Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.399 del 13/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2035/2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A., Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO ***** S.P.A., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 109/2013 del TRIBUNALE di TREVISO, depositata il 16/01/2013 R.G.N. 4536/2011.

RITENUTO

che:

la Corte d’appello di Venezia, con ordinanza resa ai sensi dell’art. 348 bis e ter c.p.c., ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Treviso che aveva ammesso l’INPS al passivo del fallimento ***** s.p.a. per Euro 769.587,99, in via privilegiata ex art. 2754 c.c., ed aveva, altresì, ritenuto prescritto l’importo di Euro 265.733,32;

tali somme erano state richieste dall’INPS alla ***** s.p.a. in ragione dell’erogazione ai lavoratori dell’indennità di mobilità lunga dal 21 gennaio 2001 al 31 gennaio 2010 e dell’accreditamento a titolo di contribuzione figurativa sulla posizione dei predetti lavoratori;

a fondamento del decisum il Tribunale aveva rilevato che l’esborso rientrava nella disposizione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, agli effetti della prescrizione quinquennale, per cui era rimasto estinto per prescrizione il credito riferito ai lavoratori indicati nella comparsa di costituzione del fallimento in quanto l’erogazione era stata effettuata oltre cinque anni prima della presentazione della domanda tardiva di insinuazione al passivo (24 maggio 2011);

inoltre, il credito non prescritto non godeva di collocazione privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., n. 1, in quanto si trattava di credito di natura previdenziale e non di credito di cui sia titolare il lavoratore per cui il privilegio spettante era quello previsto dall’art. 2754 c.c.;

avverso la sentenza ricorre l’Inps, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a. con ricorso affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso il fallimento ***** s.p.a..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 8 aprile 1998, n. 78, art. 1 septies, convertito, con modificazioni, in L. 5 giugno 1998, n. 176, L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 9 e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 9, l’INPS censura la sentenza impugnata per avere annoverato gli oneri relativi alla permanenza in mobilità, rappresentati dalle somme necessarie a ristorare l’istituto di previdenza della contribuzione figurativa riconosciuta al lavoratore posto in mobilità lunga, e posti a carico delle imprese, nella categoria della contribuzione previdenziale, a ciò facendo conseguire l’applicazione della prescrizione quinquennale;

6. assume l’INPS che la regola eccezionale introdotta per la mobilità lunga, che consente al soggetto pubblico di vedersi ristorato dell’esborso connesso all’accredito della contribuzione figurativa, ponendo a carico del datore di lavoro il pagamento della somma corrispondente al relativo importo, ha introdotto un ristoro del costo economico che l’ordinamento ha sopportato per riconoscere al lavoratore la tutela contributiva di tipo figurativo, con la conseguenza che le somme pagate dal datore costituiscono un onere, e non già un contributo, e la relativa restituzione all’INPS rientra nel novero dell’ordinario termine di prescrizione decennale;

7. con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2751 bis c.p.c., l’INPS sostiene l’erroneità della sentenza di primo grado laddove la stessa non ha riconosciuto il privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 1 e, comunque, non ha neanche riconosciuto il privilegio di cui all’art. 2753 c.c., anche a voler condividere il convincimento che l’onere imposto integri una prestazione di natura previdenziale;

il primo motivo è infondato;

giova premettere in fatto che, dal 21 gennaio 2001 al 31 gennaio 2010, i lavoratori della s.p.a. ***** hanno fruito della mobilità lunga ai sensi e per gli effetti del D.L. n. 78 del 1998, art. 1 septies, convertito, con modificazioni, in L. n. 176 del 1998; nel predetto periodo l’ente previdenziale ha erogato, quale terzo preposto, l’indennità di mobilità in favore dei lavoratori, indennità che ordinariamente paga direttamente il datore di lavoro, e ha inoltre accreditato, per legge, la contribuzione figurativa sulla posizione del predetto lavoratore quale forma di sostegno al reddito;

9. con la concessione della mobilità lunga, volta ad accompagnare il lavoratore fino al momento del sorgere del diritto al trattamento pensionistico, il legislatore ha introdotto l’anticipo dell’erogazione della prestazione di mobilità da parte dell’INPS, così tutelando il lavoratore dal rischio economico dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, e, contestualmente, la regola eccezionale che consente all’ente previdenziale di vedersi ristorato dall’esborso economico connesso all’accredito della contribuzione figurativa, ponendo a carico del datore di lavoro il pagamento della somma corrispondente all’importo della contribuzione figurativa accreditata;

la ratio dell’istituto della mobilità lunga è stata di recente ribadita da Cass. 5 febbraio 2018, n. 2697 evidenziando che, attraverso le disposizioni che consentono al lavoratore di utilizzare i periodi di erogazione dell’indennità ai fini del diritto e della misura della pensione (L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 9) e di completare così, nello stesso lasso di tempo, i requisiti mancanti per il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico, non viene offerto un sostegno alla disoccupazione – che altrimenti non vi sarebbe ragione di differenziare i limiti di durata tra lavoratori che si trovino tutti nelle aree svantaggiate dal punto di vista occupazionale – ma si permette l’acquisizione del trattamento pensionistico a cui il lavoratore è prossimo, essendone prevista, per legge, l’erogazione solo fino al compimento del periodo dei sette anni mancanti al raggiungimento dei 35 necessari per beneficiare della pensione di anzianità (L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 7; cfr. Cass. n. 2697 del 2018 cit. e i precedenti ivi richiamati; v. anche Cass., Sez. U., 21 luglio 2006, n. 16749, ed ivi il rilievo per cui la citata norma non fa riferimento al momento in cui si perfezionerà il diritto alla pensione, nè alla gestione che la erogherà, ma considera solo gli anni di contribuzione necessari accreditati al momento della cessazione del rapporto di lavoro);

si tratta, ora, di qualificare l’onere a carico delle imprese, perchè così il legislatore ha inteso definire le somme dovute dal datore di lavoro all’ente previdenziale, sia quanto alla prestazione direttamente erogata al lavoratore sia quanto alla contribuzione figurativa accreditata per il medesimo periodo, qualificazione che assume rilievo dirimente agli effetti del regime prescrizionale applicabile;

alla variegata tipologia di oneri economici, che il panorama legislativo offre in materia, ha già dato risposta, di recente, la Corte di legittimità, con la sentenza 12 gennaio 2018, n. 672, rimarcando che proprio per la molteplice varietà dei contributi (obbligatori, volontari, figurativi, addizionali, di solidarietà, ritenute, oneri economici) e per la diversità funzionale ad essi connaturata, potrebbero sempre farsi valere diversità estrinseche tra le tante tipologie regolate dalla legge, allo scopo di affermare che l’una specie risulti dissimile rispetto all’altra, anche in considerazione dei differenti istituti che sono destinati a finanziare ed alla diversa legislazione vigente nel tempo (v. anche Cass. 21 dicembre 2017, n. 30699);

le differenze terminologiche non possono, tuttavia, incidere sull’appartenenza alla comune ed ampia categoria dei contributi previdenziali (per gli ulteriori argomenti ed ipotesi esemplificative si rinvia a Cass. n. 672 del 2018 cit.), ed ancor più sul regime prescrizionale, per cui pur dandosi atto della precipua diversità, per natura e funzione, dei contributi complessivamente considerati, risponde ad un criterio di ragionevolezza assoggettare alla disciplina della prescrizione, dettata dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. b), tutti i contributi, nell’accezione lata comprensiva, come nella specie, anche degli oneri economici relativi alla permanenza in mobilità per i periodi eccedenti la mobilità ordinaria, sopportati dall’ente previdenziale sia per erogare al lavoratore la prestazione economica sia per accreditare la relativa contribuzione figurativa;

anche il secondo motivo è infondato;

la sentenza impugnata ha correttamente inquadrato il credito contributivo derivante dall’obbligo imposto all’azienda di cui ai punti precedenti all’interno della previsione dell’art. 2754 c.c., posto che l’art. 2751 bis n. 1, si rivolge chiaramente ai crediti retributivi e risarcitori (anche derivanti dalla mancata corresponsione dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori) di cui è titolare il lavoratore;

il credito dell’INPS oggetto di causa non rientra neanche nella previsione dell’art. 2753 c.c., giacchè, secondo la stessa rubrica di tale disposizione, hanno privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro i crediti per contributi di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti e, dunque, non risulta compresa la categoria dei contributi figurativi per cui è causa che forma, invece, oggetto dell’art. 2754 c.c.;

nell’interpretare quest’ultima disposizione, infatti, questa Corte di cassazione ha precisato che tra le assicurazioni comprese nella dizione “forme di tutela previdenziale ed assistenziale” rientra ad esempio quella per la malattia dato che, in coerenza con le enunciazioni di Corte Costituzionale n. 526 del 1990, l’interpretazione va condotta a partire dalla ricognizione della causa del credito, in considerazione della quale la legge accorda il privilegio, causa che non consiste nella tutela del lavoratore subordinato, ma nell’interesse pubblico al reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento dell’assistenza e della previdenza sociale, nell’ambito dell’art. 38 Cost. (Cass. n. 8743 del 1992); nel caso di specie, è proprio questa la ratio dell’obbligo contributivo imposto al datore di lavoro che faccia ricorso alla misura della mobilità lunga si sensi della L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 9;

a tanto consegue che la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per cui il ricorso va rigettato;

le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ex art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020

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