Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.37 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21606-2018 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA GASPARIN;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 15 gennaio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da K.S. nei confronti del Tribunale del capoluogo lombardo. Con quest’ultima pronuncia era stato negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato e si era altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 7, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, degli artt. 2, e 3 CEDU, “omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti”.

Il secondo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), per violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, degli artt. 2, 3 e 13 CEDU, dell’art. 47Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 46Dir. 2013/32/UE.

Col terzo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 10, comma 3, art. 19, comma 2, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e all’apprezzamento della vulnerabilità, omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza delle condizioni per l’accesso a questa forma di protezione, nonchè, ancora, violazione del D.Lgs. n. 231 del 2007, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,10,32, dell’art. 10 Cost.; è pure lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo e la mancanza o apparenza della motivazione, nonchè la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,132 Cost., e dell’art. 156 Cost., comma 2, e dell’art. 111 Cost., comma 6.

2. – Si legge nella sentenza impugnata che il ricorrente aveva espresso il timore di rientrare nel paese di origine in quanto, a suo dire, ivi sarebbe stato costretto “a fare il re della sua famiglia” e a “sacrificare suo figlio”: per tale ragione – è aggiunto – egli sarebbe già stato minacciato di morte e picchiato. La Corte di merito ha ritenuto che nella vicenda descritta non potessero individuarsi atti persecutori idonei a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato e che gli avvenimenti narrati esulassero, altresì, dalla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, circa la protezione sussidiaria. Il giudice del gravame ha inoltre ritenuto che l’istante avesse mancato di dar prova dei fatti posti a fondamento della propria domanda e che, avendo specifico riguardo alla protezione umanitaria, la fornita versione dei fatti non era suffragata da alcun riscontro, sicchè doveva ritenersi poco credibile.

Questa Corte ha precisato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2458; Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni).

Nella fattispecie, la Corte di merito ha di fatto disapplicato detto principio, in quanto ha attribuito rilievo dirimente alla mancata prova dei fatti posti a fondamento della domanda (pag. 7 della sentenza), assumendo, addirittura, che la mancanza di riscontri rendesse di per sè il racconto poco credibile (pag. 9). Va rilevato, in contrario, che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007 e, art. 3, comma 5, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. cit., art. 3, comma 3, lett. c)) (Cass. 14 novembre 2017, n. 26921).

Non può del resto nemmeno condividersi, nella sua assolutezza, l’affermazione per cui i fatti descritti non consentissero all’istante di invocare lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. In base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, i responsabili della persecuzione o del danno grave sono lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio e anche soggetti non statuali, se i responsabili precedentemente indicati, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi dell’art. 6, comma 2, contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758). L’istante ha del resto ricordato, nel ricorso per cassazione (pag. 7), come avesse specificamente dedotto che, a fronte delle minacce e delle violenze subite, non gli era stato possibile trovare protezione presso le forze dell’ordine.

La Corte del merito avrebbe quindi dovuto anzitutto valutare in modo appropriato, secondo quanto esposto in precedenza, la vicenda narrata; in esito a tale giudizio, ove avesse ritenuto veritieri i fatti descritti, avrebbe dovuto poi appurare se, in effetti, in una situazione quale quella descritta, le autorità locali non forniscano tutela a chi la richieda.

3. – Nei termini esposti i primi due motivi meritano quindi accoglimento. Il terzo resta assorbito.

La sentenza e dunque cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, incaricata di statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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