LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16204/2016 proposto da:
LEGA LIGURE DELLE COOPERATIVE E MUTUE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SIMONE DE SAINT BON 89, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO GENOVESI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO IVALDI;
– ricorrente –
contro
V.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALFREDO CASELLA 43, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA MERCATI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO PESCE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 54/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 05/04/2016 R.G.N. 459/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FEDERICO GENOVESI;
udito l’Avvocato NICOLETTA MERCATI.
FATTI DI CAUSA
1. V.F. convenne in giudizio la Lega Ligure Cooperative e Mutue ed espose di aver lavorato alle sue dipendenze dal 2 marzo 2009 al 31 dicembre 2013, per la maggior parte del tempo senza alcuna formalizzazione oltre che in virtù di alcuni contratti di collaborazione a progetto, svolgendo attività lavorativa avente le caratteristiche del lavoro subordinato a tempo pieno. Dedusse che anche laddove era stato formalizzato un contratto tuttavia il progetto era fittizio, sovrapponendosi alle finalità statutarie della datrice e con attività che si era protratta con le medesime caratteristiche per tutto il periodo. Chiese pertanto al giudice di Genova di dichiarare che i contratti a progetto erano simulati o comunque nulli, illegittimi o inefficaci in relazione all’inesistenza del progetto. Nel caso in cui, invece, fossero stati inquadrati come contratti a tempo determinato il lavoratore eccepì la nullità dei termini. Chiese perciò che si accertasse l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 2 marzo 2009 e, ricostituitolo, la condanna della convenuta al pagamento delle retribuzioni spettanti dalla cessazione del rapporto (il 1 gennaio 2014) o comunque dalla costituzione in mora (del 20 febbraio 2014), con condanna della Cooperativa alla regolarizzazione contributiva ed assicurativa ed al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione all’inquadramento spettante tenuto conto delle mansioni svolte, oltre che al pagamento dell’indennità prevista dalla L. 20 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5 e 6, per il periodo compreso tra la scadenza del termine nullo e la sentenza di conversione.
2. La Lega Ligure delle Cooperative, nel costituirsi, eccepì la nullità del ricorso, l’intervenuta decadenza dall’azione giudiziale in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 32 e, comunque, l’infondatezza nel merito delle domande stante la genuinità del rapporto di lavoro a progetto.
3. Il Tribunale di Genova accertò che tra le parti, nel periodo dal 2 marzo 2009 al 31 dicembre 2013, era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e dichiarò il diritto del lavoratore al trattamento economico e normativo previsto dalla contrattazione collettiva, condannando la convenuta al risarcimento del danno contributivo. Dichiarò il diritto del Vo. al ripristino del rapporto, condannando la cooperativa al pagamento di un’ indennità risarcitoria che quantificava in sei mensilità di retribuzione oltre interessi e rivalutazione dalla sentenza al saldo.
4. La sentenza, investita del gravame da parte della Cooperativa e dell’appello incidentale del V., era in parte riformata dalla Corte di appello di Genova che, rigettate le censure mosse dalla Lega Ligure delle Cooperative e Mutue, accoglieva invece il ricorso incidentale del V. e quantificava l’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, in otto mensilità della retribuzione globale di fatto spettante al V. alla data del 31 dicembre 2013, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme rivalutate dalla sentenza di primo grado al saldo.
5. La Corte territoriale ha escluso che il ricorso introduttivo fosse nullo per violazione dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, osservando che: il petitum era stato chiaramente esplicitato; era stata chiesta una condanna generica, sicchè era irrilevante la mancata specificazione del livello di inquadramento spettante in relazione al contratto collettivo applicabile trattandosi di accertamento demandato al separato giudizio di quantificazione; la richiesta di condanna al pagamento di tutte le retribuzioni dalla cessazione del rapporto o dalla messa in mora al ripristino e contestualmente al pagamento dell’indennità risarcitoria non rendeva perciò meno chiara e specifica la domanda ma semmai poteva refluire sull’accoglimento o meno di entrambe le pretese. Osservava che la mancata produzione e/o indicazione del c.c.n.l. applicabile alla fattispecie non incideva sulla determinazione dell’oggetto della domanda e non comportava la nullità del ricorso tenuto conto ancora una volta della richiesta formulata di condanna generica. Ha poi ritenuto che era stato rispettato il termine di decadenza previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, che riteneva applicabile al caso concreto, osservando che la lettera del 20.2.2014, sottoscritta dal ricorrente e dal suo legale, con la quale era stata contestata la validità ed efficacia del provvedimento espulsivo e chiesta la reintegrazione, costituiva impugnazione del licenziamento e conteneva l’offerta della prestazione. Quanto alla condanna della Lega al pagamento dell’indennità della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, la Corte ha precisato che la sua liquidazione era sostitutiva delle retribuzioni maturate tra la cessazione del rapporto e la sentenza, ma non precludeva la ricostituzione del rapporto di lavoro. Quindi nel confermare la statuizione di primo grado, che aveva accertato che il progetto era generico e privo del requisito della temporaneità ha osservato che tale statuizione non era stata impugnata e dunque, sul punto, si era formato un giudicato interno. Ha escluso che fosse necessario verificare in concreto l’esistenza dei requisiti della subordinazione osservando che la conversione del rapporto a tempo indeterminato conseguiva per legge, ai sensi della L. n. 276 del 2003, art. 69, nel testo antecedente le modifiche apportate dalla L. 28 giugno 2012, n. 92. Nel rammentare che la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24, si applica ai soli contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore ha sottolineato che solo l’ultimo dei contratti intercorsi tra le parti era successivo alla L. n. 92 del 2012. Quindi, ritenuta assorbita la censura con la quale, in via subordinata all’accoglimento dell’appello principale, si era chiesta la reintegrazione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, la Corte di merito ha accolto invece l’appello incidentale nella parte in cui era stata chiesta la liquidazione di un maggiore indennizzo ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, che ha quantificato in otto mensilità di retribuzione.
6. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Lega Ligure delle Cooperative e Mutue affidandolo a tre motivi. Oppone difese con controricorso V.F.. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. All’esito della Camera di consiglio dell’adunanza camerale la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione ed erronea applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2.
7.1. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la nullità del ricorso introduttivo della lite sebbene non fosse stato allegato e prodotto il contratto collettivo applicabile, neppure specificatamente richiamato.
7.2. La censura è infondata. Va rilevato che nel caso di specie la domanda era tesa all’accertamento della sussistenza della subordinazione quale conseguenza della mancata predisposizione di uno specifico progetto con riguardo ai contratti di collaborazione conclusi tra le parti. Il ricorrente aveva riservato ad un successivo giudizio la quantificazione delle somme spettanti ed aveva concluso chiedendo la condanna generica della datrice di lavoro al pagamento delle differenze spettanti. Ne consegue che nel presente giudizio è irrilevante l’allegazione e produzione del contratto collettivo, non necessario ai fini della specificazione della domanda. Peraltro, essendo state allegate in giudizio le mansioni svolte il giudice del merito, ove lo avesse ritenuto necessario, ben avrebbe potuto e dovuto acquisirlo d’ufficio senza che tale mancata produzione refluisca sulla specificità della domanda. La giurisprudenza di questa Corte richiamata dalla ricorrente (Cass. 23/09/2010 n. 20075) non si attaglia alla fattispecie in esame poichè riguarda il caso diverso della violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e della mancata allegazione al ricorso per cassazione dei contratti di cui si chieda l’interpretazione diretta da parte del giudice di legittimità.
8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 183 del 2010, art. 32. Sostiene la ricorrente che il signor V., con la lettera del 20/25 febbraio 2014 ha impugnato un preteso licenziamento intimatogli il 31.12.2013 (data in cui era cessata la collaborazione a progetto) e non, invece, la clausola di apposizione del termine nelle scritture di collaborazione a progetto e a termine. Osserva la ricorrente che tale questione era stata sollevata davanti al giudice del merito e che la Corte territoriale non ne aveva tenuto conto avendo ritenuto sufficiente, ai fini della cornetta impugnazione del recesso, una qualsiasi manifestazione di volontà di impugnare la risoluzione del rapporto. Sostiene invece la ricorrente che una cosa è impugnare il licenziamento, altro è invece denunciare l’illegittimità del termine apposto al contratto a progetto.
9. La censura non può essere accolta.
9.1. Osserva il Collegio che questa si palesa in primo luogo generica poichè, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non riporta il contenuto della missiva di cui si deduce l’inidoneità ad impugnare il recesso. E’ perciò preclusa al Collegio la verifica della fondatezza della censura in base alla lettura del ricorso. I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (cfr. tra le tante recentemente Cass. 13/11/2018 n. 29093, 07/03/2018 n. 5478). Peraltro, va rilevato che il giudice di primo grado aveva proceduto ad una interpretazione dell’atto di impugnazione del recesso e che la Corte di merito aveva ritenuto di dover confermare tale interpretazione. Nessuna inversione dell’onere probatorio è ravvisabile nel caso in esame e la statuizione avrebbe potuto e dovuto essere censurata solo con riguardo ad una eventuale violazione delle regole di interpretazione, qui neppure denunciate, essendo riservata al giudice del merito la valutazione dell’idoneità del contenuto della lettera a costituire atto di impugnazione della risoluzione del rapporto.
9.2. Neppure è autosufficiente la censura nella parte in cui si duole della condanna al versamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle somme riconosciute a titolo di indennità risarcitoria della L. n. 183 del 2010, n. 6 e dell’accertato diritto al ripristino del rapporto, sebbene la datrice di lavoro avesse sin dal primo grado evidenziato che la sua natura di Associazione di categoria precludesse la reintegra o la riammissione in servizio. Ancora una volta la ricorrente trascura non solo di trascrivere ma anche di sintetizzare il contenuto delle difese articolate in primo grado e reiterate in appello. Ne consegue che, stante la mancanza di ogni riferimento da parte della sentenza della Corte di appello a tali questioni, queste in assenza di una puntuale indicazione del come dove e quando sono state sollevate, devono essere ritenute nuove e perciò inammissibili.
10. Con l’ultimo motivo di ricorso è denunciata la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 e della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24 e l’omessa applicazione della L. n. 108 del 1990, art. 4. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte di appello avrebbe ricondotto la fattispecie nell’alveo del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 e poi, sebbene fosse emersa l’esistenza del necessario progetto, avrebbe invece ritenuto di poter applicare la tutela dettata per il caso di mancata predisposizione del progetto. Deduce poi che semmai, in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, il lavoratore avrebbe avuto diritto alla sola tutela risarcitoria senza conversione/costituzione del rapporto a tempo indeterminato. Ribadisce inoltre che la natura di organizzazione di tendenza della ricorrente precluderebbe la costituzione del rapporto.
11. La censura è inammissibile. Osserva infatti il Collegio che dalla sentenza di appello emerge che il giudice di primo grado aveva accertato la nullità del contratto intercorso tra le parti evidenziando che il progetto era insussistente poichè, di fatto, l’attività concordata coincideva con i compiti specificatamente previsti dallo statuto della Lega delle Cooperative.
11.1. Tale statuizione non risulta essere stata specificatamente oggetto di censura davanti alla Corte di merito. Questa risulta esssere stata chiamata a verificare se l’impugnazione del contratto a progetto era tempestiva e quali erano, in caso affermativo, le conseguenze dell’accertata nullità. Dalla lettura della sentenza di appello non si evince che la questione della legittimità del progetto fosse stata riproposta davanti alla Corte territoriale. Orbene la mancata impugnazione di quell’accertamento ha reso irrevocabile tale statuizione che costituisce il presupposto dell’ulteriore affermazione che l’assenza di un valido progetto rendeva superflua l’ulteriore verifica dell’esistenza dei presupposti della subordinazione. In sostanza la Corte territoriale ha, condivisibilmente, accertato che alla violazione della regola che impone che le collaborazioni coordinate siano assistite da uno specifico progetto consegue per legge la costituzione del rapporto a tempo indeterminato tra le parti ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, senza necessità di ulteriori accertamenti.
11.2. L’odierno ricorso ripropone questioni che attengono alla sussistenza dei presupposti per la costituzione del rapporto a tempo indeterminato con la ricorrente in relazione alla sua natura giuridica oltre che con riguardo ad una pretesa insussistenza dei requisiti della subordinazione e non si confronta, invece, con la statuizione della Corte di merito che accerta il giudicato interno. Per tale aspetto, pertanto, la censura è assorbita dall’accertamento non censurato.
12. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2020