LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12342/2018 R.G. proposto da:
H.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Rudalli, con domicilio eletto in Roma, via Avezzana, n. 1, presso lo studio dell’Avv. Ornella Manfredini;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 275/18 depositata il 16 febbraio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2019 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che H.A., cittadino nigeriano, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 16 febbraio 2018, con cui la Corte d’appello di Genova ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 23 maggio 2017 dal Tribunale di Genova, che ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;
che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, art. 3, comma 5, e art. 14, lett. c), censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, per difetto del requisito dell’individualità della minaccia grave alla vita o alla persona, senza tener conto dei rapporti di note organizzazioni non governative, da cui risulta che il conflitto interno tra l’esercito nigeriano ed il gruppo terroristico denominato ***** riguarda l’intero territorio della Nigeria, ivi compresa la regione dello *****, da cui proviene esso ricorrente;
che il ricorso è infondato;
che, a fondamento della decisione, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il principio, enunciato dalla giurisprudenza comunitaria e fatto proprio anche da quella di legittimità, secondo cui la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere intesa nel senso che il conflitto armato interno rileva soltanto se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente, in ragione del livello raggiunto dalla loro violenza, il quale deve risultare talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (cfr. (cfr. Corte di Giustizia UE, 30/01/2014, in causa C-285/12, Diakitè; Cass., Sez. VI, 2/04/2019, n. 9090; 31/05/2018, n. 13858; 23/10/2017, n. 25083);
che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, tale orientamento comporta un ridimensionamento del requisito della individualità della minaccia, prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (conformemente alla Dir. n. 2004/83/CE del 29 aprile 2004) ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, soltanto nel senso che la situazione di violenza collegata al conflitto in corso in tanto può giustificare l’applicazione della predetta misura, in quanto, per la sua diffusione e la sua gravità, appaia idonea a mettere in pericolo, in caso di rimpatrio, la vita o l’incolumità del richiedente, così come quella di chiunque si trovi nel suo territorio di provenienza, indipendentemente dalla sua partecipazione alle operazioni belliche o comunque dal suo personale coinvolgimento nel conflitto;
che in quest’ottica dev’essere correttamente intesa anche la necessità che la situazione di violenza rivesta carattere generalizzato, non richiedendosi, a tal fine, che essa si estenda all’intero territorio nazionale, ma risultando sufficiente anche un conflitto localizzato, purchè contraddistinto da un ricorso alla forza talmente diffuso ed incontrollato da esporre a rischio anche i non belligeranti;
che, a sostegno dell’affermata insussistenza della predetta situazione, la sentenza impugnata ha richiamato informazioni desumibili dai siti web di note ed attendibili organizzazioni internazionali, specificamente indicate, da cui si evince che il conflitto in atto tra l’esercito nigeriano ed il gruppo terroristico ***** risulta attualmente circoscritto alle regioni nordorientali della Nigeria, e non si estende alla regione dell'*****, dalla quale il ricorrente ha dichiarato di provenire;
che, in quanto relative ad un periodo (2015-2017) assai prossimo alla pronuncia della sentenza impugnata, e comunque più recente di quello cui si riferiscono le pronunce giurisprudenziali invocate dal ricorrente (20142015), le predette informazioni si pongono perfettamente in linea con i canoni di precisione ed aggiornamento prescritti dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3;
che, nel censurare il predetto accertamento, il ricorrente mira in realtà a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte a fondamento della sentenza impugnata, nonchè la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie risultano ancora deducibili come motivo del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/ 2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. lav., 17/05/2018, n. 12096; Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.
PQM
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020