.
La circostanza è decisiva, in quanto questa Corte ha puntualizzato che nell’ipotesi in cui il procuratore della parte non si presenti all’udienza di precisazione delle conclusioni (o, presentandosi, non precisi le conclusioni o le precisi in modo generico), vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11222 del 09/05/2018, Rv. 648580 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22360 del 30/09/2013, Rv. 627928 – 01; ma v. già Sez. 3, Sentenza n. 10027 del 09/10/1998, Rv. 519576 – 01).
Il motivo non offre argomenti per rivedere tale orientamento e perciò lo stesso risulta manifestamente infondato.
Con il secondo motivo la Cooperativa denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, individuato nella circostanza che l’ammontare della posizione creditoria opposta in compensazione costituiva oggetto di un accertamento giudiziale passato in giudicato.
Il motivo è inammissibile sotto due distinti profili.
Anzitutto, il motivo risulta carente di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Infatti, la ricorrente omette di illustrare quale sarebbe il contenuto della sentenza la cui autorità di forza giudicata essa invoca; non fornisce l’effettiva dimostrazione del passaggio in giudicato di tale sentenza, che non viene neppure allegata al ricorso; non precisa quando tale eccezione sarebbe stata formulata nel corso del giudizio di merito, dimodochè la Corte d’appello dovesse tenerne conto; non consente di apprezzare quale sia l’effettiva portata di tale giudicato e la misura in cui la stessa interferisca con la vicenda oggetto del presente giudizio.
Per altro verso, deve rilevarsi che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può costituire oggetto di ricorso per cassazione solamente la censura volta a denunciare l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di fatti primari o secondari costitutivi, modificativi o estintivi di rapporti giuridici. L’eccezione di giudicato non rientra in tale nozione, poichè la definitività di un accertamento giudiziale non costituisce, in sè, una prova fattuale nè diretta, nè indiretta. Sicchè, per dedurre l’esistenza di un giudicato non rilevato dai giudici di merito, la cooperativa avrebbe dovuto formulare una censura di tutt’altra specie.
In conclusione, il ricorso è infondato deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo, da distrarsi in favore del difensore del controricorrente, che ne ha fatto rituale istanza.
Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da le i proposta.
PQM
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, che distrae in favore del difensore di fiducia.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020