Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.303 del 10/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18915/2014 proposto da:

B.V., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRIA n. 208, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO CARDARELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato UGO UPPI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, nonchè

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1969/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/07/2013 R.G.N. 127/2010.

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Milano ha respinto l’appello proposto da B.V. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, docenti di ruolo presso l’Accademia di Belle Arti, avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nonchè del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle differenze retributive maturate a far tempo dal 1 gennaio 2000, da calcolarsi sulla base del trattamento stipendiale riservato ai professori universitari di la fascia;

2. la Corte territoriale ha evidenziato che non poteva essere invocato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, in quanto il migliore trattamento economico veniva rivendicato non in relazione allo svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento, bensì sulla base di una pretesa equivalenza con l’attività svolta dai professori universitari, che deriverebbe dalla disciplina dettata dalla L. n. 508 del 1999;

3. il giudice d’appello ha rilevato che alla luce della vigente normativa non si può sostenere l’equiparazione tra le due categorie di personale, giacchè il rapporto di lavoro dei docenti universitari è disciplinato dalla legge, mentre quello dei docenti delle Accademie e dei Conservatori di musica è regolato dal contratto di diritto privato;

4. la Corte milanese ha escluso la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 508 del 1999, art. 2, comma 6, che estende al personale delle Accademie la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, in quanto non è detta norma che mortifica il preteso diritto alla equiparazione, bensì la scelta operata dalle parti collettive in relazione all’ammontare dei trattamenti retributivi, stabiliti in misura inferiore rispetto a quelli dei docenti universitari;

5. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al quale il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo, “violazione e falsa applicazione della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23; L. 21 dicembre 1999, n. 508, art. 2, comma 6; artt. 3 e 36 Cost.; artt. 112 e 113 c.p.c.; degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;

1.1. i ricorrenti sostengono, in sintesi, che a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 508 del 1999, con la quale le Accademie sono state parificate alle Università è cambiato, quanto alle mansioni, il rapporto di lavoro, perchè l’equiparazione del titolo di studio rilasciato dall’Accademia a quello universitario ha comportato che l’attività di docenza sia stata modellata su quella universitaria e, quindi, è stato richiesto al personale delle Accademie l’espletamento di mansioni aggiuntive rispetto a quelle svolte in precedenza;

1.2. dette mansioni non sono state adeguatamente remunerate in quanto, sulla base delle previsioni della richiamata L. n. 508 del 1999, il personale già in servizio è stato inquadrato in un ruolo ad esaurimento, conservando il trattamento economico complessivo già goduto;

1.3. i ricorrenti insistono nel sostenere che, nel rispetto dei principi costituzionali affermati dagli artt. 3 e 36 Cost., la retribuzione doveva essere equiparata, a prescindere dalla natura del rapporto, a quella dei professori universitari e ciò in considerazione della sostanziale identità delle mansioni, della medesima natura degli enti in favore dei quali la prestazione viene svolta, dell’impegno orario richiesto, più gravoso rispetto a quello dei docenti universitari, delle modalità di reclutamento;

1.4. censurano, pertanto, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 508 del 1999, art. 2, comma 6 e sollecita questa Corte ad attivare il giudizio incidentale;

2. la questione che qui viene in rilievo è già stata affrontata dalla Corte che, con le recenti pronunce nn. 14101 e 21522 del 2018, ha respinto analoghe domande proposte nei confronti del MIUR da professori di ruolo in servizio presso i Conservatori di musica e le Accademie, affermando che “i docenti degli istituti di alta formazione, di specializzazione e di ricerca nel settore artistico e musicale (AFAM) non hanno diritto allo stesso trattamento economico e contrattuale dei docenti universitari, in quanto la L. n. 508 del 1999, pur inquadrando detti istituti tra le istituzioni di alta cultura riconosciute dall’art. 33 Cost. e garantendone l’autonomia statutaria e organizzativa, affida tuttavia la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti alla contrattazione collettiva nell’ambito di un apposito comparto e regola il conferimento degli incarichi di insegnamento secondo modalità diverse sia da quelle previste per gli insegnanti di scuola primaria e secondaria, sia da quelle proprie dei professori universitari, per i quali il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, ha mantenuto lo statuto pubblicistico”;

3. le pronunce richiamate hanno ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 508 del 1999, art. 2, comma 6, sulla quale si incentra il ricorso, alla luce del costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui la violazione del principio di eguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ma non quando la diversità di disciplina corrisponda ad una diversità di situazioni, perchè in tal caso la discrezionalità del legislatore non può essere sindacata (Corte Cost. nn. 192 e 79 del 2016, n. 85 del 2013, n. 340 del 2004);

3.1. si è sottolineato, inoltre, che l’art. 33 Cost., non impone l’equiparazione a tutti gli effetti fra istituzioni di alta cultura, università ed accademie, ma si prefigge solo lo scopo di tutelarne l’autonomia, al fine principale di garantire la libertà dell’arte e della scienza, sicchè la scelta del legislatore di ricomprendere gli istituti AFAM nell’ampio genus dell’alta cultura non implica che necessariamente la disciplina degli stessi debba essere speculare, quanto alle modalità di funzionamento ed all’organizzazione dei mezzi e del personale, a quella delle altre istituzioni;

3.2. si è aggiunto che non si può fare leva sull’equipollenza dei titoli di studio, rilasciati rispettivamente dagli istituti di alta formazione e dalle università, per sostenere la necessità di parificazione del trattamento economico del personale docente, giacchè, da un lato, l’equipollenza è stata limitata dal legislatore “al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego”, dall’altro la stessa finisce per confermare la diversità fra istituti di alta formazione ed università e fra i titoli di studio dagli stessi rilasciati, equiparati solo a determinati fini;

4. il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale il Collegio intende dare continuità e va, pertanto, rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo;

2.13. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 6.500,00 per competenze professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2020

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