Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.39 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2350-2019 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO N. 38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE, SEZIONE DISTACCATA DI PERUGIA, *****;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 3561/2018 del TRIBUNALE di PERUGIA, depositato l’08/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO.

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento dell’8.12.2018, il Tribunale di Perugia ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta da B.S., nato in Senegal. Il Tribunale ha ritenuto che le circostanze che, secondo il richiedente, avevano determinato la sua fuga dal paese d’origine, costituivano vicende di natura economica. Lo straniero ha proposto ricorso per tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017: il Tribunale ha fatto proprie le conclusioni della Commissione, senza procedere alla sua audizione in giudizio e senza acquisire la disponibilità della videoregistrazione.

2. Il motivo è infondato. Va, infatti rilevato che, come è stato precisato da Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, citata nel provvedimento impugnato, “La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 47, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente a detta direttiva, art. 14 e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità della direttiva medesima, art. 17, par. 2 e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato a tale direttiva, art. 46, par. 3”.

3. Nel caso in esame in Tribunale ha espressamente ritenuto superfluo un nuovo esame del richiedente, non mancando di rilevare che lo stesso non aveva allegato ragioni ulteriori rispetto a quelle di natura economica considerate dalla Commissione (la fuga era stata determinata dal venir meno degli aiuti del fratello emigrato in Italia, i riferimenti alla morte del padre, avvenuta circa tre anni prima della partenza, erano totalmente generici) ed il ricorrente omette, anche in questa sede di enunciarli.

4. Col secondo motivo, si deduce l’omessa pronuncia sulla domanda di protezione umanitaria, e col terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19.

5. I motivi sono rispettivamente infondato il secondo ed inammissibile il terzo. La domanda volta al conseguimento della protezione residuale richiesta è stata valutata dal Tribunale, che sulla ritenuta natura squisitamente economica della migrazione, ha “integralmente respinto” le istanze del richiedente; laddove la dedotta violazione di legge si fonda su argomenti in diritto che presuppongono dati fattuali di cui non vi è traccia nella decisione impugnata e nello stesso ricorso (esposizione a trattamenti inumani e degradanti minacce alla vita ed alla libertà personale del richiedente) nè, ad ogni modo, espongono specifiche ragioni di vulnerabilità, con conseguente genericità della censura.

6. Non va disposto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13, semprecchè l’ammissione al gratuito patrocino non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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