Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.3877 del 17/02/2020

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Il riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende consequenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tener conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20154/2018 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Piemonte n. 117, presso lo studio dell’avvocato Perin Giulia, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Schuster Alexander, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione;

– intimati –

avverso la sentenza n. 569/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 569/2018, depositata in data 28/3/2018, ha riformato la decisione di primo grado, che aveva respinto la richiesta di O.A. di rettificazione di attribuzione del sesso da maschile a femminile, L. n. 164 del 1982, ex art. 1 in difetto, all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio, del presupposto della compiutezza del percorso di transizione da genere maschile a femminile nel richiedente.

In particolare, i giudici d’appello, dopo avere disposto l’estromissione del Ministero dell’Interno, in difetto di sua legittimazione passiva nel suddetto giudizio, hanno accolto la domanda di O.A. di rettificazione di sesso da maschile a femminile, ordinando agli ufficiali dello stato civile le competenti modifiche anagrafiche conseguenti; in particolare, per quanto qui ancora interessa, la Corte ha ritenuto che il mutamento delle indicazioni anagrafiche, “nell’interesse pubblico di una stabilità e ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche”, non poteva essere dello stesso esatto tenore proposto (del prenome, da ” A.” ad ” Al.”), trattandosi non della mera conseguenza dell’accoglimento della domanda di rettificazione di sesso ma di “un voluttuario desiderio di mutamento del nome di cui, di per sè, non sussistono i presupposti”, dettati dal D.P.R. n. 396 del 2000, cosicchè, respinta tale domanda, il nuovo nome da inserire nei registri doveva essere quello derivante dalla mera femminilizzazione del precedente, ovvero ” a.”.

Avverso la suddetta pronuncia, O.A. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva). Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 164 del 1982, art. 5 in punto di rigetto della richiesta di rettificazione del prenome da ” A.” ad ” Al.”, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il richiedente non possa dare alcuna indicazione in merito al prenome da imporre quale dato dello stato civile, al momento in cui è accolta la richiesta di rettificazione di sesso, non potendo, al contrario, imporsi un mero automatismo di conversione, non sempre praticabile, e dovendo essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità consolidatasi.

2. La censura è fondata.

La Corte d’appello, riformando la decisione di primo grado, richiamate le pronunce della Consulta (sentenze nn. 221/2015 e 180/2017) e di questa Corte (Cass. 15138/2017), ha ritenuto sussistenti i presupposti per dar luogo alla rettificazione prevista dalla L. n. 164 del 1982, art. 1 non rappresentando presupposto imprescindibile il trattamento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali anatomici primari ed avendo accertato che non corrispondono più al sesso attribuito nell’atto di nascita i caratteri sessuali ed identitari attuali del ricorrente, così disponendo la rettificazione di attribuzione di sesso da maschile a femminile, con conseguente ordine all’Ufficiale di Stato Civile di provvedere alle necessarie rettifiche sul relativo registro.

All’attribuzione all’attore del sesso femminile deve necessariamente conseguire anche l’attribuzione di un nuovo nome, corrispondente al sesso.

La Corte d’appello ha ritenuto tuttavia – e questo è l’oggetto residuo del contendere – di non accogliere la richiesta del ricorrente di attribuzione del nuove prenome ” Al.”, in quanto pretesa ascrivibile ad un desiderio di carattere meramente voluttuario, disponendo, pertanto, che il nuovo nome nei registri anagrafici debba essere quello derivante dalla mera femminilizzazione del precedente, ovvero ” a.”.

Ora, l’attribuzione del nuovo nome – pur non essendo espressamente disciplinata dalla L. n. 164 del 1982 – consegue necessariamente all’attribuzione di sesso differente, al fine di evitare una discrepanza inammissibile tra sesso e nome, come, peraltro si evince sia dall’art. 5 L. cit. (“Le attestazioni… sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome”), sia dalla normativa in materia di stato civile (D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 11), che prevede che il nome di una persona deve corrispondere al sesso.

Il legislatore nazionale, con la L. n. 164 del 1982, art. 5 ha richiesto una corrispondenza assoluta tra sesso anatomico e nome, manifestando preferenza per l’interesse alla certezza nei rapporti giuridici rispetto all’interesse individuale alla coincidenza tra il sesso percepito e il nome indicato nei documenti di identità.

Il sopra citato art. 35 recita: “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere composto da uno o da più elementi onomastici, anche separati, non superiori a tre. In quest’ultimo caso, tutti gli elementi del prenome dovranno essere riportati negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe”.

L’interpretazione data, nel caso specifico, della Corte di merito non trova supporto nella normativa in materia, in quanto nulla è detto circa un obbligo di trasposizione meccanica del nome originario nell’altro genere (vi sono, oltretutto, prenomi maschili non traducibili al femminile e viceversa ovvero prenomi che, a seconda del contesto linguistico in cui si pone l’interprete, possono essere percepiti come maschili o femminili, come rilevato dalla parte ricorrente, con conseguente incertezza dovuta ad una conversione spesso non univoca). Non emergono obiezioni al fatto che sia la stessa parte interessata, soggetto chiaramente adulto, se lo voglia, ad indicare il nuovo nome prescelto, quando non ostino disposizioni normative o diritti di terzi, attesa l’intima relazione esistente tra identità sessuale e segni distintivi della persona, quale il nome. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 120/2001, ha chiaramente affermato che il nome inteso come il primo ed immediato segno distintivo, costituisce uno dei diritti inviolabili della persona protetti dalla Carta ex art. 2 Cost., cui si riconosce il carattere di clausola aperta, con conseguente possibilità di evincere, dalla lettura combinata dell’art. 6 c.c., comma 3, e degli artt. 2 e 22 Cost., la natura di diritto soggettivo insopprimibile della persona.

Il riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende consequenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tener conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata in punto di rettifica consequenziale del nome e, decidendo nel merito, va ordinato all’Ufficiale di Stato civile del Comune di Cagliari di rettificare l’atto di nascita del ricorrente, nel senso che, unitamente alla rettificazione del sesso da maschile a femminile, sia riportato il prenome ” Al.”, in luogo di ” A.”, provvedendo alle annotazioni susseguenti.

In considerazione della novità della questione di diritto, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie ricorso, cassa la sentenza impugnata in punto di rettifica consequenziale del nome e, decidendo nel merito, ordina all’Ufficiale di Stato civile del Comune di Cagliari di rettificare l’atto di nascita del ricorrente, nel senso che, unitamente alla rettificazione del sesso da maschile a femminile, sia riportato il prenome ” Al.”, in luogo di ” A.”, provvedendo alle annotazioni susseguenti.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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