Atto di destinazione di un bene ex art. 2645 ter c.c., natura di regola unilaterale e gratuita, presupposti, contestuale destinazione di propri beni per le esigenze altrui

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.3697 del 13/02/2020

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Atto di destinazione di un bene ex art. 2645 ter c.c., natura di regola unilaterale e gratuita, presupposti, contestuale destinazione di propri beni per le esigenze altrui

L’atto di semplice destinazione di un bene (senza il trasferimento della proprietà dello stesso) alla soddisfazione di determinate esigenze, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volontà di due o più soggetti, ma è sufficiente la sola dichiarazione di volontà del disponente – e a titolo gratuito, in quanto di per sè determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, senza per quest’ultimo alcuna corrispettiva attribuzione; esso resta tale anche se operato nel medesimo contesto documentale da più soggetti, che ne traggono reciproco beneficio, salvo che risulti diversamente, sulla base della ricostruzione del contenuto effettivo della volontà delle parti e della causa concreta del negozio dalle stesse posto in essere.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 27975 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:

V.V., (C.F.: *****), anche quale genitore rappresentante della figlia minore P.V. (C.F.:

*****), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Fabio Bajetto (C.F.: BJTFBA68T16D969C);

– ricorrente –

nei confronti di:

G.G., (C.F.: *****), V.A. (C.F.:

*****) B.L. (C.F.: *****);

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Genova n. 550/2018, pubblicata in data 30 marzo 2018;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 16 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

G.G. ha assoggettato a pignoramento un bene immobile, in danno della nuda proprietaria V.V.. Quest’ultima ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., sostenendo l’impignorabilità del suddetto immobile, in quanto esso, unitamente ad altri, era oggetto di vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., per la soddisfazione di determinati bisogni dei suoi genitori V.A. e B.L., oltre che dei propri e di sua figlia minore P.V..

La creditrice G., pur contestando il fondamento dell’opposizione, in via riconvenzionale subordinata ha comunque chiesto revocarsi, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto di destinazione, procedendo alla chiamata in causa degli indicati beneficiari del vincolo.

Il Tribunale di La Spezia ha considerato l’atto di destinazione valido ma pregiudizievole per le ragioni dei creditori; ha quindi accolto sia l’opposizione della debitrice, sia l’azione revocatoria proposta in via riconvenzionale dall’opposta G..

La Corte di Appello di Genova, su appello della V., ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la V., sulla base di cinque motivi.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati. Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione dell’art. 375 c.p.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione eio falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c. e dell’art. 100 c.p.c., nonchè dell’art. 2901 c.c.”.

Il motivo è infondato.

Nel giudizio di opposizione all’esecuzione promosso per far valere l’impignorabilità del bene assoggettato ad espropriazione, è certamente ammissibile la proposizione di una domanda riconvenzionale, da parte dell’opposto, diretta a far dichiarare inopponibile al creditore procedente l’atto di costituzione del vincolo sul bene pignorato che ne impedisce l’espropriazione, in “modo da poter procedere al pignoramento di quel medesimo bene in un nuovo processo esecutivo, e ciò esattamente per le stesse ragioni per cui è ammissibile la domanda riconvenzionale dell’opposto volta ad ottenere una pronuncia che costituisca un titolo esecutivo da far valere in una nuova esecuzione, nel caso in cui sia contestata l’esistenza e/o l’efficacia di quello posto a base del processo oggetto di opposizione (l’ammissibilità della domanda riconvenzionale dell’opposto è in tale ultimo caso pacifica, secondo il costante indirizzo di questa Corte: cfr.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7225 del 29/03/2006, Rv. 588120 – 01; conf., ex multis: Sez. L, Sentenza n. 5708 del 10/03/2011, Rv. 616441 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9494 del 20/04/2007, Rv. 597787 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1107 del 14/02/1996, Rv. 495826 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3849 del 07/06/1988, Rv. 459059 – 01; nel medesimo senso cfr. altresì: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3688 del 15/02/2011, Rv. 616763 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15731 del 18/07/2011, Rv. 619165 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1123 del 21/01/2014, Rv. 629827 – 01).

E’ poi appena il caso di osservare che sussiste certamente connessione, in relazione all’oggetto e/o al titolo, tra la domanda principale di opposizione all’esecuzione con cui si faccia valere l’impignorabilità del bene assoggettato ad espropriazione, fondata sull’atto di destinazione di detto bene ad un determinato scopo, e quella riconvenzionale, diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del medesimo atto di destinazione.

Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: “nel giudizio di opposizione all’esecuzione in cui sia dedotta l’esistenza di un vincolo di impignorabilità del bene assoggettato ad espropriazione derivante da un determinato atto negoziale, è ammissibile la domanda riconvenzionale del creditore opposto volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto negoziale posto a base dell’opposizione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., anche se tale dichiarazione di inefficacia, stante la natura dichiarativa della decisione e la necessità del suo passaggio in giudicato, potrà giovargli esclusivamente ai fini dell’instaurazione di un nuovo processo esecutivo”.

La decisione impugnata risulta conforme a tale principio, onde essa si sottrae certamente alle censure di cui al motivo di ricorso in esame.

2. Con il secondo motivo si denunzia “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.: assenza dell’eventus damni e violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa valutazione di un elemento discusso dalle parti ed inerente all’esistenza dell’eventus damni”.

Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile.

La censura non risulta esposta in modo chiaro e non pare comunque cogliere adeguatamente le ragioni della decisione impugnata.

2.1 Per quanto è dato comprendere dal ricorso, la ricorrente sembra in primo luogo intendere ribadire l’affermazione (già ritenuta infondata dalla corte di appello) secondo cui, essendo stato ritenuto meritevole di tutela l’atto di destinazione dell’immobile pignorato, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., in quanto funzionale alle esigenze dei relativi beneficiari, le medesime esigenze avrebbero dovuto essere considerate prevalenti anche su quelle dei creditori pregiudicati dall’atto.

In proposito, la decisione impugnata è peraltro del tutto conforme a diritto, là dove ha disatteso tale argomentazione, affermando che tra i presupposti dell’azione revocatoria, indicati nell’art. 2901 c.c., non rientra la comparazione tra le esigenze dei beneficiari dell’atto revocando e quelle dei creditori da esso pregiudicati, dovendosi valutare esclusivamente l’oggettiva idoneità dell’atto stesso a rendere più difficile la soddisfazione delle ragioni dei creditori.

2.2 Con il motivo di ricorso in esame, la ricorrente sembra intenderetaltresì dedurre (almeno nella sostanza),che, poichè il credito della G. era di importo minimo (circa Euro 1.400,00) ed era incerto il valore della nuda proprietà dell’immobile da questa pignorato, e poichè inoltre la creditrice non aveva posto in essere altre e diverse azioni esecutive, non sussisteva adeguata prova dell’eventus damni, in particolare dell’incapienza del proprio residuo patrimonio.

Orbene, la questione della capienza del patrimonio residuo della V. (capienza – quanto meno implicitamente – esclusa dal giudice di primo grado, avendo questi accolto l’azione revocatoria) non risulta tra i motivi di appello, per quanto emerge dalla decisione impugnata, e la ricorrente non indica affatto se ed in che termini essa invece era stata posta in sede di gravame.

Per tale aspetto la censura risulta dunque inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per difetto di specifiche allegazioni in ordine alla non novità della questione posta in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo si denunzia “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2645 ter c.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1321 c.c., per omessa e/o errata qualificazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale”.

Con il quarto motivo si denunzia “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2645 ter c.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., per l’assenza della prova del consilium fraudis e/o della consapevolezza del debitore di pregiudicare le ragioni creditorie di terzi e violazione e negazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in punto inesistenza di presunzioni semplici”.

Il terzo ed il quarto motivo del ricorso sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

Si premette che la corte di appello ha escluso il carattere oneroso dell’atto di destinazione impugnato ma ha comunque (ad abundantiam, sebbene non necessario per gli atti a titolo gratuito) ritenuto sussistere la cd. scientia damni da parte dei beneficiari del vincolo, circostanza che era stata oggetto di contestazione in sede di gravame.

Orbene, secondo la ricorrente: a) l’atto di costituzione del vincolo ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., sull’immobile pignorato sarebbe da qualificare come atto a titolo oneroso, in quanto ciascuno dei beneficiari del complessivo patrimonio destinato aveva costituito un vincolo su propri beni ed era quindi al tempo stesso costituente e beneficiario; b) la prova della conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori da parte dei beneficiari dell’atto di destinazione, sarebbe stata erroneamente ritenuta sussistente.

3.1 E’ senz’altro corretta la qualificazione di atto a titolo gratuito data dalla corte di appello all’atto di destinazione posto in essere ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. e di cui è stata chiesta la revoca.

L’atto di destinazione di un bene alla soddisfazione di determinate esigenze costituisce, di per sè, un atto naturalmente a titolo gratuito, si tratta cioè di un atto che comporta un sacrificio per la parte che lo pone in essere, che non trova contropartita in una attribuzione in favore del disponente, come del resto viene costantemente ritenuto da questa Corte per atti aventi analoga natura e funzione (quali la destinazione di beni ad un fondo patrimoniale, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, o ad un trust, con particolare riguardo al cd. trust familiare; cfr. ad es., ex multis, per il fondo patrimoniale: Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 29298 del 06/12/2017, Rv. 646785 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 19029 del 08/08/2013, Rv. 627510 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 16760 del 16/07/2010, Rv. 614057 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 2327 del 02/02/2006, Rv. 588393 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 6267 del 23/03/2005, Rv. 580396 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 18065 del 08/09/2004, Rv. 576858 – 01; per il trust: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9320 del 04/04/2019, Rv. 653273 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19376 del 03/08/2017, Rv. 645384 – 03; cfr. altresì, in generale, sulla revocabilità dell’atto di destinazione posto in essere ai sensi dell’art. 2645 ter c.c.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29727 del 15/11/2019, Rv. 655834 – 01).

La circostanza che, nella specie, ciascuno dei beneficiari del vincolo abbia a sua volta destinato propri beni in favore delle esigenze di tutti gli altri, non modifica la natura gratuita di ciascuno di tali atti, non comporta cioè di per sè l’onerosità dei singoli atti di destinazione, in quanto non risulta sussistere, in concreto, corrispettività tra le reciproche destinazioni di beni operate da ciascun membro della famiglia.

Correttamente la corte di appello ha escluso che potesse avere rilievo in proposito la struttura unilaterale o plurilaterale dell’atto, chiarendo che il negozio giuridico plurilaterale si perfeziona con la dichiarazione di volontà di più parti, ma non ha necessariamente natura onerosa, in quanto, a tal fine, ciò che conta è esclusivamente che all’atto di disposizione patrimoniale corrisponda o meno una corrispettiva contropartita per il disponente.

D’altra parte, il vincolo di destinazione previsto dall’art. 2645 ter c.c., può certamente realizzarsi – secondo l’opinione prevalente – mediante diversi atti negoziali, eventualmente anche bilaterali, e quindi contrattuali (ad es. nel caso in cui vi sia trasferimento della proprietà del bene destinato, il che peraltro nella specie non risulta in alcun modo sia avvenuto, per quanto emerge in concreto), ma l’atto di “destinazione semplice”, cioè quello per cui un soggetto si limita a destinare un bene (senza trasferirne la proprietà o altri diritti reali limitati) alla realizzazione di determinate esigenze, non necessita e non determina di per sè alcun rapporto contrattuale tra tale soggetto ed i beneficiari (che possono essere anche non individuati) e, tanto meno, comporta attribuzioni corrispettive per il disponente, ma solo un sacrificio patrimoniale da parte sua. Dunque, l’atto che costituisce un vincolo ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., resta strutturalmente un atto negoziale unilaterale a titolo gratuito, se operato nella semplice forma della mera “destinazione” del bene (che resta di proprietà del disponente) alla realizzazione di determinate esigenze, e ciò anche se esso sia posto in essere contestualmente ad analoghi atti di destinazione di altri soggetti, eventualmente coincidenti con i beneficiari, risultando in tal caso i diversi negozi di destinazione solo (occasionalmente) contenuti nel medesimo atto pubblico notarile.

In definitiva, il semplice atto di destinazione di un bene alla soddisfazione di determinate esigenze meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volontà di due o più soggetti, ma è sufficiente la sola dichiarazione di volontà del disponente – ed è a titolo gratuito, in quanto di per sè determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, non trovando contropartita in una attribuzione in favore di quest’ultimo.

Esso conserva tali caratteristiche, sul piano strutturale, indipendentemente dal fatto che sia posto in essere nel contesto di un atto pubblico dal contenuto più ampio, in cui vi siano analoghi (ed anche reciproci) atti di destinazione da parte di altri soggetti, dal momento che la causa dei suddetti atti dispositivi non sta di regola nella loro reciprocità, onde essi restano su tale piano del tutto indipendenti l’uno dall’altro, a meno che non risulti diversamente, sulla base di una puntuale ricostruzione della effettiva volontà delle parti e della causa concreta del complessivo negozio dalle stesse posto in essere; ciò che però nella specie non è stato nè specificamente dedotto nè tanto meno provato.

Sotto tale profilo, le censure esposte nel motivo di ricorso in esame difettano invero di specificità, dal momento che la ricorrente si limita a far leva sul carattere “plurilaterale” dell’atto pubblico, in quanto posto in essere in concreto da più soggetti, ma non opera alcuno specifico richiamo al suo contenuto, da cui possa emergere che si trattò effettivamente di un negozio plurilaterale (e non di una pluralità di negozi unilaterali posti in essere nel medesimo contesto documentale) e, in particolare, di un contratto a prestazioni corrispettive intercorso tra i vari disponenti (al contrario, per quanto emerge dalle parti dell’atto in questione specificamente richiamate nel ricorso, sembrerebbe doversi escludere tale natura).

Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “l’atto di semplice destinazione di un bene (senza il trasferimento della proprietà dello stesso) alla soddisfazione di determinate esigenze, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale – in quanto esso non si perfeziona con l’incontro delle volontà di due o più soggetti, ma è sufficiente la sola dichiarazione di volontà del disponente – e a titolo gratuito, in quanto di per sè determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, senza per quest’ultimo alcuna corrispettiva attribuzione; esso resta tale anche se operato nel medesimo contesto documentale da più soggetti, che ne traggono reciproco beneficio, salvo che risulti diversamente, sulla base della ricostruzione del contenuto effettivo della volontà delle parti e della causa concreta del negozio dalle stesse posto in essere”.

3.2 In base a quanto sin qui esposto, poichè all’atto di destinazione oggetto del presente giudizio va senz’altro riconosciuta natura di atto a titolo gratuito, non ha alcun rilievo la cd. scientia damni da parte dei beneficiari del vincolo (mentre la conoscenza del pregiudizio per i creditori da parte della stessa disponente non risulta avere costituito motivo di gravame, nè è invero oggetto di censure sufficientemente specifiche), il che comporta l’assorbimento del quarto motivo di ricorso.

A scopo di completezza, si osserva peraltro fiche le censure di cui a detto motivo di ricorso risultano di per sè in ogni caso inammissibili, essendo con esse avanzate, nella sostanza, contestazioni relative ad un accertamento di fatto operato dai giudici di merito e sostenuto da adeguata motivazione.

La corte di appello ha fondato sui rapporti familiari tra le parti una non irragionevole presunzione di fatto di conoscenza delle reciproche situazioni patrimoniali. Ed è appena il caso di ribadire che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la prova della conoscenza del pregiudizio delle ragioni creditorie “può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 5618 del 22/03/2016, Rv. 639362 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27546 del 30/12/2014, Rv. 633992 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 17327 del 17/08/2011, Rv. 619033 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2748 del 11/02/2005, Rv. 579523 – 01; cfr. in particolare, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 1286 del 18/01/2019, Rv. 652471 – 01, in cui si afferma espressamente che “la prova della “participatio fraudis” del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente”).

4. Con il quinto motivo si denunzia “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, applicabile ratione temporis essendo l’atto di citazione in appello del 28/04/2015”.

Il motivo è fondato.

Il valore della causa relativa ad azione revocatoria si determina in base al credito vantato dall’attore, a tutela del quale viene proposta l’azione revocatoria stessa, secondo il costante indirizzo di questa Corte (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10089 del 09/05/2014, Rv. 630692 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 18348 del 13/09/2004, Rv. 577018 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 5402 del 17/03/2004, Rv. 571252 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7250 del 06/12/1986, Rv. 449318 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3076 del 09/05/1981, Rv. 413645 – 01).

La decisione impugnata non è conforme a tale indirizzo, in quanto la corte di appello, pur essendo noto l’importo del credito della G. (pari a circa Euro 1.400,00) ha applicato lo scaglione del valore “indeterminabile”.

Essa va di conseguenza cassata sul punto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sul punto è possibile la decisione nel merito, mediante una nuova liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado – con l’applicazione del corretto scaglione di valore (quello da Euro 1.101,00 ad Euro 5.200,00) e riconoscendo importi non distanti dai valori medi di parametro, per le attività effettivamente svolte – in complessivi Euro 2.000,00.

5. E’ accolto il quinto motivo del ricorso, rigettati gli altri.

La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, le spese del giudizio di appello sono liquidate nella misura di complessivi Euro 2.000,00 oltre spese generali ed accessori di legge.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione del solo parziale accoglimento del ricorso e non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

PQM

La Corte:

– accoglie il quinto motivo del ricorso, rigettati gli atri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello nella misura di Euro 2.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge;

– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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