LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27235-2018 proposto da:
B.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE, DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO FASCIA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il 03/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/11/ 2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 3 settembre 2018, il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda di B.J., nativo del *****, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.
1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste non ne consentivano l’accoglimento.
2. Avverso il descritto decreto B.J. ricorre per cassazione affidandosi, sostanzialmente, ad un unico, articolato motivo, preceduto da una sollevata eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 13, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., laddove prevede la non reclamabilità del decreto oggi impugnato. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
2.1. La formulata doglianza prospetta, invece, “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; Violazione di legge: D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e art. 2, lett. e) e g); del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1; L. n. 722 del 24 luglio 1954”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La sollevata questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata, avendo Cass. n. 27700 del 2018 già precisato che, “…essendo il principio del doppio grado di giurisdizione privo di copertura costituzionale, il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigente, massime quella della celerità, esigenza decisiva per i fini del riconoscimento dalla protezione internazionale, dovendosi, altresì, considerare, per la verifica della compatibilità costituzionale della eliminazione del giudizio di appello, che il ricorso di cui trattasi è preceduto da una fase amministrativa destinata a svolgersi dinanzi ad un personale dotato di apposita preparazione, nell’ambito del quale l’istante è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni attraverso il colloquio destinato a svolgersi dinanzi alle Commissioni territoriali, di guisa che la soppressione dell’appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale – per l’appunto il detto colloquio -, al fine dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello”.
2. Venendo al merito, il formulato motivo è nel suo complesso, inammissibile.
2.1. Invero, il vizio motivazionale invocato, da scrutinarsi alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto reso il 3 settembre 2018), non sussiste, investendo la censure sotto questo profilo, piuttosto che l’omesso esame di ‘7a/il”, “l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (Crf. pag. 2 del ricorso): ci si duole, dunque, non già di fatti storici (della cui deduzione nel giudizio di merito venga dato conto nel rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione) il cui esame, omesso nel decreto impugnato, avrebbe portato ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa, ma, sostanzialmente, di profili di insufficienza motivazionale (quanto ai credi religiosi del *****) non più denunciabili in questa sede.
2.2. Per il resto, il provvedimento oggi impugnato ha, sebbene sinteticamente, esaminato (Cfr. pag. 5) la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente (il *****), mentre ha ritenuto non credibili, ai fini della statuizione sulla invocata protezione umanitaria, le sue dichiarazioni quanto all’asserito lungo soggiorno del medesimo in ***** (Paese di transito).
2.9.1. A fronte di tale motivazione, le argomentazioni del ricorrente si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a giro, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (0-. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
2.3. Infine, l’intrinseca inattendibilità del racconto di B.J. quanto al suo soggiorno in *****, affermata dai giudici di merito, costituisce un ulteriore motivo per negare anche la protezione umanitaria (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. 27438 del 2016), nè miglior sorte toccherebbe a tale richiesta alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente novellato dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, non recando la prospettazione del corrispondente motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (Cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020