LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11955/2019 R.G. proposto da:
K.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Carla Mannetti, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 183/18 depositata il 14 febbraio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2019 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che K.M., cittadino del *****, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 14 febbraio 2018, con cui la Corte d’appello di Ancona ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa l’8 settembre 2016 dal Tribunale di Ancona, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;
che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,6 e 14, osservando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata ha immotivatamente ricollegato a ragioni economiche l’allontanamento di esso ricorrente dal Paese di origine, avendo omesso di valutare la sussistenza dei presupposti di cui al citato art. 14, lett. a) e b), ed avendo ritenuto, sulla base di una lettura meramente parziale del rapporto di Amnesty International relativo agli anni 2016-2017, che la situazione di violenza indiscriminata in atto nel ***** riguardasse esclusivamente la parte settentrionale del *****;
che la censura è infondata, trovando la statuizione impugnata giustificazione da un lato nel richiamo delle dichiarazioni rese dallo stesso richiedente nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione provinciale competente, secondo cui egli si era determinato ad abbandonare il Paese di origine per assicurarsi maggiori risorse economiche, dall’altro nella mancata allegazione dell’esposizione, in caso di rimpatrio, al rischio di condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte o alla tortura o ad altra forma di trattamento inumano o degradante;
che in riferimento alla fattispecie di cui al citato art. 14, lett. c), la sentenza impugnata ha opportunamente richiamato le informazioni desumibili dai siti web del Ministero degli esteri e dell’European Country of Origin Network, da cui emerge che il conflitto armato in corso nel ***** è limitato alla parte settentrionale del Paese e non si estende alla regione di provenienza del ricorrente;
che il ricorso a fonti attendibili e specificamente individuate consente di ritenere adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, pone a carico del giudice ai fini dell’accertamento della reale situazione del Paese di provenienza del richiedente, in caso di allegazione da parte di quest’ultimo di una minaccia grave alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato (cfr. Cass., Sez. I, 17/05/2019, n. 13449; Cass., Sez. VI, 26/04/ 2019, n. 11312);
che, nel contestare il predetto accertamento, il ricorrente si limita ad invocare altre fonti d’informazione, e segnatamente il rapporto di Amnesty International relativo al periodo 2016-2017, senza peraltro precisare se lo stesso sia stato fatto valere nel giudizio di merito, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una nuova valutazione dei fatti già presi in esame dalla sentenza impugnata, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonchè la coerenza logica delle stesse, nella misura in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);
che, in riferimento alle altre fattispecie contemplate dal citato art. 14, l’inadempimento del dovere di allegazione posto a carico del richiedente giustifica invece il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3, trovando applicazione anche in materia di protezione internazionale il principio dispositivo, il quale esclude che il giudice possa introdurre d’ufficio nel giudizio i fatti costitutivi del diritto alla protezione (cfr. Cass., Sez. I, 31/01/2019, n. 3016; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336; 28/09/2015, n. 19197);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, sostenendo che, nell’escludere la sussistenza della situazione di vulnerabilità prescritta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del rischio di compromissione del diritto alla salute e di quello all’alimentazione derivanti dalle condizioni socio-economiche del suo Paese di origine;
che il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata correttamente giustificato il rigetto della domanda in virtù dell’insussistenza di specifiche violazioni dei diritti umani, non desumibili dal generico riferimento alla situazione del Paese di origine o alle difficoltà economiche del ricorrente;
che nel regime, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore all’entrata in vigore del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, la protezione umanitaria tutela infatti situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente, non essendo ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero parametri di benessere, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di e:51:=73 difficoltà economica e sociale, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (cfr. Cass., Sez. 7/02/2019, n. 3681);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020