LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36254-2018 proposto da:
A.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BORGHESE 3, presso lo studio dell’avvocato GIORGIA REGOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato IUTA BURCHIELLI, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro.p.t.;
– intimato –
avverso il decreto n. 16746/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 08/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO CAIAZZO.
RILEVATO
CHE:
A.K., cittadino del *****, impugnò il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale ed umanitaria, innanzi al Tribunale di Roma che, con decreto emesso l’8.11.2018, lo rigettò, rilevando che: premesso che il racconto reso dal ricorrente era inattendibile, le relative dichiarazioni non esprimevano un pericolo attuale connesso al rientro in patria; dalle informazioni aggiornate acquisite non si desumeva la sussistenza in ***** di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; il ricorrente non aveva allegato situazioni individuali di vulnerabilità.
Ricorre in cassazione A.K. formulando tre motivi.
RITENUTO
CHE:
Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non aver il Tribunale acquisito informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica, e per aver omesso l’esame degli elementi di prova in ordine alla sussistenza dello status di rifugiato.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), per aver il Tribunale omesso l’esame della sussistenza di un rischio grave costituito dalle minacce subite dagli adepti della setta dell’idolo “*****” ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.
Con il terzo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto il Tribunale non aveva valutato correttamente la sussistenza dei seri motivi legittimanti il permesso umanitario, desumibile dalla documentata integrazione lavorativa.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto tendente al riesame dei fatti sulla credibilità del ricorrente.
Invero, secondo l’orientamento di questa Corte, in materia di protezione internazionale, l’esito negativo del vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui allo stesso D.Lgs., art. 14, lett. a) e b), esclude l’obbligo di approfondimento istruttorio officioso (Cass., n. 16925/18).
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto, con ampia motivazione, che il racconto reso dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale non fosse credibile per una serie di palesi contraddizioni ben evidenziate; ne consegue che, in applicazione del suddetto orientamento, non sussistono i presupposti per l’esercizio del potere di cooperazione istruttoria da parte dello stesso Tribunale, essendo al riguardo irrilevante l’allegazione della mera condizione di non scolarità del ricorrente in mancanza di un serio sforzo di rendere circostanziato e credibile il racconto medesimo.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto il Tribunale ha esaminato la vicenda narrata dal ricorrente relativa alla persecuzione che avrebbe subito ad opera degli appartenenti alla setta dell’idolo “*****”, escludendone ogni rilevanza per la non credibilità del ricorrente il quale ha reso dichiarazioni incoerenti e contraddittorie innanzi alla Commissione.
Pertanto, la doglianza del ricorrente non coglie la ratio decidendi, traducendosi in una generica critica astratta che non afferisce alla specifica motivazione adottata dal giudice di merito.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile per la mancata allegazione di situazioni personali di vulnerabilità, essendo insufficiente, di per sè, che il ricorrente abbia svolta un’attività lavorativa (Cfr. tra molte: Cass. n. 4455/2018; n. 17072/2018).
Nulla per le spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020